I greci possono aspettare. La Chiesa invece può procedere senza limiti. Il governo Tsipras-bis ha iniziato il suo secondo mandato confermando una decisione che ha scatenato le polemiche ad Atene: quella di allentare i controlli dei capitali.
Non per i comuni cittadini tuttavia (per loro il limite ai prelievi resta di 60 euro al giorno) bensì per il clero ortodosso, che ha la necessità – come hanno spiegato i metropoliti – “di continuare a far funzionare le sue attività sociali e di beneficenza”. Le nuove norme firmate dal ministero delle finanze prevedono che le singole arcidiocesi possano ritirare 10mila euro al mese (contro i 1.280 circa previste) e quella di Atene – vista la complessità del territorio da assistere – fino a 20mila. “Si tratta di un provvedimento valido per tutte le realtà religiose e non solo per quella ortodossa – ha precisato l’esecutivo – e che riguarda solo l’istituzione e non i singoli preti per cui i limiti restano in vigore”.
L’aiutino di Tsipras conferma il suo rapporto pragmatico con la Chiesa ellenica i cui interventi di welfare – va detto – sono stati uno degli ammortizzatori sociali più efficaci negli ultimi cinque anni di crisi. Il premier è stato il primo presidente del Consiglio a non prestare giuramento religioso, i suoi figli non sono battezzati. Al di là dei gesti simbolici, però, quando ci sono stati di mezzo gli interessi più concreti (leggi i quattrini) il governo Syriza non se l’è sentita di rompere i ponti con il potere ecclesiastico cui tra l’altro è legato a doppio filo il partner di governo Panos Kammenos, leader della destra di Anel. Molti degli antichi privilegi del clero sono rimasti intatti: lo Stato continua regolarmente a pagare lo stipendio (circa 220 milioni l’anno) a 10mila preti.