Dopo aver comunicato di voler diminuire la giornata lavorativa a sei ore, la Svezia dà l’annuncio dell’addio all’energia fossile per diventare, insieme al Costarica, uno dei primi paesi “verdi” al mondo.
Il primo ministro svedese, Stefan Löfven, dinanzi all’assemblea generale dell’Onu ha avviato la rivoluzione energetica di Stoccolma che già oggi genere il 66% delle propria energia da fonti rinnovabili: “I bambini devono crescere in un ambiente sano, privo di tossine. Combattere le sostanze nocive e far pagare chi inquina è alla base del nostro modo di fare politica”.
Certo, quella svedese non è un’assoluta novità: la tendenza è condivisa da tutti i paesi nordici. Basti pensare che in una normale giornata di vento la Danimarca produce il 140% del proprio fabbisogno energetico attraverso le pale eoliche esportando poi la quantità in eccesso in Germania, Svezia e Norvegia. L’Islanda, invece, è già partita da tempo: investendo nell’energia idroelettrica e geotermale e arrivata a coprire quasi il 100% del proprio fabbisogno. Il problema della Svezia, però, è più complesso: si tratta di un paese industrializzato con dieci milioni di abitanti che vuole dire completamente addio al carbone entro i prossimi 20 anni.
Il governo, però, ha tracciato la strada: a bilancio sono stati iscritti 4,5 miliardi di corone (484 milioni di euro) da investire in infrastrutture verdi, dai pannelli solari alle turbine avanto, dal trasporto pubblico ecologico a reti energetiche più “intelligenti”. Altri 50 milioni di corone saranno spesi in ricerca e sviluppo per lo stoccaggio dell’elettricità e un miliardo sarà investito per migliorare i palazzo residenziali e renderli più efficienti. Fuori dai confini svedesi, poi, saranno spesi 500 milioni di corone l’anno per realizzare infrastrutture verdi nei paesi in via di sviluppo con l’obiettivo di dare “un segnale importante” al mondo occidentale in vista della conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si terrà a dicembre a Parigi.