Senza dubbio le ultime mosse Bce sono inedite dal punto di vista storico. E i media le hanno enfatizzate a dovere. Prestiti a tassi negativi per le banche che finanziano le imprese, che si aggiungono alle iniezioni di liquidità e alle manovre di quantitative easing varate negli ultimi mesi: ce n’è di che suscitare reazioni e alimentare speranze.
Eppure gli italiani non sembrano aver accolto i nuovi provvedimenti di politica monetaria con particolare entusiasmo. Almeno sinora.
Dall’inizio del 2016 l’indicatore del grado di ottimismo on-line degli italiani nei confronti del proprio futuro personale ha evidenziato infatti un trend negativo, che riflette la difficile situazione quotidiana delle famiglie provate dalla crisi economica. L’indice di fiducia nelle prospettive del paese, invece, pur esibendo valori costantemente inferiori alla fiducia personale, ha avuto andamenti alterni, registrando – con fasi di miglioramento – una certo ottimismo sulle possibilità del sistema Italia di uscire in modo definitivo dal tunnel della recessione.
Difficile che quella italiana sia una insoddisfazione verso le manovre del banchiere centrale: alla Bce, francamente, non si potrebbe chiedere di più. Più probabile che il pessimismo sia strutturale, indotto dall’osservazione della congiuntura e aggravato dalle tinte fosche che assume, ogni giorno di più, il quadro delle relazioni politiche internazionali.
Per vincere tale pessimismo la promessa di politiche monetarie eroiche non basta (forse) più: una reazione positiva si avrà, probabilmente, solo a fronte di segnali di miglioramento visibili, attuali e non fragili, che superino quello iato che sembra ancora esistere tra Main Street e Wall Street (o Sonnemannstrasse, se pensiamo all’indirizzo di Francoforte della Bce), almeno nel percepito generale. Sarà interessante osservare cosa succederà in questo senso nelle prossime settimane.