Twitter lunedì prossimo celebrerà i suoi primi dieci anni. Ma c’è poco da festeggiare per il sito di microblogging che non naviga in acque calme e fatica a trovare la sua chiave di volta rimandando da un mese all’altro una concreta ripartenza.
Soprattutto dal punto di vista economico. Dal 2006 il gruppo non è ancora riuscito a chiudere un bilancio in attivo: nell’ultimo trimestre del 2015 ha registrato 710,5 milioni di dollari di ricavi, in rialzo del 48,3% rispetto ai 479,1 milioni dello stesso periodo dell’anno prima, ma ha perso 90,2 milioni (125,4 milioni nel 2014).
A preoccupare gli addetti ai lavori, però, è soprattutto l’immobilismo degli utenti attivi: tra ottobre e dicembre sono rimasti fermi 320 milioni, come nel trimestre precedente. E ai mercati non è bastata certificare una crescita del 9% su base annua. Così come non ritengono sufficienti le spiegazioni di Jack Dorsey – il co-fondatore tornato alla guida di Twitter in seguito alla fuga di massa dei dirigenti – secondo cui oltre agli utenti regolarmente registrati, almeno 500 milioni di navigatori supplementari gravitano regolarmente sul sito senza registrarsi e almeno un miliardo lo fanno saltuariamente.
D’altra parte Twitter non è proprio un social network, ma è piuttosto un ibrido tra un social network e una piattaforma di comunicazione che mette in circolo informazioni. E così quello che era considerato un punto di forza, rischia ora di trasformarsi in una criticità vista la fatica ad allargare la propria base utenti e il raggio d’azione. Il sito di microblogging si è ritagliato uno spazio importante per la comunicazione politica: i candidati alla Casa Bianca la usano per mettersi in contatto con i loro elettori. Donald Trump praticamente tweetta e respira in simbiosi.