Presi dalla crisi, dalle tasse e dalla necessità di tirare avanti, ci capita sempre meno spesso di buttare lo sguardo verso l’esterno, verso quei Paesi che sono in crisi e che con le loro difficoltà ci potrebbero indicare cosa è bene fare e cosa sarebbe meglio evitare.
Con l’aiuto di Repubblica che ha dedicato ampio spazio al Venezuela, alla Finlandia e alla Grecia, proviamo a riepilogare quello che succede non troppo lontano dall’Italia.
Venezuela al voto
Poco meno di 20 milioni di venezuelani sono oggi chiamati alle urne per scegliere i 167 deputati dell’Assemblea Nazionale, il Parlamento unicamerale di Caracas, in un appuntamento elettorale che si caratterizza come un vero e proprio referendum sul governo di Nicolas Maduro e il futuro del chavismo. In una data simbolica (il 6 dicembre 1998 Hugo Chavez fu eletto presidente per la prima volta), si verifica uno snodo fondamentale per un Paese costantemente sull’orlo del crack, a maggior ragione da quando il petrolio tratta a livelli di prezzo bassissimi mettendo così in crisi un’economia che si appoggia per la stragrande maggioranza sull’esportazione di oro nero.
Finlandia vittima dell’austerity
la Finlandia è diventata il paese meno produttivo e meno efficiente, sul fronte di costo del lavoro e produttività, di tutta l’Eurozona con la sola eccezione della Grecia. Il fallimento dei negoziati tra governo e parti sociali su ipotesi di riforme per rilanciare competitività e lavoro minaccia di aggravare la situazione, anche con ondate di scioperi, uno scenario quanto mai raro nell’area scandinava.
I negoziati erano stati promossi dal nuovo governo di destra – composto dai conservatori guidati dal premier ed ex imprenditore di successo Juha Sipilae, e dai nazionalpopulisti antieuro xenofobi ed euroscettici (Perussuomalaiset, i finnici autentici) del ministro degli Esteri, Timo Soini. Sul tavolo della trattativa tra esecutivo, sindacati e datori di lavoro erano diverse ipotesi per ridurre il costo del lavoro, aumentare la produttività, introdurre più flessibilità sul fronte dell’occupazione. Ma nei giorni scorsi, il tentativo è fallito: le posizioni restano troppo rigide e lontane.
Grecia e l’ennesima riforma lacrime e sangue
La Grecia trova sotto l’albero di Natale un bel pacco pieno (tanto per cambiare) di austerità. Il Parlamento ha approvato nella notte con 153 voti su 300 la finanziaria 2016. L’ennesimo provvedimento lacrime e sangue imposto dalla Troika in cambio di 86 miliardi di nuovi prestiti. Le misure da applicare l’anno prossimo prevedono 2,5 miliardi di risparmi grazie alla riforma sulle pensioni e ad altre sforbiciate alla spesa pubblica e 3,2 miliardi di entrate grazie a nuove tasse. L’obiettivo è chiudere quest’anno con il Pil piatto (contro il calo del 2,3% previsto prima) e il 2016 con un conservativo – 0,7%. Il debito ellenico continuerà a crescere raggiungendo l’astronomica cifra del 187,8% del pil, mentre la disoccupazione resterà stabile al 25,4%. Sperando che dal 2017 in poi il tempo possa volgere verso il bello.