Dedicarsi alla prostituzione, come “lavoratori e lavoratrici” e non come consumatori occasionali o abituali, può essere molto redditizio. Fino a questo momento, però, le leggi in vigore nel nostro paese hanno puntato più che altro alla definizione dei reati invece che prevedere una forma di tassazione per l’attività in questione.
Qualcosa è cambiato il 24 luglio con l’ordinanza numero 18030 che ha deciso di qualificare la prostituzione come un’attività in grado di generare reddito e quindi come un’attività da sottoporre al sistema di tassazione in vigore nel paese. La sentenza citata della Cassazione prende le mosse da un’altra sentenza, emanata dalla Commissione tributaria della Regione Liguria. Ecco i termini della questione.
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Tutto è iniziato quando l’Agenzia delle Entrate ha notato dei conti correnti molto consistenti, attribuiti ad una donna rumena. La donna sembrava vivere al di sopra delle proprie possibilità, ma aveva un cospicuo conto in banca che non faceva il paio con le dichiarazioni rese al fisco.
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Alla la Commissione tributaria ligure ha spiegato che l’attività della donna, occasionale o illegale, doveva comunque essere tassata. In questo momento, dunque, ci si muove sul filo del rasoio perché da un lato c’è la prostituzione come reato e dall’altro la prostituzione considerata prestazione di servizi retribuita.