Il rallentamento della crescita dell’economia cinese, che preoccupa i mercati finanziari, grava anche sull’export italiano e fa suonare un campanello d’allarme per l’intera crescita italiana.
Nel report sugli scambi fuori dall’Unione europea di ottobre, l’Istat ha tracciato “una flessione congiunturale per entrambi i flussi commerciali, più marcata per le esportazioni (-1,7%) che per le importazioni (-0,2%). L’avanzo commerciale è pari a +3,5 miliardi di euro, in riduzione (-449 milioni di euro) rispetto a ottobre 2014”. Il saldo dall’inizio dell’anno resta “ampiamente positivo e in crescita rispetto all’anno precedente: +24,4 miliardi (+19,1 miliardi nello stesso periodo del 2014). Al netto dei prodotti energetici, l’avanzo commerciale raggiunge +50,9 miliardi (era +53,8 miliardi nel 2014)”.
A preoccupare, come accennato, è soprattutto la dinamica verso il colosso asiatico, che però non è il solo Paese in sofferenza. Nel lotto dei cosiddetti Brics, infatti, anche il flusso verso il Brasile, scivolato in recessione, è in rallentamento. D’altra parte, anche nelle stime sulla crescita del Pil per l’intero 2015, molti osservatori hanno sottolineato che il maggior rischio rispetto al centrare gli obiettivi del governo. Dall’Ocse alle agenzie di rating comeMoody’s, molti hanno puntato il dito contro la parte del mondo che – fino a poco tempo fa – si considerava come la più dinamica e che ora, invece, appiattisce le prospettive di ripresa globali. Già il Prodotto tricolore della terza parte dell’anno, infatti, ha registrato un modesto +0,2% che rende più difficile centrare il +0,9% annuo stimato dal governo nella nota di aggiornamento del Def. Quando fu pubblicato quel dato, gli analisti di Unicredit annotarono “una sorpresa al ribasso” dipendente proprio dalla “debolezza delle economie emergenti”.