Per la ripresa, l’Italia punta sulla politica adottata dalla Bce. Il mare di liquidità degli ultimi mesi ha risanato i bilanci delle banche, rianimato le Borse, risvegliato la domanda.
I risultati e le prospettive dell’economia italiana vanno valutati su questo sfondo. Mai, in questi anni, c’è stato uno stimolo monetario così potente. E mai abbiamo potuto sfruttare una caduta a candela di un prezzo strategico come quello del petrolio. La loro somma fa una bonanza impensabile, eccezionale, irripetibile, rispetto alla quale un tasso di sviluppo anche dell’1% non sembra più tanto incoraggiante. Anzi, forse, modesto, un po’ come se stessimo perdendo un’occasione che difficilmente tornerà. D’altra parte, una ripresa che non nasce da fattori interni, come un brusco salto di produttività, ma è alimentata soprattutto da fattori esterni, come la liquidità della Bce e il basso prezzo dell’energia, pone, al di là degli ottimismi ufficiali, il quesito: quanto dura?
Anche se l’austerità morde meno, è difficile pensare che basti la rivitalizzazione della domanda interna di consumi e investimenti a sostenere la ripresa. In Italia non è mai stato così. Ma se guardiamo all’estero e alle esportazioni, il panorama non è confortante. L’Europa dovrebbe crescere al non esaltante tasso dell’1,5-1,6%, ma questo presuppone che a quel ritmo si muova la Germania. Gli ultimi dati tedeschi disponibili, tuttavia, non sono luminosi. Ad agosto produzione industriale e ordini alle imprese, in Germania, sono, a sorpresa, diminuiti e la bomba Volkswagen non era ancora esplosa. Fuori dall’Europa c’è il rallentamento cinese e delle economie emergenti, ancora non pienamente riflesso nelle statistiche, insieme al ridimensionamento di buoni clienti come il Medio Oriente, dove il crollo del greggio sta facendo stringere i cordoni della borsa. Restano gli Usa.
Anche qui, l’economia non fa sentire il suo ruggito. La previsione è di un’espansione del 2,6%, non straordinaria per l’America. Ma dentro la Federal Reserve ci sono pessimisti che temono non si vada al di là dell’1%, perché i salari non crescono abbastanza da sostenere i consumi e il dollaro forte penalizza l’export. E’ un quadro molto fragile, oscurato dai dati finora disponibili sulle nostre esportazioni: nei tre mesi d’estate sono diminuite, con un calo netto di quelle extra-Ue. Per ora, lasciate lo spumante in frigo.