Strana coincidenza. Il gruppo Armani lascia la Svizzera di gran carriera, trasferendo a Milano la propria sede di Mendrisio, con conseguenze dolorose per un centinaio di persone, proprio mentre il Parlamento elvetico, su richiesta esplicita e prolungata dell’Ocse, elimina gli sgravi fiscali alle imprese estere che si sono insediate nella Confederazione, attratte dalla prospettiva di pagare poche tasse.
Sgravi che saranno, in parte, compensati, con una defiscalizzazione degli utili. Intanto, d’accodo con l’Organizzazione Cristiano Sociale Ticinese, equivalente svizzero della Cisl, Armani Swiss Branch ha messo a punto un piano sociale per i dipendenti coinvolti nella delocalizzazione. Quelli che perderanno il posto di lavoro, una quarantina, riceveranno una buonuscita di 10 mila franchi, poco più di 9mila euro. I 58 impiegati che, invece, seguiranno il gruppo nel suo rientro a Milano, e che vedranno il loro stipendio diminuire di più della metà, ovvero da 4mila a 1.500 euro, si vedranno riconoscere un’indennizzo di 3mila franchi, poco sopra i 2mila euro.
All’Armani Swiss Branch di Mendrisio, che si occupava di logistica, recupero crediti e dazi doganali, rimarranno a lavorare, ma solo per pochi mesi, il tempo di chiudere definitivamente la filiale, non più di 10 persone. Al colosso italiano della moda il piano sociale costerà all’incirca sui 900 mila euro. “Purtroppo si chiude, tutto sommato però dobbiamo accontentarci, perché abbiamo un attimo di respiro in più”, il commento alla tv pubblica ticinese di Tamara Ortelli, impiegata alla sede elvetica di Armani da 13 anni, che ha deciso di non accettare il trasferimento a Milano. Da sottolineare che, per la legge svizzera, il gruppo italiano non era tenuto a sottoscrivere un piano sociale. A quanto pare la decisione di trattare, con il sindacato, su questo punto, è dovuta a una questione di immagine.