In atto c’è un’asta tra due diverse cordate di fondi di investimento e operatori del comparto del ‘divertimento’ su scala globale ai fini della conquista del Cirque du Soleil.
Il celebre gruppo canadese di circensi è stato messo in vendita dal fondatore Guy Laliberté, che ha dato vita alla sua creatura nel lontano 1984.
Attualmente, però, dopo un periodo di difficoltà che ha portato il gruppo (4mila dipendenti, 1.300 artisti e spettacoli in 50 Paesi) a chiudere il primo bilancio in rosso nel 2012, serve energia e finanza fresca per il rilancio. Così l’ex artista di strada diventato imprenditore e miliardario ha deciso di mettere sul mercato la quota di maggioranza della società, quando in un primo momento sembrava volesse privarsi solo del 30-40% del Circo.
In campo vi sono ora due cordate: da una parte, secondo quanto emerge dalle indiscrezioni che riporta la stampa anglosassone, Cvc Capital Partners e Provicence Equity Partners. Dall’altra l’americana Tgp e i cinesi di Fosun. Si tratta con ogni probabilità di nomi che non dicono molto al grande pubblico, ma sono colossi del private equity con una storia di acquisizioni e cessioni molto spessa e bocche da fuoco (finanziariamente intese) di proporzioni enormi. Forse proprio l’ultima società che si è unita alla partita, la conglomerata cinese Fosun, è quella più familiare: di recente è stata protagonista della battaglia con il finanziere italiano Andrea Bonomi per conquistare il ClubMed, riuscendo vincitrice dopo un botta e risposta di rialzi sul prezzo d’Opa per conquistare il gruppo francese delle vacanze.
Da parte dei fondi sarebbe stata avanzata un’offerta da 1,5 miliardi di dollari, ma Laliberté vorrebbe di più. Recentemente si era detto che la sua valutazione, insieme all’advisor Goldman Sachs che segue l’operazione, si aggirasse sui 2 miliardi. Basta pensare che nel 2010, quando cedette un pacchetto del 20% del Cirque du Soleil a investitori di Dubai, la società valeva 2,7 miliardi. Poi l’economia emiratina entrò in crisi con la bolla immobiliare e i fondi fermarono la prevista salita nel capitale del gruppo canadese. Anzi, Laliberté riacquistò una quota e si riportò al 90% del capitale.