Il Governo ha detto sin dall’inizio che l’obiettivo (tra gli altri) è quello di far tornare i capitali trasferiti all’estero in maniera illegale approfittando di leggerezze che intaccano etica e rigore fiscale. Per questo, Matteo Renzi necessita di strumenti (anche normativi) per combattere gli evasori.
Il prelievo del 20% sui bonifici all’estero scattato nel nostro Paese dal primo giorno di questo mese finisce nell’occhio del ciclone. La commissione europea e i responsabili della fiscalità stanno esaminando la questione per comprendere quanto sia in linea con i principi di base della non discriminazione e del libero movimento delle merci e dei capitali.
La misura anti-evasione messa sotto osservazione dalla Ue è stata introdotta dalla legge 97 nell’agosto del 2013 e prevede che i redditi derivanti dagli investimenti esteri e dalle attività di natura finanziaria siano in ogni caso assoggettati a ritenuta o ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi dagli intermediari residenti in Italia ai quali investimenti e attività vengono affidati.
La ritenuta viene applicata con un’aliquota del 20% a titolo di acconto anche per i redditi derivati da mutui, conti correnti e depositi, diversi da quelli bancari, nonché per i redditi di capitale.
Un ampio ‘ventaglio’ di redditi, pertanto, viene sottoposto a una forma di prelievo che impone inoltre un percorso accreditato per intermediari e contribuenti ed è al momento sotto esame. Viene ipotizzata la violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue, che vieta le restrizioni dei pagamenti tra gli Stati membri.
Ci sono una serie di casi particolari da tenere in considerazione quando si affronta la questione. Uno di questi è rappresentato da bonifici esteri che siano percepiti nell’ambito di attività di impresa o di lavoro autonomo, i quali non devono in nessun caso essere sottoposti alle disposizioni suddette. In questa situazione sarà opportuno allegare una visura camerale oppure il certificato di attribuzione all’Iva.