Senza dubbio l’Irlanda rappresenta una delle storie più riuscite dalla nascita dell’Unione europea. Da quando si è unita al blocco nel 1973, il Paese un tempo fondamentalmente agricolo ha vissuto una profonda trasformazione.
Ora è uno dei più ricchi del Vecchio Continente, costituendo una base per le aziende di tecnologia e farmaceutiche all’avanguardia. Ma con la sentenza Apple da cui il Paese dovrà recuperare 13 miliardi di euro di tasse non pagate, in base a quanto dichiarato dal governo irlandese, la Commissione europea ha posto a rischio tale traguardo. Secondo Bruxelles gli accordi offerti alla società nel 1991 e nel 2007 rappresentano aiuti di Stato illegali.
Mercoledì scorso il governo ha ottenuto l’approvazione del Parlamento per ricorrere in appello. Ma la sentenza ha comunque sollevato questioni, all’interno e all’esterno del Paese, circa l’importanza delle tasse nell’ambito di un modello economico di crescita seguito, in un modo o nell’altro, dal 1959.
La crescita irlandese è stata alimentata in gran parte dall’arrivo di aziende statunitensi in cerca di un approdo in Europa. L’Ue ha sostenuto lo sviluppo, stanziando grandi somme per il miglioramento delle infrastrutture del Paese con lo scopo di renderlo più attraente agli occhi degli investitori esteri.
Parte fondamentale del modello è stata un’aliquota alle imprese del 12,5%. Oltre a ciò, situare la sede europea in Irlanda ha aiutato le aziende a ridurre l’imposizione fiscale complessiva in Europa in una misura che, nel caso Apple, Bruxelles considera sleale nei confronti della concorrenza.
Il dibattito prima del voto di mercoledì ha messo a nudo evidenti divisioni politiche circa l’importanza delle politiche fiscali irlandesi nell’attirare le imprese estere.