Si sono iniziati a concretizzare i proclami del Governo Renzi. Il primo, e anche quello più acclamato, è stato il taglio dell’aliquota dell’Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche, del 10%, il che, secondo i conti fatti dalla squadra di Governo, porterà circa 1000 euro in più all’anno per una vasta platea di italiani.
Gli effetti del taglio dell’Irpef si vedranno nelle buste paga di maggio, quando i lavoratori dipendenti troveranno circa 80 euro in più.
Il taglio dell’Irpef interessa la grande maggioranza degli italiani in quanto questa tassa, entrata in vigore nel 1947, colpisce una vasta gamma di fonte di reddito a disposizione del contribuente, non solo il lavoro, e annualmente porta nelle casse dello stato circa 150 miliardi di euro, il gettito più elevato tra tutte le tasse esistenti.
Nata per essere una tassa onnicomprensiva, in realtà l’Irpef si applica solo sui redditi da lavoro, in particolar modo quello dipendente, sulle rendite immobiliari e da affitto. Le rendite finanziarie (interessi dei conti correnti, dividendi azionari, cedole o fondi comuni d’investimento) sono tutti esclusi dalla tassazione.
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L’Iperf inoltre è una tassa che si applica a scaglioni, ovvero ha un’aliquota variabile in base all’imponibile: 23% sui redditi fino a 15.000 euro, 27% tra 15.000 e 28.000 euro, 38% fino a 75.000 euro e 43% per redditi superiori a questa ultima soglia.
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Considerando che in Italia il 93% dei contribuenti ha un reddito imponibili ai fini Irpef inferiore o uguale a 40.000 euro, e che il 66% degli italiani dichiara meno di 20.000 euro all’anno, la maggior parte del gettito Irpef (circa il 78%) è pagata da chi è in queste fasce di reddito, ovvero lavoratori dipendenti e pensionati.