Benzina KO per colpa della Siria

  I consumi di petrolio diminuiscono e con loro si flettono anche i consumi di carburanti, testimoniando un cambiamento importante degli stili di vita degli italiani. I nostri connazionali si spostano meno in macchina, cercano di evitare i pedaggi autostradali e se anche vanno in vacanza con la propria automobile, lo fanno per periodi più brevi che in passato.

A soffrire dell’incertezza relativa alla questione siriana non sono soltanto i consumi di oro nero ma di riflesso anche il fatturato delle pompe di benzina che sono “costrette” ad incrementare il prezzo dei carburanti, proprio quando l’acquisto di diesel e benzina sembra in forte contrazione.

Zanonato prova a ridurre il caro benzina

I rialzi dei prezzi dei carburanti hanno portato la benzina di nuovo verso i 2 euro al litro. Si apprende che la verde è arrivata fino a 1,880 euro. Non tutti i gestori, chiaramente, si stanno comportando allo stesso modo. L’ENI per esempio ha deciso di aumentare di un centesimo il prezzo del diesel e della benzina ma Shell e Q8 hanno optato per un ritocco inferiore, pari a 0,5 centesimi al litro per la verde e per il diesel.

Il tutto mentre a livello governativo, in un periodo di revisione della tassazione del Belpaese, si cerca di capire se è possibile incrementare l’accise in vigore per finanziare in qualche modo la manovra sull’IMU.

I consumi di petrolio diminuiscono

 Le vendite di petrolio hanno subito una battuta d’arresto e dai dati disponibili si apprende un calo del consumo di oro nero pari al 3,5 per cento nel mense di luglio. Questa flessione nei consumi danneggia le casse dell’Erario che ha dovuto rinunciare in sette mesi a ben 630 milioni di euro. Complessivamente dall’inizio dell’anno il calo del consumo di petrolio è stato del 7,3 per cento.

Questione siriana sospesa e mercati deboli

Quando si parla di consumo di petrolio si fa riferimento anche ai carburanti: si registra pertanto una flessione del 6,3 per cento nel consumo di benzina, del 4,2 per cento nel consumo di gasolio, mentre sappiamo che è in aumento del 14 per cento circa il consumo di GPL.

I cambiamenti intervenuti nel consumo di petrolio testimoniano un cambiamento importante degli stili di vita degli italiani. E’ indubbio che si comprano oggi meno automobili che in passato. Chi ha una macchina viaggia di meno in autostrada e se va in vacanza con la propria auto, lo fa per meno giorni.

La Siria fa crescere il prezzo del petrolio

Gli spostamenti privati si sono ridotti sensibilmente ed hanno influito sul consumo di carburante. Il 2013, lontano dall’essere un anno critico come il 2012 per la crisi economica, si conferma comunque l’anno peggiore per quanto riguarda il consumo di carburanti. Tutti i dati sono in linea con il calo delle immatricolazioni.

Questione siriana sospesa e mercati deboli

 La situazione in Siria sembra arrivata ad un momento di stallo visto che Cameron, riferendo in Parlamento delle scelte del Presidente americano si è visto negare il sostegno. Hollande, in Francia, promuove una soluzione politica piuttosto che l’intervento militare. Barack Obama sembra così perdere due degli alleati su cui aveva potuto contare finora.

La Siria fa crescere il prezzo del petrolio

I listini europei hanno reagito alla situazione chiudendo in terreno negativo. L’attesa di quello che accadrà in Medioriente sta condizionando molto gli sviluppi della Borsa ma la cosa più interessante è l’incremento della fiducia registrato nel Vecchio Continente. Il quadro generale non c’impedisce di zoomare sulla situazione italiane e scoprire che Piazza Affari ha perso l’1,3 per cento e lo spread è risalito fino a 253 punti.

I mercati spaventati dalla Siria

Ma torniamo per un attimo alla Siria che ha mandato nel caos i Paesi Occidentali. Molti stati si sono dimostrati sulla carta interventisti, salvo poi lasciare spazio alla cautela che precede ogni attacco. Il Regno Unito è stato il primo a negare l’impegno in Siria, la Francia è rimasta più tiepida davanti alle richieste americane. L’incertezza sul possibile attacco non fa bene ai listini azionari ma condiziona anche il prezzo delle materie prime.

Il prezzo del petrolio ha perso mezzo punto percentuale ed è dato in calo dell’1,2 per cento anche l’oro.

Tassi dei mutui in leggera risalita

  Unicredit in promozione a settembre mentre si vocifera che i tassi medi applicati ai finanziamenti siano in ripresa, quindi, in futuro, il costo dei finanziamenti potrebbe aumentare erodendo i risparmi delle famiglie e delle imprese.

Il mutuo Unicredit, che abbiamo già presentato, è l’occasione di fine estate perché oltre allo spread ribassato, consente di avere un tasso d’ingresso per la soluzione variabile, mai superiore al tre per cento.

Unicredit pensa al settore edile

I mutui, comunque, vedranno presto lievitare i loro prezzi. La situazione attuale dei tassi d’interesse sta cambiando e a questo mutamento sono interessati soprattutto coloro che hanno sottoscritto o vogliono sottoscrivere un mutuo a tasso variabile. Chi infatti ha optato per la soluzione a tasso fisso,sa che nel breve e nel lungo periodo, non ci saranno modifiche alla rata, anche se cambierà la quota d’interessi ammortizzata in ogni rata.

Il rialzo dei prezzi dei mutui dipende sostanzialmente da due fattori. Il primo da considerare è il costo del denaro da cui dipende anche l’Euribor usato per comporre il TAEG delle soluzioni variabili. Oggi, il tasso Euribor è fermo allo 0,5%. L‘altro fattore in grado di condizionare il costo dei mutui è il rendimento dei titoli di Stato tedeschi che attualmente è dato in risalita per via delle previsioni finanziarie legate alle decisioni della FED.

Prezzi stabili e inflazione sotto controllo ad agosto 2013

 Dopo aver rilasciato i dati sulla disoccupazione nel secondo trimestre del 2013, l’Istat ha comunicato, anche se ancora in via provvisoria, i dati riguardanti l’inflazione nel mese di agosto 2013. Arrivano buone notizie: ad agosto il livello di inflazione è tornato a stabilizzarsi all’1,1%, toccando il minimo storico dal 2009, ma in aumento dello 0,3% rispetto a luglio 2013. Ad agosto del 2012 l’inflazione era all’1,2%,

► A luglio retribuzioni in aumento

A determinare il rallentamento dell’inflazione in questo mese hanno contribuito i prezzi dei beni di consumo, che sono aumentati di meno rispetto ai mesi precedenti, segnando un aumento dell’1,7% su base annua, in rallentamento di tre decimi rispetto a luglio (2%).

Sono diminuiti, infatti, i prezzi degli alimentari non lavorati (-1,3%), soprattutto dei vegetali freschi (-6,5%) e della frutta fresca (-2,1%). In aumento, invece, i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+4,1%) e dei beni energetici non regolamentati (+1,0%).

Cosa succede in Europa?

Non solo in Italia, ma anche nel resto dei Paesi dell’Eurozona è stato registrato un rallentamento dell’inflazione, che arriva all’1,3% su base annuale, mentre nello stesso mese del 2012 era a 2,6%. I prezzi sono aumentati soprattutto per cibo, alcol e tabacco (+3,3%) e dei servizi (+1,5%), mentre scendono i prezzi dell’energia (-0,4%) e dei beni di consumo (0,3%).

La disoccupazione cresce anche nel secondo trimestre 2013

 La disoccupazione in Italia non accenna a diminuire. Per la quarta volta consecutiva l’indicatore ha segnato il 12%, per un totale di 3.075.000 disoccupati sul territorio nazionale, la metà dei quali hanno più di 35 anni. Il tasso di disoccupazione in Italia è cresciuto di 1,5 punti percentuali rispetto a un anno fa.

► Falliscono le imprese italiane e chiudono le aziende storiche

Va peggio alle donne, per le quali il tasso di disoccupazione registrato a luglio 2013 è del 12,8% (dall’11,4% del periodo precedente), mente per gli uomini si ferma al 11,5% (dal 9,8%).

Per i giovani attivi tra i 15 e i 24 anni (quelli che hanno cercato un lavoro o che sono già inseriti nel mondo del lavoro) la percentuale di disoccupati è salita di 3,4% punti percentuali, arrivando a quota 37,3%, con un picco del 51% per le giovani donne del Mezzogiorno. La metà dei giovani disoccupati italiani è alla ricerca di una lavoro da più di un anno.

► Perché si assumono stranieri in Italia

Su base annua, i dati dell’Istat evidenziano una diminuzione dello 2,5% (pari a -585.000 unità) del numero di occupati, soprattutto nel Mezzogiorno (-5,4%, pari a -335.000 unità). Altro dato interessante è la componente generazionale dei disoccupati: al persistente calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni (rispettivamente -532.000 e -267.000 unità) continua a contrapporsi la crescita degli occupati con almeno 50 anni (+214.000 unità).

Usa e Svizzera firmano l’accordo fiscale

 Si chiama Joint Statement il documento firmato dagli Stati Uniti e dalla Svizzera che mette fine alla controversia sul segreto fiscale tra i due paesi. Non si ancora molto dei dettagli dello storico accordo tra i due paesi, se non che, come previsto, gli istituti elvetici che hanno amministrati capitali americani sottraendoli al fisco, dovranno pagare una multa che potrebbe arrivare al 20/50% del totale dei fondi sottratti a partire dal 1 agosto 2008.

► La Svizzera apre allo scambio di informazioni con i paesi Ocse

L’accordo fiscale impone anche alla Svizzera una totale trasparenza e collaborazione verso il Fisco americano, con l’obbligo di comunicazione delle generalità dei cittadini americani colpevoli di evasione fiscale in Svizzera, le informazioni sui conti da loro detenuti e anche i dettagli dei conti dei cittadini americani che passano, o sono passati, in Svizzera prima di approdare in qualche paradiso fiscale.

Possono aderire all’accordo tutte le banche che non sono state già messe sotto inchiesta dagli Usa – per le quali sono già in corso i processi e i relativi patteggiamenti per le multe – facendo richiesta al governo americano entro il 31 dicembre 2013 se hanno motivi per credere di non essere in regola con il fisco Usa.

 Multe salate per le banche inglesi

Le banche che ritengono di non avere violato il diritto fiscale statunitense e quelle che svolgono solo un’attività locale potranno richiedere tra il 1 luglio 2014 e il 31 ottobre 2014 alle autorità statunitensi una Non-Target Letter, una sorta di carta bianca.

I possibili effetti dell’aumento dell’Iva ad ottobre 2013

 La CGIA di Mestre ha cercato di fare una proiezione su quello che potrebbe accadere ad ottobre, quando, se non verranno trovate le copertura finanziarie, l’aliquota IVA, ossia l’imposta sul valore aggiunto, potrebbe passare dal 21 al 22%. Lo scenario immaginato dalla CGIA mette in evidenza come questo aumento si ripercuoterà principalmente sulle fasce di reddito più deboli e i nuclei famigliari più numerosi.

 Più sfratti e aumento degli affitti in nero: le conseguenze della Service Tax

La simulazione

Nel realizzare le simulazioni, a CGIA di Mestre ha preso in considerazione tre diverse tipologie famigliari (single, lavoratore dipendente con moglie e un figlio a carico, lavoratore dipendente con moglie e 2 figli a carico), su 7 fasce retributive, per le quali sono stati misurati l’aggravio di imposta in termini assoluti e l’incidenza percentuale sui diversi livelli retributivi.

Propensione al risparmio

Se l’Iva aumenterà di un punto percentuale, la propensione al risparmio delle famiglie nella prima fascia di reddito, la più bassa, arriverà a zero, mentre si ridurrà al 2,05% per il reddito annuo da 20.000 euro, al 4,1% per quella da 25.000 euro e all’ 8,2% per le rimanenti fasce di reddito.

Single

Chi vive da solo sarà molto penalizzato dall’aumento dell’Iva, che avrà un’incidenza dello 0,29% su un reddito annuo di 15.000 euro. Il paradosso è che, per i single, più si guadagna meno forte sarà l’impatto sullo stipendio: per un reddito di 55.000 euro all’anno l’incidenza è dello 0,27%.

L’aggravio oscillerà comunque tra i 37 e i 99 euro.

► Iva: 6 aumenti in 40 anni

Lavoratori dipendenti con famiglia

Se si è lavoratori dipendenti con un solo figlio a carico l’incidenza percentuale dell’aumento è inversamente proporzionale al livello di reddito ( 0,33% per un reddito annuo di 15.000 euro, 0,30% per un reddito di 55.000 euro), con valori che oscillano tra i 51 e i 113 euro.

Se i figlia  carico sono due, l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva è dello 0,34% su un reddito annuo di 15.000 euro, per diminuire fino a 0,31% su un reddito di 55.000 euro, con cifre che vanno da 61 a 120 euro.

Iva: 6 aumenti in 40 anni

 Sul calendario degli italiani è segnata con un cerchio la data del 1° ottobre 2013, giorno in cui potrebbe arrivare il tanto temuto aumento dell’Iva, l’imposta sul valore aggiunto, che passerebbe così dal 21 al 22%.

 Più sfratti e aumento degli affitti in nero: le conseguenze della Service Tax

Si tratterebbe del settimo aumento in 40 anni, da quando, cioè, con il D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, voluto dall’allora ministro delle Finanze Athos Valsecchi durante il secondo Governo Andreotti, quando la vecchia imposta generale sulle entrate (IGE), che colpiva l’intero valore del bene per ogni suo trasferimento, venne sostituita con l’Iva, ossia con una tassa da calcolare solo sul valore aggiunto che il bene acquisisce lungo il ciclo produttivo.

Pur avendo delle aliquote molto basse, l’IGE aveva si ripercuoteva su quelle imprese che si occupano di tutto il ciclo di produzione, una distorsione che è stata corretta dall’Iva, certamente non priva di difetti.

Ma ciò che più pesa di questo tributo è il suo continuo aumento nel corso degli anni. Se, infatti, al momento della sua entrata in vigore il 1° gennaio del 1973, l’aliquota da applicare al valore aggiunto del bene per il calcolo dell’Iva era del 12%, più alta di quella dell’IGE per compensare la perdita del gettito dovuto ai minori importi sui quali si applicava la tassa, è stata portata al 14% già nel 1977.

 I possibili effetti dell’aumento dell’Iva ad ottobre 2013

Da lì in poi una cascata di aumenti: l’aliquota è stata portata al 15% nel 1980, al 18% nel 1982, al 19% nel 1988, al 20% nel 1997 e con D.L. n. 138 del 13 agosto 2011,  l’aliquota è arrivata al 21%.

Se non si troveranno le coperture, ad ottobre potrebbe scattare il settimo aumento, che porterà l’aliquota Iva ordinaria al 22%

Addio al doppio stipendio anche per i non parlamentari

 Doppio stipendio addio per tutti gli incarichi di governo. Con la circolare del 20 luglio 2013 della Ragioneria di Stato e la conversione del decreto legge del 21 maggio 2013, non è più possibile il cumulo degli stipendi.

► Gli stipendi d’oro dei dipendenti della Camera

Fino ad ora, infatti, chi ha incarichi al Governo italiano percepisce due stipendi. Uno è quello previsto dalla legge 212 del 1952, che prevede per i ministri e i sottosegretari lo stipendio e l’indennità integrativa, l’altro è  il trattamento economico per il quale hanno optato come dipendenti pubblici, come sancito dalla legge 1261 del 1965.

Come da Circolare della Ragioneria questo divieto viene esteso anche ai componenti del governo non parlamentari. Per tutti coloro che rientrano in queste categorie, quindi, con decorrenza 22 maggio 2013 per i parlamentari, e a partire dal 20 luglio 2013 (data di entrata in vigore della legge di conversione) anche per non parlamentari.

► Ecco quanto ci costa mantenere gli onorevoli

I membri non parlamentari dell’attuale Governo Letta  – Fabrizio Saccomanni (già direttore generale di Bankitalia), Enrico Giovannini (ex presidente dell’Istat), Flavio Zanonato (sindaco di Padova), Anna Maria Cancellieri (prefetto prima di essere ministro nel governo Monti), Graziano Delrio (ex presidente dell’Anci) e Carlo Trigilia (professore universitario) – perderanno un importo lordo pari a 9.566 euro ciascuno.