Il Financial Times riporta che oltre 25 tra comuni e università statunitensi hanno chiesto ai propri fondi pensione di disinvestire immediatamente da società petrolifere o che fondano la produzione di energia su fonti inquinanti. Una presa di posizione di massa accolta sulla piattaforma 350.org (associazione che sostiene campagne per il disinvestimento da modelli di business poco o per nulla rispettosi dell’ambiente) ma del tutto trascurata dai fondi pensionistici Usa da cui ora stampa e consigli comunali esigono chiarimenti.
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Stando al Financial Times, la maggior parte delle risoluzioni che contengono gli inviti e le richieste di istantaneo ritiro delle risorse (appartenenti a istituzioni pubbliche) sarebbe stata approvata e spedita almeno un anno e mezzo fa. Un periodo di tempo troppo lungo per scagionare il disinteresse di fondi miliardari di fronte a una regolare richiesta dei propri clienti.
Il dito è puntato principalmente sul fondo Calpers che ha un portafoglio di 288 miliardi di dollari e gestisce gli investimenti di tre città californiane, Berkeley, Richmond e Oakland. E proprio questi comuni avrebbero imposto senza esito positivo l’imminente rientro delle risorse. «La questione è stata portata alla nostra attenzione, ci impegneremo» avrebbero ribattuto dalla società finanziaria. Parole non seguite dai fatti.
Ian Simm, direttore di Impax Asset Management, dice che per una finanziaria specializzata in investimenti sostenibili, «non c’è motivo per negare alle istituzioni che hanno partecipazioni dirette in stock di carbone, petrolio e gas l’immediato disinvestimento». A far sì che sia più insostenibile il silenzio-diniego dei fondi pensionistici propizie alle fonti non rinnovabili è il fatto che alcune università, pressate da studenti e consigli accademici, hanno già cominciato a ritirare il proprio denaro da azioni o fondi contrari alla tutela dell’ambiente.