PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

 Che l’economia cinese fosse in una fase di rallentamento era chiaro ma adesso, con i dati relativi al PIL del secondo semestre, tutto è palese. Sembra infatti che il prodotto interno lordo di questo paese sia cresciuto meno del previsto.

Si pensava di andare incontro ad una crescita del PIL del 7,7 per cento mentre tutto l’incremento si è fermato al 7,5 per cento. Non sono stati quindi rispettati nemmeno i parametri del primo trimestre dell’anno. Tutto è nelle corde, ovvero ci si aspettava una cosa simile.

Bibow affronta il rapporto tra euro e Germania

I dati che arrivano dalla Cina, tra l’altro, puntano tutti nella stessa direzione. Per esempio le vendite al dettaglio, soltanto a giugno 2013 sono cresciute del 13,3 per cento su base annua. Una crescita anche superiore alle attese visto che si pensava ad un rialzo del 12,9 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il dato che non convince, o meglio preoccupa, gli investitori, è quello relativo alla produzione industriale che nel mese di giugno è aumentata dell’8,9% su base annua mentre nella rilevazione precedente il rialzo era stato più consistente, del 9,2 per cento.

La Cina, intanto, fa i conti anche con un altro problema finanziario: la cosiddetta fuga di capitali. Dal 2008 ad oggi, infatti, molti investitori hanno abbandonato il paese per andare a fare business altrove. In queste ultime settimane, il moto verso l’esterno è stato notevolmente accelerato.

Aumentano i rialzisti tra gli hedge funds

 Il crollo delle quotazioni dell’oro, soprattutto all’inizio dell’anno, ha colto di sorpresa numerosi investitori che si aspettavano di vedere il metallo in questione scambiato anche a 1900 dollari l’oncia. Adesso, invece, si fanno i conti con il crollo delle quotazioni che sono scese alla fine di giugno fino a 1180 dollari l’oncia. Si tratta del livello minimo registrato da 3 anni a questa parte.

► Continua la discesa del prezzo dell’oro

Cosa potrebbe cambiare nel breve periodo? Tutto dipende dagli investitori internazionali e dalle loro sensazioni. I cosiddetti hedge funds, infatti, non sono convinti che il crollo delle quotazioni dell’oro sia da considerarsi un trend di lungo periodo. Anzi.

In questo primo tratto di luglio, per l’appunto, l’oro ha recuperato il 10 per cento del suo valore e le quotazioni hanno raggiunto anche la soglia dei 1300 dollari l’oncia. Questa inversione di tendenza sembra legata alla diminuzione del numero di venditori. Per questo è lecito aspettarsi un recupero dei prezzi nella seconda parte del 2013, nel secondo trimestre dell’anno.

La bolla oro ai minimi

Le posizioni rialziste sono state analizzate anche dalla Commodity Futures Trading Commission che proprio la settimana scorsa ha valuto un incremento del 4,1 per cento del numero degli investitori che credono nel recupero del dollaro. Secondo Standard Chartered, addirittura, si arriverà presto ai 1400 dollari l’oncia.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

 L’Europa è diventata un terreno d’investimento per tutti coloro che sono a caccia di opportunità economiche e finanziarie. L’Europa, d’altro canto, con una serie di fondi tende a stimolare l’economia di tutti gli stati membri del Vecchio Continente. Peccato che non tutti sappiano usufruire di questi fondi.

► Olli Rehn tiene duro sulla questione deficit

L’Italia, all’indomani del meeting di Bruxelles in cui sono stati definiti gli obiettivi di bilancio e in cui si è deciso di destinare parecchi soldi alla lotta contro la disoccupazione giovanile, era molto felice del risultato ottenuto. Lo stesso premier ha precisato di aver ottenuto più del previsto.

Trovato l’accordo sul bilancio UE

Purtroppo le ultime ricerche non sono altrettanto ottimiste visto che dopo la fine del periodo di programmazione 2007-2013, i soldi europei usati dall’Italia sono stati pochissimi. Il resoconto parla chiaro: il nostro paese ha usato soltanto il 38 per cento delle risorse del Fers, il Fondo per lo sviluppo regionale, ed ha usato meno risorse del previsto del Fse, il Fondo sociale europeo.

Peggio del nostro paese è riuscita a fare soltanto la Romania. In fondo, anche l’uso più corposo del Fse è da a attribuirsi all’escamotage trovato dal ministro Barca che ha usato quei soldi messi a disposizione dall’Europa per finanziare gli ammortizzatori sociali.

Sports Direct in Inghilterra cresce ancora

 Ci sono delle aziende che in questo periodo di crisi riescono ancora a far sorridere i loro dipendenti, senza minacciarli di nuovi tagli del personale o dei compensi, quanto piuttosto aumentando loro lo stipendio. E’ successo ai dipendenti di Sports Directs in Inghilterra che con il superbonus ha fatto quadruplicare i salari dei commessi.

Banche inglesi sotto la pressione della BoE

Nel dettaglio sembrano siano stati distribuiti ben 135 milioni di sterline di bonus ai dipendenti visto che proprio grazie al loro lavoro, l’azienda è riuscita a crescere del 40 per cento raggiungendo una valutazione di 200 milioni di sterline. Tutti i commessi saranno premiati e per capire quanto gradito sia il risultato è sufficiente specificare che i commessi che saranno pagati meno, riceveranno ben 70 mila sterline.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

Premi di questo tipo sono molto frequenti tra cui svolge lavori nel campo dello sport o della finanza. Insomma per banchieri e calciatori il premio di Sports Direct per i commessi sono soltanto bruscolini. Invece, considerando lo stipendio di un commesso che annualmente è di circa 20 mila sterline lorde, si capisce bene che quegli 85 mila euro, vale a dire 70 mila sterline, sono davvero tanti.

In totale i dipendenti a tempo indeterminato di Sports Direct sono due mila e non sembra che nella storia inglese ci sia stata prima d’ora un’azienda capace di fare altrettanto bene.

Google delude ma continua a crescere

 Google, da troppo tempo coinvolto nei processi per elusione fiscale, è comunque un’azienda che continua a crescere. Peccato che la crescita in termini economici e finanziari non sia accompagnata da un incremento della reputazione sul mercato.

In questo particolare terreno d’azione, infatti, il mercato, Google delude ancora. In particolare gli investitori additano quel che è fatto per lo sviluppo della pubblicità sul mobile, oltre che il calo delle vendite. La flessione degli introiti è dovuta soprattutto alla perdita di appeal degli smartphone e dei tablet.

L’OCSE contro l’elusione fiscale

In generale, però, il fatturato continua a crescere e registra un ottimo +19 per cento, giungendo a quota 14,11 miliardi di dollari. Una crescita importante anche se posizionata sotto la soglia attesa dagli analisti che avrebbero voluto gioire al raggiungimento dei 14,46 miliardi di dollari.

In rialzo, intanto, ci sono anche gli utili che registrano un buon +16 per cento raggiungendo quota 3,23 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre del 2012, usato per fare le necessarie comparazioni, gli utili si erano cristallizzati intorno ai 2,79 miliardi di dollari.

Google leader dell’adv mobile

Adesso, quindi, a Google non resta che convincere gli inserzionisti pubblicitari che tutto va a gonfie vele. Peccato che ci sia poco studio e poca applicazione riguardo le campagne pensate per i dispositivi mobili. Il fatto è che se la maggior parte delle ricerche è fatta tramite smartphone o tablet, è importante trascurare per un attimo i pc per concentrarsi di più sul mobile.

Generali è too big to fail

 Ci sono della aziende in giro per il mondo, considerate da tutti troppo grandi per fallire. Quando si entra a far parte di questo club esclusivo, in genere, si ottiene una visibilità mediatica che invoglia gli investitori. Questi ultimi, tra l’altro, possono stare sicuri che il fallimento sarà evitato a tutti i costi perché sconveniente per l’azienda e per la società civile ed economica di riferimento.

Gli effetti della liberalizzazione

In questo speciale insieme di aziende, negli ultimi giorni, è entrato anche il gruppo assicurativo Generali che ha riscosso il plauso dalla comunità finanziaria europea ed italiana. Generali è stato indicato come “troppo grande per fallire” dal Financial Stability Board.

DETTOFATTO di Generali

Essere troppo grande per fallire, comporta che l’azienda s’impegni a mantenere alto il livello di riserve, più alto del normale. In più devono essere stilati dei piani organizzativi per limitare i danni economici e i fallimenti nel momento in cui la crisi durerà troppo o ci sarà una nuova ricaduta nel baratro della recessione.

La lista dei “too-big-to-fail” è composta da alcune importanti aziende assicurative europee. Oltre a Generali troviamo anche Axa, Allianz, Prudential e Aviva. In più ci sono le tre aziende statunitensi Aig, Metlife e Prudential financial e un gruppo assicurativo cinese: Ping an.

L’OCSE contro l’elusione fiscale

 Più di una volta siamo stati costretti a riportare casi di elusione fiscali attribuiti ad aziende anche molto importanti come Google ed Apple. Oggi dobbiamo riflettere sul fatto che l’elusione fiscale comporta dei danni anche all’economia dei singoli paesi, per questo a livello nazionale e sovranazionale, si deve correre ai ripari.

Per FT l’Italia sta toccando il fondo

L’ultimo intervento in ordine cronologico sull’argomento è stato quello dell’OCSE che ha preso spunto per riflettere, proprio da quanto accaduto a Google, Apple e Yahoo!. L’idea, infatti, è quella di stabilire delle regole maggiormente sanzionatorie ed attivare un monitoraggio costante sulle industrie che spostano l’asse del loro business all’estero.

Con l’attività di elusione fiscale, infatti, i fondi che dovrebbero essere destinati alla comunità d’appartenenza, vanno a finire altrove. Del piano dell’OCSE si è parlato in modo specifico al G20 di Mosca dove è stato presentato l’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting.

Il Regno Unito se la prende con Google

In questo documento sono contenuti ben 15 suggerimenti. Il primo problema da affrontare è proprio la fiscalità delle imprese digitali che operano “naturalmente” a livello sovranazionale. Nel momento in cui non si lavora soltanto nella propria nazione d’origine, infatti, ci sono problemi con la tassazione diretta e indiretta. Di questi problemi, spesso, si avvantaggiano soltanto le società e non i loro lavoratori.

Cresce il fatturato industriale a maggio

 Il fatturato dell’industria italiana è in leggera ripresa. Si tratta di una buona notizia nonostante la debolezza dell’incremento dell’indice. In fondo gli investitori vanno proprio alla ricerca di segnali di questo tipo per tornare ad avere fiducia nel nostro paese.

La ripresa del fatturato dell’industria italiana è molto importante anche se si tratta di un salto piccolissimo dello 0,1 per cento registrato a maggio rispetto al mese precedente. Poi, in termini generali, quindi su base annua, il calo del fatturato è ancora preponderante.

La BCE chiede attenzione per le PMI

L’Istituto nazionale di statistica, però, ci tiene a dare qualche numero e non c’è molto da star tranquilli ad osservare la reportistica, infatti, tra il maggio del 2012 e il maggio di quest’anno, si sono registrati ben 17 cali consecutivi e l’ultimo è stato pesante: -5,1 per cento.

L’Istat mostra il calo dell’industria nel 2012

Quasi tutti i prodotti hanno perso un buon numero di ordini, tranne che per quel che riguarda i prodotti farmaceutici che continuano a crescere, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto riguarda gli ordinativi.

Riassumendo: a maggio si è registrato un leggero rimbalzo dell’industria italiana che sembra tornare timidamente alla ribalta. A fronte di un calo degli ordinativi esteri, tiene bene il fronte interno. A livello annuo però il calo del fatturato è pesante soprattutto per gli ordini che arrivano dall’Italia (-8,3%).

Retrocesso anche il Fondo Salva Stati

 La tripla A, ormai, è da considerarsi una chimera, eppure, questo non vuol dire che le considerazioni delle agenzie di rating siano del tutto bypassate. Per esempio ha fatto molto discutere l’ulteriore declassamento dell’Italia e la contemporanea conferma della tripla A della Germania.

Così facendo le agenzie di rating non fanno che disegnare una mappa dell’Europa piena di paesi di serie A e paesi di serie B. Esistono però delle strutture sovranazionali, come può essere ad esempio il Fondo Salva Stati che non rientrano nella mappa geografica del Vecchio Continente, ma non sfuggono alle agenzie.

Record a Wall Street ma crolla l’Asia

L’ultima notizia, in tal senso, riguarda proprio la scelta di Moody’s e di Standard&Poor’s che segue quella già fatta da Fitch, di declassare il fondo ESM che fino a ieri campeggiava nell’olimpo delle triple A mentre ora deve accontentarsi dello status AA+.

Italia tra IMU ed ESM

Questo downgrade dipende a sua volta dalla modifica dello status di Germania e Francia, nazioni da non considerare più debitrici super-affidabili del fondo europeo. Fitch, rispetto alle altre due agenzie di rating, ha ribadito di essere pronta a declassare anche i paesi con il rating più elevato se non cambieranno le condizioni dell’economia europea nel suo complesso.

Il riferimento è a Germania, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo che hanno ancora la tripla A e alla Francia che è già al gradino AA+.

Record a Wall Street ma crolla l’Asia

 Nell’ultimo giorno di contrattazioni della settimana, l’Asia diventa la zavorra dei listini occidentali, o meglio, europei. Intanto Wall Street recupera terreno e segna un altro record. Tokyo affronta dunque una fase negativa legata probabilmente all’attesa generata dalle elezioni.

Retrocesso anche il Fondo Salva Stati

Domenica i giapponesi tornano alle urne e ci potrebbe essere una nuova maggioranza a sostegno della politica di Shinzo Abe. Nel frattempo, mentre l’Asia trema nell’attesa del responso delle urne, gli indici americani volano sostenuti dal giudizio delle agenzie di rating.

L’ultima a pronunciarsi è stata Moody’s che sostiene di aver visto migliorare l’outlook degli Stati Uniti dopo due anni performance con segno negativo. Per gli Stati Uniti, così come per la Germania una settimana fa, è stata confermata la tripla A.

Confermata la tripla A per la Germania

I listini europei, invece che seguire l’onda dell’entusiasmo americano, sono costretti a fare retromarcia e legano il loro destino a quello asiatico. Le borse del Vecchio Continente finiscono nel quadrante “rosso” e l’unica piazza che riesce a resistere meglio delle altre è Milano.

Le vendite in Europa, in questo momento, sono tornate ad essere moderate per questo non sorprende che gli investitori abbiamo deciso di trasferire di nuovo i loro soldi in America dove il Nikkei ha superato la soglia dei 15 mila punti.