Ci sono ancora troppe difficoltà per i mercati emergenti. Il cielo è cupo e si prevede pioggia sul bagnato. Il ribasso del rating del Brasile, ormai attestatosi a livello “spazzatura” secondo S&P, è solo l’ultima doccia fredda su un insieme di Paesi, e di strumenti di investimento, che erano stati visti con grande interesse nel recente passato, soprattutto visti i tassi prossimi allo zero che caratterizzano l’Europa, e che ora molti guardano con timore.
Soprattutto adesso, a poche ore della cruciale decisione della Fed, che potrebbe rialzare i tassi e mettere ancora più in difficoltà il corposo debito estero dei questi stati, espresso in larga maggioranza in dollari.
Tuttavia, tra gli esperti i pareri non sono unanimemente negativi. Decisamente preoccupati gli analisti di Ubs, che intitolano le loro riflessioni “I paesi emergenti entrano in una nuova, pericolosa fase”. Secondo Ubs infatti si è rotto il meccanismo per cui, negli anni, nonostante la debolezza della generazione di utili, i paesi emergenti avevano mantenuto una buona capacità di servire il debito. Non siamo ancora arrivati ai livelli di guardia del periodo 1996-2002, gli anni peggiori della crisi dei paesi emergenti, ma gli analisti notano come i progressi fatti negli ultimi dieci anni siano stati ora azzerati. Ubs è preoccupata in particolare dal mix potenzialmente pernicioso di monete locali deboli e spread creditizi più ampi.
Le aree più in difficoltà, secondo gli esperti di Ubs, sono il Brasile, il Sud Africa e in modo particolare la Turchia, mentre sono meglio posizionati Israele, Filippine e i paesi Ce3: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Tra i fattori che invece potrebbero far migliorare il quadro complessivo, gli analisti svizzeri segnalano il fatto che il deprezzamento delle valute potrebbe dare una spinta alla competitività dell’export, unito magari ad una crescita globale più forte delle attese, proprio in quei settori in cui sono più presenti i paesi emergenti.