Il 23 giugno potrebbe verificarsi l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. La Brexit, ad oggi, spaventa analisti di mercato e grossi istituti di credito nonché super potenze quali il Fondo monetario internazionale.
Washington, in un lungo rapporto, ammonisce:
Farebbe precipitare in un prolungato periodo di accentuata incertezza, assestando un colpo all’economia e provocando volatilità nei mercati finanziari.
Quali potrebbero essere le conseguenze della Brexit?
Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, non ha dubbi:
Si tratta di un rischio importante, non è una questione interna, ma una questione internazionale. Una recessione tecnica, ovvero almeno due trimestri di contrazione del pil, è una possibilità dello scenario negativo che prospettiamo nel caso in cui dovesse prevalere il voto per l’uscita.
In caso di Brexit, dunque, il tasso di crescita dell’Inghilterra nel lungo periodo potrebbe ridursi di un valore compreso tra l’1% e il 9%. Invece per coloro i quali si dimostrano a favore di una Brexit, qualsiasi effetto negativo di breve periodo, che potrebbe andare a impattare sull’economia britannica, sarebbe gestibile.
Ma il Fmi non fa che lanciare avvertimenti già ampiamente pronosticati da Banca d’Inghilterra e Ocse, le quali ha anche quantificato l’impatto che deriverebbe da un eventuale voto favorevole all’abbandono dell’Ue: l’uscita di Londra brucerebbe il 3% di crescita del pil entro il 2020 e il 6% entro il 2030, portando con sé una tassa e non una tassa una tantum.
Un balzello che costerebbe alle famiglie del Regno Unito 3200 sterline di media. Un’imposta che equivale mediamente, ha precisato l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, a un mese di reddito di un nucleo familiare. Maturerà progressivamente nei quattro anni successivi all’uscita dall’Ue, ma continuerà a pesare sui cittadini britannici fino al 2030.