Vi è una grossa circolarità nel rapporto tra Iva e Regioni. Un rapporto iniziato nel 2000, a seguito del decreto Bassanini che attuava la prima forma di ‘federalismo fiscale’. L’Iva regionalizzata fungeva come compenso per far si che gli enti in questione potessero ovviare all’abbandono dei sistemi legati ai vecchi trasferimenti. Con l’Iva scattava infatti l’eliminazione dell’addizionale regionale legato all’imposta erariale di trascrizione, nonché l’eliminazione della sovrattassa sul diesel.In particolar modo, l’Iva nelle regioni serviva e serve a finanziare il sistema sanitario. Tra il 2001 e il 2011, infatti, l’Istat ha quantificato con il passaggio da 75 a 112 mliardi la crescita della spesa sanitaria. Un aumento del 50% che viaggia a un ritmo superiore 1,6 volte rispetto al prodotto interno lordo.
L’evoluzione è stata pressochè veloce. Iva e Irap, in ‘soldoni’, servivano a ‘reggere i conti’. Ma già dal secondo anno di vita, ovvero nel 2002, era chiaro a tutti che queste due misure non bastavano. Così, una prima modifica portò l’Iva delle Regioni a gonfiarsi dell’11,9%.
> Guida al rapporto tra Iva e Regioni
Tutto si evolve ancor più rapidamente negli anni a venire. La quota è sempre stata modificata e soggetta al rialzo, eccezion fatta per l’anno 2012. Segue, poi, l’ormai celebre decreto di Palazzo Chigi datato ottobre 2013.
Numerose, data la sua entità, sono le proposte di riforma concernenti l’Iva. Da tempo, già a partire dalla stagione del ‘federalismo’ che intercorse tra il 2009 e il 2011, si cerca di rendere più chiaro e meno opaco il collegamento tra conti degli enti regionali e Iva. Di mezzo, tuttavia, ci si è messa una pesante crisi finanziaria. Una crisi che ha spazzato via le proposte di riforma.