Stangata Tares: le ragioni dell’aumento

 Con l’avvento del nuovo anno cambierà ancora la situazione fiscale degli italiani. Via Imu e via Tarsu e Tia, arriva la Service tax, che le sostituirà entrambe. Ma, come sempre accade in questi casi, è molto probabile che l’importo che i cittadini si troveranno a pagare potrebbe essere di più rispetto alla somma dei due tributi.

La Service tax racchiuderà, quindi, la tassa comunale sugli immobili  – nella Service Tax sarà la Tari – e la tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti – la Tasi – ma prima di allora, le famiglie e le aziende italiane dovranno pagare il conto della Tares.

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Secondo il numero uno della CGIA di Mestre, la Tares sarà una vera e propria stangate, soprattutto sulle attività produttive che, nonostante abbiano visto ridurre le loro attività e, di conseguenza, anche la produzione dei rifiuti, si potrebbero trovare a pagare anche fino al 22,7% in più. Gli aumenti toccheranno anche le abitazioni e i negozi, ma in maniera minore.

Se per le aziende, infatti, l’aumento potrebbe essere di 1.133 euro, un negozio medio di circa 70 mq potrà subire un aumento del 19,7%, pari a 98 euro, mentre per le abitazioni, se si prende in considerazione un’abitazione di 114 mq, l’aumento della tassa per i rifiuti sarà del 29,1%, circa 73 euro.

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La CGIA di Mestre ha anche voluto dare alcune spiegazioni per questo aumento, che sembrerebbe davvero ingiustificato. Secondo l’istituto, infatti, l’aumento è da far risalire al maggior gettito necessario per la copertura della Tares, ossia sia i costi di raccolta che di smaltimento dei rifiuti, e la maggiorazione di 0,3 euro a m/q su tutti gli immobili per finanziare le spese per i servizi indivisibili dei Comuni, come la manutenzione delle strade o l’illuminazione pubblica.

 

 

I motivi per cui la Riforma del lavoro del Governo Letta non funzionerà

 Con il Decreto Lavoro entrato in vigore il 31 agosto 2013, il Governo Letta ha voluto fare degli aggiustamenti e delle correzioni rispetto alla precedente normativa, con lo scopo di rilanciare un mercato che in Italia è ormai immobile da troppo tempo e che esclude una grossa fetta della popolazione.

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La disoccupazione in Italia è ormai ferma al livello record del 12% della popolazione attiva, percentuale che si alza in modo esponenziale quando l’analisi si restringe in base all’età: a soffrire di più della mancanza di lavoro sono i giovani, che non hanno modo di entrare in questo mondo (il tasso di disoccupazione per i giovani sotto ai 25 anni a luglio 2013 è stato al 39,5%, +0,4% rispetto a giugno e +4,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).

Tra le cause principali, per quanto riguarda i giovani, la mancanza di un filo diretto che porta i giovani dalla scuola al lavoro, un problema che il Governo Letta ha provato a risolvere con degli incentivi all’apprendistato e all’assunzione di giovani.

Ma, secondo alcuni esperti, tra i quali figura anche Tito Boeri, uno dei più importanti economisti italiani, il problema di questo Decreto lavoro, quello che lo porterà a non fare alcuna differenza per chi si trova senza lavoro, è proprio la struttura di questi incentivi all’occupazione, giovanile e non: gli incentivi sono temporali, ossia hanno una scadenza e anche molto ravvicinata. Fatto, questo, che li rende praticamente inutili:

Quando si hanno poche risorse da distribuire – afferma Boeri – è meglio che vengano concentrate in pochi provvedimenti di lunga durata, come poteva essere un sussidio permanente per le retribuzioni più basse. Altrimenti c’è il rischio che gli incentivi, distribuiti su troppi interventi e per periodi limitati, si esauriscano senza avere inciso sull’economia reale. Insomma, che siano soldi buttati via.

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Ma il problema sembra non essere solo questo: secondo la Prof. Silvia Ciucciovino dell’Università degli Studi di Roma Tre, c’è bisogno di un cambiamento radicale che porti all’eliminazione della prassi di una riforma all’anno,

almeno per due ragioni: in primo luogo perché l’instabilità e l’incertezza delle norme è un elemento di ulteriore disfunzionalità del mercato del lavoro e di scoraggiamento degli investitori stranieri a operare nel mercato italiano; in secondo luogo perché la crescita dell’occupazione dipende, non certo dalle norme, quanto da una seria politica di investimento sulla crescita economica del Paese.

Un nuovo piano di salvataggio per la Grecia?

 I problemi finanziari della Grecia sonio ancora lontani dall’essere definitivamente risolti. Il paese è ancora preda di una delle crisi economiche più gravi che si siano mai registrate e le condizioni poste dall’Europa per i piani di aiuto voluti in questi mesi non hanno aiutato a risolvere i problemi.

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I problemi finanziari della Grecia avrebbero dovuto risolversi entro la fine del 2014, ma a guardare le condizioni economiche e sociali del paese in questo momento, è chiaro come poco più di un anno di tempo non sarà sufficiente a risanare tali crepe del sistema.

La spirale che si è creata per la Grecia sta portando il paese verso l’unica soluzione possibile, ma anche quella che più di tutte si sarebbe voluto evitare, ossia la richiesta di una nuova tranche di aiuti all’Europa. A dirlo è stato Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo e ministro delle Finanze olandese, che parlando al Parlamento Europeo ha confermato i dubbi sulla situazione greca.

Sono in molti a pensare che la Grecia, la massimo entro la prima metà del prossimo anno, abbia bisogno di una nuova infusione di liquidi, che è stata stimata tra i 10 e gli 11 miliardi di euro. Se le previsioni disfattiste dovessero avverarsi, la Grecia andrà incontro a due problemi: da un lato la riluttanza dei paesi creditori visto la scarsa capacità di restituzione del debito, e, dall’altro, le condizioni che l’Europa porrà questa volta.

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E’ stato lo stesso Dijsselbloem a dirlo: l’Europa è disposta a sostenere il paese fino a che non saranno poste le condizioni per il suo rientro nei mercati europei, ma solo a patto di ulteriori condizioni.

Come si chiede il rimborso fiscale – La guida dell’Agenzia delle Entrate

 Solitamente quando si parla di Fisco e di rimborsi la prima cosa che viene in mente sono le lettere dell’Agenzia delle Entrate che invitano bonariamente il contribuente a pagare o, peggio, le buste verdi che arrivano direttamente da Equitalia, le tanto temute cartelle esattoriali, che di bonario non hanno nulla.

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Ma può succedere anche che un contribuente si trovi in credito nei confronti del fisco, ovvero può succedere che il cittadino abbia qualcosa da riscuotere. Come si fa allora?

In che modo si possono ottenere indietro i soldi versati ma non dovuti al fisco? A questa, e ad altre domande, ha risposto l’Agenzia delle Entrate.

Come si richiede un rimborso fiscale

Due sono le possibili procedure da attuare se ci si trova in credito con il fisco:

1. rimborso su istanza, da effettuare in carta semplice ma con tutta la documentazione che attesti il credito del contribuente: la richiesta deve essere fatta entro 48  mesi per i rimborsi di ritenute o versamenti diretti e entro 36 se si tratta di rimborsi relativi alle imposte indirette;

2. rimborso tramite dichiarazione dei redditi se il credito risulta dalla dichiarazione stessa, con procedure differenziate se si usa il Modello Unico (si dovrà compilare il quadro RX o chiedere la compensazione) o il Modello 730 (il rimborso può essere richiesto direttamente in busta paga).

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Come avviene il rimborso?

Le modalità attraverso le quali i contribuenti vengono rimborsati dall’Agenzia delle Entrate, dopo che la stessa avrà effettuato i dovuti controlli, variano in base alla somma che vantata a credito dal contribuente:

– credito inferiore ai 1.000 euro: rimborso in contanti recandosi presso gli Ufficio postali;

– credito dai 1.000 ai 51.645,69 euro: vaglia della Banca d’Italia;

– credito oltre i 51.645,69 euro: accredito su conto corrente bancario o postale.

Guarda il video guida messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate

Rimborsi per gli stage – La mappa regione per regione

 Lo stage è ormai un passaggio obbligato per entrare nel mondo del lavoro, che arrivino durante o dopo il percorso universitario o dopo un master, la maggior parte dei giovani che si affacciano alla vita professionale, prima di essere assunti, nelle rare volte in cui questo capita, devono passare questo periodo di formazione.

► ABC del Decreto Lavoro, tutto quello che c’è da sapere sul testo approvato dal Senato

La maggior parte delle volte, gli stage e i tirocini si sono rivelati una forma di sfruttamento dei giovani lavoratori italiani, che si sono trovati a lavorare gratis per un tempo indefinito senza alcuna possibilità di assunzione. Per risolvere questa situazione la conferenza Stato Regioni ha approvato a fine gennaio le linee guida per la regolamentazione dei tirocini che è stata recepita dalle Regioni.

Il risultato è una suddivisione in tre tipologie principali degli stage (formativi e di orientamento, di inserimento/reinserimento e tirocini a favore di disabili), e l’obbligo di rimborsare i tirocinanti con almeno 300 euro mensili di rimborso spese.

► Guida al Decreto Occupazione: i tirocini formativi

Importo dei rimborsi spese per stage e tirocini regione per regione

Liguria: 400 euro al mese (ma ancora in fase di contrattazione con le parti sociali)

Lombardia: 300/400 euro al mese più buoni pasto (contrattazione ancora in corso)

Valle d’Aosta: trattativa non ancora avviata

Piemonte: 600 euro al mese per gli stagisti full time; 300 euro per i part time (durata massima di 6 mesi)

Trentino: (contrattazione ancora in corso)

Veneto: 300 euro più l’erogazione di buoni pasto o servizio mensa o 400 euro;

Friuli: trattativa non ancora avviata

Emilia Romagna: 450 euro al mese;

Toscana: 500 euro al mese;

Marche: 350 euro al mese ma solo se si raggiunge almeno il 75% del monte ore previsto (durata massima 6 mesi)

Umbria: trattativa non ancora avviata

Lazio: 400 euro al mese

Abruzzo: 600 euro al mese

Puglia: 400 euro al mese, per una durata massima di 6 mesi

Campania: 400 euro al mese;

Molise: 300 euro per i tirocini formativi e di orientamento, 400 euro per quelli di inserimento

Basilicata: 300 euro;

Calabria: 400 euro (contrattazione ancora in corso)

Sicilia: 300 euro;

Sardegna: trattativa non ancora avviata

Che cosa sono le opzioni – Le opzioni put

 Anche questo post sarà dedicato a tutti coloro che, pur attratti dal nome, magari ancora sconosciuto, di opzioni binarie, hanno tuttavia la curiosità di conoscere più a fondo l’ argomento di cui si parla quando nel mondo finanziario si tratta di opzioni.

Chi paga per l’abolizione dell’Imu?

 Gli italiani proprietari di immobili hanno tirato un sospiro di sollievo con la pubblicazione del Decreto Imu che ha cancellato una parte dell’imposta, che si sarebbe dovuta pagare da qui a breve.

► Quanto risparmieranno le famiglie con l’abolizione dell’Imu? – La mappa regione per regione

Ma questa operazione ha avuto un costo, si parla di un minore gettito per il Fisco di circa 2,4 miliardi di euro, che il Governo ha dovuto prendere da altre parti. Quindi, come spesso accade, sono arrivati i famosi tagli che, diversamente dalla cancellazione della rata dell’Imu che interessa solo coloro che hanno un immobile di proprietà (in realtà la rata dell’Imu non è stata abolita per tutti), interessa la totalità della popolazione.

Infatti, per recuperare almeno una parte del minore gettito fiscale ha rimesso mano alle dotazioni di alcune amministrazioni pubbliche  e ministeri: ci saranno meno soldi per la gestione della rete ferroviaria, meno fondi per le persone in disagio lavorativo e anche meno fondi per l’assunzione di nuovi poliziotti.

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I tagli necessari per l’abolizione dell’Imu

Nello specifico il Governo Letta ha effettuato tagli per 985,8 milioni di euro, che si materializzano come una diminuzione dei fondi per i consumi intermedi dei ministeri, per gli investimenti fissi lordi e le autorizzazioni di spesa. 

Sono queste ultime a contribuire in modo sostanziale al tesoretto necessario alla cancellazione della rata dell’Imu, soprattutto per le mancate autorizzazioni che toccheranno il settore dei trasporti, che ha visto tagliare la sua dotazione per la manutenzione e la gestione del sistema ferroviario italiano di 300 milioni di euro.

Duramente colpite dalle sforbiciate anche le forze armate: al Ministero degli Interni sono stati tagliati 50 milioni dei fondi stanziati dalla legge finanziaria del 2012, 55 milioni destinate alle nuove assunzioni per il contrasto e la prevenzione al crimine e altri 20 milioni per le assunzioni di ispettori da impegnare nella lotta all’evasione fiscale.

Come scegliere il conto corrente (Seconda parte)

 Vi sono alcune importanti domande da farsi prima di aprire un conto corrente. In primo luogo bisogna ricordare che scegliere il conto corrente non è un’operazione facile. Richiede tempo, attenzione, e volontà di adoperare dei benchmark tra le diverse offerte. Successivamente, subentrano delle esigenze di natura personale. Scegliere il conto corrente vuol dire impossessarsi di uno strumento utile ai fini delle proprie attività e della propria condizione economica. Occorre, dunque, fare in modo che abbia delle caratteristiche specifiche.

Ecco alcune domande da porsi prima di procedere con la decisione finale:

Utilizzerò il conto corrente per pagamenti ricorrenti (ad esempio: affitti, utenze, rate del mutuo, telepass)?

Il cliente può fare una precisa richiesta: richiedere che il pagamento avvenga automaticamente, riducendo dunque il tempo e l’impegno da destinare a tali tipologie di incombenze.

Potrei avere necessità di un fido?

Appare fondamentale valutare con attenzione questa esigenza. Un eventuale scoperto di conto corrente è più flessibile di altre forme di finanziamento ma è anche più costoso.

Ho bisogno di altri servizi associati al conto corrente (ad esempio. cassette di sicurezza o dossier titoli)?

Molte volte le banche offrno conti ‘a pacchetto’, che comprendono anche servizi accessori al conto corrente. La loro convenienza dipende da quanto il cliente abbia realmente bisogno di questi servizi.

Come aprire il conto corrente

Una volta riflettuto su queste domande, si è pronti per l’apertura di un conto. Per farlo occorre recarsi presso una filiale, oppure sul sito di una o più banche informandosi su servizi e costi del conto corrente. Il cliente potrà ottenere la documentazione al fine di valutare e selezionare con calma tra diverse offerte. Ciò non vuol dire impegnarsi in qualche modo con la banca.

Una volta selezionato il conto il cliente potrà aprirlo sia in banca con un documento di identità valido, sia sul sito internet della banca seguendo le istruzioni. Se la banca è disponibile ad aprire il conto si procederà con il contratto.

Come scegliere il conto corrente (Prima parte)

 Ci sono alcune domande da porsi prima di aprire il conto corrente. In primo luogo occorre sapere che scegliere il conto corrente non è un’operazione facile. Richiede tempo, attenzione, e volontà di adoperare dei confronti tra le diverse offerte. Successivamente, subentrano delle esigenze.

Aprire il conto per motivi famigliari

Quando si apre un conto utlizzato da più persone saranno molteplici le operazioni che probablmente si effettueranno ogni mese. Occorre stilare una media, chiedendosi quante operazioni si pensa di fare. Più le operazioni crescono più il costo variabile (se previsto dal contratto) aumenta.

Aprire un conto online o recarsi allo sportello

Utilizzare il conto corrente mediante internet implica generalmente costi minori per il cliente. Tuttavia, richiede anche maggiori attenzioni al fine di operare con la massima sicurezza senza andare incontro a frodi di sorta. Appare fondamentale chiedere alla banca quali cautele adottare, nonché consultare la pagina dedicata alla sicurezza sul sito internet del conto.

Uso della carta di debito per pagamenti o per prelievi?

Usare la carta di debito come strumento di pagamento dei propri acquisti (con i POS) solitamente non comporta spese per il cliente. Utilizzarla per prelevare contante allo sportello automatico implica invece delle commissioni, specialmente se i prelievi sono effettuati presso uno sportello automatico di una banca diversa da quella che ha emesso la carta.

Necessità di una carta di credito

Si ha bisogno di una carta di credito? Le carte di credito permettono di effettuare acquisti nei negozi, online, via telefono e in tutto il mondo. Acquisti che riguardano beni e servizi. Il rilascio e l’uso di una carta prevedono dei costi per il cliente. I costi riguardano il canone annuo e gli interessi (nel caso in cui venisse richiesto il pagamento rateale).

 

I debiti già pagati dalla Pubblica Amministrazione

 Continua senza sosta in Italia la maxi – operazione di saldo dei debiti maturati nei mesi precedenti dalla Pubblica Amministrazione italiana, che prima dell’ emissione dei primi provvedimenti risolutivi ammontavano a circa 40 miliardi di euro.