Il governo sta tentando di mediare e annuncia un “tavolo tecnico” per la crisi della raffinazione nell’impianto Eni di Gela e in altri stabilimenti italiani, intanto i sindacati annunciano lo sciopero.
Il 29 luglio gli oltre 30mila dipendenti di tutte le aziende Eni si fermeranno. Per Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil la comunicazione del gruppo sul rischio di chiusura di ben quattro raffinerie, a cominciare da quella di Gela, è di fatto un “annuncio shock” che “mette in discussione l’intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia”. Per questo motivo a protestare non saranno solo i lavoratori del settore. Si fermeranno anche quelli della produzione, perforazione, chimica e petrolchimica, delle sedi direzionali, dei depositi, degli uffici commerciali e amministrativi e delle aziende territoriali. Inoltre è prevista un’astensione dal lavoro di due ore in tutti gli impianti di raffinazione sul territorio nazionale e una manifestazione nazionale a Roma davanti Montecitorio.
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Sono a rischio anche le sedi di Taranto, Livorno e Porto Marghera dopo che l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, ha ufficializzato l’intenzione del gruppo di revocare i 700 milioni di investimenti per ammodernare l’impianto di Gela e il fermo di tutte e tre le linee produttive, almeno fino a dicembre. Il che significa, secondo i sindacati, la certezza della chiusura dell’impianto. Inoltre, Descalzi ha garantito la continuità operativa soltanto per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e per la propria quota del 50% di Milazzo. Quindi a rischio chiusura ci sarebbero, oltre alla raffineria di Gela, anche quelle di Taranto, Livorno e Porto Marghera e il petrolchimico di Priolo (Siracusa). Decisioni che “comportano pesanti ricadute sull’intero sistema industriale e occupazionale nel nostro Paese, facendo terra bruciata sull’industria italiana”, dicono i sindacati.