Il collegamento tra banche e rischio sovrano, ovvero la possibilità che lo Stato nel quale gli istituti dimorano sia sommerso da problemi economici, è stato messo sotto i riflettori dalla crisi finanziaria.
Ed è la nuova partita politico-finanziaria che divide l’Unione. Una banca può esporsi al rischio legato alla tenuta del suo Stato in primo luogo attraverso la sottoscrizione dei titoli che il Tesoro emette, ma anche con l’emissione di mutui o finanziamenti alla Pubblica amministrazione e quindi in considerazione del rapporto fiscale che lega il pubblico e il privato.
Un credito d’imposta è tale, ad esempio, fin quando c’è qualcuno che garantisce che verrà versato a chi lo vanta.
A Nord delle Alpi si spinge sempre di più perché quel collegamento si rompa. Ovvero, si limiti in primo luogo la possibilità delle banche di sottoscrivere titoli di Stato domestici (cioè emessi dal Paese di residenza), verosimilmente con una soglia del 25% del portafoglio titoli delle aziende di credito. Una eventualità che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha già escluso categoricamente, minacciando il veto a Berlino. I tedeschi, invece, credono che sia la contropartita per avviare davvero l’Unione bancaria, anche con l’introduzione di una garanzia comune per i depositi. La fotografia sintetica è: la Germania si rifiuterà di garantire i depositi dei greci (giusto per esemplificare), finché le banche elleniche saranno infarcite di titoli di Stato domestici e quindi esposte in gran parte al rischio di fallimento della Grecia stessa. Gli analisti convergono sull’idea che abbia una logica, ma paventano anche i rischi di imposizioni troppo brusche in termini di stop alla concentrazione dei titoli o di richieste patrimoniali aggiuntive a loro copertura. Come riportato nei giorni scorsi da Repubblica, uno studio di Mediobanca Securities indica in 5,7 miliardi il deficit di capitale degli istituti italiani, con ipotesi conservative di richieste aggiuntive di riserve a copertura del portafoglio di titoli domestici.
La tabella, prodotta dal Parlamento europeo, evidenzia l’esposizione media delle banche (le singoli posizioni possono dunque esser ben diverse) nei confronti del rischio sovrano del Paese di riferimento, compresi quindi i bond, i prestiti e i rapporti fiscali. A questo dato, fa seguito l’esposizione ai soli titoli sovrani domestici, in percentuale degli asset totali. L’Italia spicca per essere uno dei Paesi con il legame più stretto tra banche e Stato, il motivo per cui la proposta tedesca genera la ferma reazione di Palazzo Chigi. Una posizione che ha incassato recentemente un’apertura del Parlamento Ue, che in una mozione sull’Unione Bancaria ha richiamato a “valutare con attenzione le possibili modifiche”, per non ridurre la possibilità di finanziamento degli Stati membri.