Si lavora su questo progetto da molti anni. La Sogin ha escluso le aree in Italia che non possono ospitare il deposito dei rifiuti nucleari prodotti dallo smantellamento delle centrali e dei reattori di ricerca.
Il risultato, secondo quanto dichiarato dal direttore del futuro deposito, Fabio Chiaravalli è più che soddisfacente. Ci sono decine di siti idonei lungo tutta la penisola. Quello portato avanti dalla Sogin è stato un lavoro rigoroso: nella carta saranno segnalati solo le aree che rispondono a tutti i criteri previsti dalla legge e dalle norme internazionali. Un’istruttoria iniziata cinque anni fa e accelerata negli ultimi sette mesi, forniti anche gli ultimi chiarimenti chiesti da Ispra e dai ministeri competenti (Ambiente e Sviluppo) che hanno permesso di superare strategicamente lo scoglio delle elezioni regionali. Manca l’ok alla pubblicazione, che arriverà in poche settimane
Il metodo scelto è quello della trasparenza assoluta: un diluvio di 5000 pagine e centinaia di cartine dovrebbero spiegare perché è assolutamente sicuro che in quelle decine di aree si possano ospitare 90 mila metri cubi rifiuti radioattivi, una destinazione definitiva per 75mila metri cubi a bassa e media intensità e un soluzione temporanea per 15mila ad alta intensità. Oggi sono sparsi per i vari luoghi nucleari. Si punta a disinnescare la paura per una infrastruttura contro cui si sono già scagliati diversi enti locali temendo l’inquinamento e i pericoli per la salute degli abitanti. L’ambizione è quella di convincere della bontà e della convenienza del progetto almeno un paio di amministrazioni locali tanto che mostrino tra qualche mese il proprio interesse
Nello specifico, la Sogin e il governo vogliono ripetere l’esempio d’oltralpe dove l’eredità nucleare è gestita con il dialogo.