Poste Italiane non ha alcuna intenzione di firmare l’impegno (“equity committment”) per coprire parte degli esuberi di Alitalia.
Ed è questo, dopo l’accordo sugli esuberi, il grande ostacolo sull’ultima parte del percorso che dovrebbe portare Alitalia all’accordo definitivo con gli emiratini di Etihad. Ma la soluzione, stando a quanto ricostruito da Il Sole 24 Ore, potrebbe trovarsi in una richiesta di più impegno da parte dei piccoli soci privati.
A cominciare dal presidente dell’Atalanta Antonio Percassi, che nal mese di dicembre ha acquisito il 3,9% della compagnia per 15 milioni di euro. Questa scorciatoia, però, in effetti chiama di nuovo in causa la banca creditrice e primo azionista del vettore, Intesa Sanpaolo. Poiché a finanziare Percassi, anche per quell’investimento, è stato proprio l’istituto bancario. In seconda posizione sarebbe invece, secondo il Sole 24 Ore, l’industriale Davide Maccagnani, già proprietario di una fabbrica di esplosivi, socio della Cai con il 3,69% dopo l’ultima ricapitalizzazione. Un loro possibile impegno, in ogni caso, non potrebbe bastare per sostituire Poste, azioniste con il 19,48%. E il 25 luglio i soci, al primo posto proprio Intesa e Unicredit (che ha il 13%), dovranno votare la proposta di aumento di capitale per 200-250 milioni. La quota di spettanza di Poste ha un valore di circa 50.
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E intanto si pensa al rientro dello Stato nel capitale attraverso Cdp. La Cassa, che appartiene per l’80% al ministero del Tesoro e amministra 240 miliardi di risparmio postale dei cittadini italiani, potrebbe essere disponibile a comprare le quote delle banche. Ma questo potrebbe avvenire solo dopo il risanamento della compagnia, dal momento che la Cdp è obbligata per legge a investire solo in aziende in utile.