La Banca di Russia ha deciso di mantenere inalterati all’11% i tassi di riferimento, in considerazione dei “rischi elevati” relativi all’inflazione, malgrado il recupero del rublo e le migliorate condizioni esterne sui mercati.
Per il quinto board consecutivo, dunque, l’istituto del governatore Elvira Nabiullina non ha allentato la politica monetaria, smentendo le aspettative del governo di Mosca, che riteneva possibile la mossa stavolta, dopo il rally del cambio, che nel giro di meno di 2 mesi è arrivato a rafforzarsi del 18% contro il dollaro.
La banca centrale russa ritiene che da qui a un anno, l’inflazione nel paese sarà del 6%, ben al di sopra del target del 4%, seppure in deciso rallentamento dal picco del 16,4% toccato nel corso del 2015. A gennaio, la corsa dei prezzi ha subito un rallentamento sotto il 10%.
Alla notizia, il cambio si è ulteriormente apprezzato, portandosi a 67,5939 contro il biglietto verde, sostenuto anche dal rialzo del Brent, che in questi minuti guadagna l’1,47%, attestandosi a 42,15 dollari al barile. Eppure, il bilancio pubblico è stato basato sulla previsione di quotazioni medie del greggio a 50 dollari, per cui ai livelli attuali si rischia un deficit fiscale più ampio di quanto stimato, considerando che oltre il 40% delle entrate statali derivano dalla vendita di petrolio e gas.
L’istituto considera il rally del petrolio “insostenibile”, tenuto conto dell’eccesso persistente dell’offerta sul mercato, dell’aumento della produzione dell’Iran dopo la fine delle sanzioni e del rallentamento dell’economia in Cina. Per questo, stima le quotazioni medie per quest’anno a 30 dollari al barile (sotto i livelli attuali di oltre il 25%) e a 40 dollari al 2018.