“Per capire le condizioni economiche della Turchia bisogna conoscere bene il contesto politico”, spiegano subito da Geneve Invest. Il tasso di inflazione annuale turco è salito a maggio 2018 al 12,2% rispetto al 10,9% di aprile, certificando definitivamente la situazione di grande difficoltà della lira turca, oggi uno dei temi più complessi da affrontare per l’economia dello stato eurasiatico. La banca centrale è intervenuta per arrestare il calo della moneta nazionale, che negli ultimi 12 mesi ha perso più di un quinto del suo valore rispetto al dollaro, portando i tassi d’interesse al livello record del 16,5%, con un aumento di 300 punti base, senza però risolvere i problemi strutturali di una Turchia che patisce la politica di “crescita a tutti i costi” del presidente, appena rieletto, Recep Tayyip Erdogan, che ha gonfiato a dismisura l’economia con continui incentivi statali. Se è vero che il prodotto interno lordo ha registrato un aumento del 7,4% durante il primo trimestre dell’anno precedente, superando la stima media del 7%, bisogna però tenere in conto che sia i consumatori che i produttori sono stati più pessimisti nel secondo trimestre, soffrendo per il calo nel programma di incentivi statali, che si sta allentando.
“Questa dinamica – spiegano gli analisti di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale con sede a Lussemburgo e Ginevra – è legata alla visione economica, decisamente non convenzionale, di Erdogan, secondo cui sono i tassi di interesse più alti a guidare a guidare l’inflazione, e non il contrario. Per questo, sino ad oggi la banca centrale ha avuto poco spazio nella gestione del fenomeno, e oggi, con una lira debole, la crescita prevista è inevitabilmente più bassa rispetto a quanto immaginato, intorno al 4% secondo i dati dell’istituto di statistica turco, contro il 7.4 del 2017 – continuano da Geneve Invest”.
Ad oggi i livelli del debito pubblico turco, il 28% del PIL, rimangono ben al di sotto della media europea, ma la Turchia dipende pesantemente dal capitale straniero. Il suo disavanzo delle partite correnti, uno dei più grandi al mondo, si è attestato al 5,6% alla fine del 2017, rispetto al 3,8% dell’anno precedente.
“Il debito estero del paese, sia privato che pubblico – analizza Neri Camici di Geneve Invest – è quasi raddoppiato dal 38% del PIL del 2008 a quasi il 70% di oggi, sino a raggiungere la cifra di 450 miliardi di dollari, cioè a dire il più grande debito estero del mondo rispetto al PIL per un’economia emergente, con il settore privato che rappresenta il 70% di questo debito. Anche se queste vulnerabilità non sono nuove – approfondisce Camici di Geneve Invest, che, fra le altre cose, si occupa di investimenti a tasso fisso – manca una visione strutturale chiara per l’economia turca, che ha subito in maniera pesantissima l’inasprimento della politica monetaria negli Stati Uniti, con un calo di oltre il 18% rispetto al dollaro da inizio anno e una perdita di valore complessiva che, dal 2013, supera il 50%. Sono tutte cose collegate fra loro – concludono da Geneve Invest – in quanto è proprio a partire dalle difficoltà della lira turca che le società locali hanno grandi difficoltà a fronteggiare il debito estero, di cui si spiegava poco sopra la grande entità.”
Il Fondo Monetario internazionale stimava che la crescita economica della Turchia sarebbe scesa al 4,3% quest’anno, dal 7% nel 2017. Tuttavia, è importante notare che questa proiezione è stata fatta prima che il paese si registrasse il picco inflazionario vissuto a partire dall’aprile scorso. Per questo, più recentemente, Moody’s ha abbassato le sue previsioni per il PIL della Turchia al 2,5%, un calo che renderebbe la situazione economica turca ancora più complessa.