Le Piccole e medie imprese italiane hanno sofferto moltissimo il clima di recessione. Dal 2007 al 2014, una su cinque è uscita dal mercato. I numeri spiegano meglio quanto sia drammatico il trend: le aziende fallite negli ultimi sette anni sono tredicimila. Cinquemila, inoltre, hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e ventitremila sono state liquidate volontariamente.La recessione, dunque, ha gravato di molto sulla reddittività. Le Pmi hanno lasciato sul terreno trentuno punti percentauli di margine operativo lordo e hanno ridotto il Roe, il ritorno sul capitale investito, passato dal 13,9 per cento al 5,6 per cento. Di conseguenza, il Roe è stato dimezzato.Negli ultimi tempi si parla sovente di ripresa per l’intera filiera, ma se ci sarà sarà molto lenta. Solo nel 2015-2016 i guadagni e i margini lieviteranno, ma alcune cifre non torneranno mai ad essere uguali al periodo che ha preceduto la grande recessione. In altri termini la redditività sarà comunque inferiore del 25%.Cerved ha curato un rapporto sulle Piccole e medie imprese, presentando un’analisi dettagliata della situazione economica-finanziaria:
Così come le definisce la Ue, si tratta delle aziende con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni e tra 10 e 250 dipendenti. In questa forchetta, ci sono in Italia 144mila società che nel complesso generano un giro d’affari di 851 miliardi, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12 per cento del Pil e che hanno contratto debiti finanziari oper 271 miliardi”. Il che comporta che il fatturato medio di una Pmi italiano si aggira sui 6 milioni all’anno.
Sono inoltre diminuite, negli ultimi tre anni, le possibilità di fare affidamento sul credito bancario. Dal 2011 al 2013 i debiti finanziari delle Pmi si sono ridotti di 4,1 punti percentuali, mentre quelli delle grandi società sono lievitati nel 2012 e si sono ridotti solo in parte (-0,9 per cento) durante lo scorso anno. La Cerved sostiene che la maggior parte delle imprese fallite erano già in difficoltà nel periodo che ha preceduto la crisi. Trovano però spazio in questa analisi anche quelle aziende che nonostante inequivocabili segni di vitalità sono state espulse dal mercato più per problemi di liquidità che di sostenibilità economica.