Dal primo gennaio 2016 tutti i requisiti anagrafici per il conseguimento delle prestazioni pensionistiche si innalzeranno di 4 mesi. Dipende dall’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita. Adesso questa modifica al mondo delle pensioni è ufficiale e c’è anche un riferimento normativo.
Dal primo gennaio 2016 si andrà in pensione 4 mesi più tardi. Lo dice un decreto interministeriale firmato il 16 dicembre 2014 dal ministero del Lavoro e da quello dell’Economia. Dopo il primo adeguamento che era scattato il primo gennaio 2013, adesso c’è un nuovo adeguamento che interessa tutte le tipologie di prestazione:
- le pensioni di vecchiaia,
- le pensioni anticipate,
- le pensioni anticipate contributive,
- l’assegno sociale,
- le pensioni in regime di armonizzazione,
- le pensioni dei lavoratori usurati,
- la totalizzazione,
- tutte le altre pensioni.
La normativa parla chiaro: gli adeguamenti interessano anche i lavoratori salvaguardati, cioè tutti coloro per i quali è stata considerata valida la vecchia disciplina di pensionamento. Per cui, viste le nuove norme, dal primo gennaio 2016 si potrà ottenere la pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi oppure con 42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini potranno andare in pensione anticipata. Per le donne la pensione anticipata sarà dopo 41 anni e 10 mesi.
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Probabilmente il “peggioramento” più eclatante lo subiranno le donne che lavorano nel settore privato che oltre all’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, subiranno anche un innalzamento di un anno e mezzo per la pensione di vecchiaia. Questo secondo scatto si deve alla parificazione dell’età pensionabile con gli uomini. Quindi si passerà da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi.
Dal primo gennaio 2019 ci sarà un terzo adeguamento di altri 4 mesi e poi dal 2019 gli adeguamenti saranno a scadenza biennale nel 2021, nel 2023, nel 2025 e via dicendo. La legge ha inoltre stabilito che nel 2021 per la pensione di vecchiaia l’età pensionabile dovrà essere di almeno 67 anni.