Guida agli incentivi per la ristrutturazione: i beneficiari e la documentazione necessaria

 Chi beneficia degli  incentivi per la ristrutturazione?

Possono beneficiare delle agevolazioni fiscali per la ristrutturazione e la riqualificazione degli immobili, se gli interventi vengono fatti entro i termini stabiliti e in presenza della necessaria documentazione, i titolari dell’immobile a titolo di proprietà, di possesso e di uso, che abbiano sostenuto le relative spese.

In questa categoria rientrano: il proprietario, il detentore della nuda proprietà o chi ne usufruisce, chi è in affitto o in comodato.

La documentazione necessaria per ottenere gli sgravi fiscali e gli ecobonus

Chi decide di dare avvio a dei lavori di ristrutturazione per la propria abitazione, può ottenere gli sgravi fiscali e gli ecobonus se gli interventi sono effettuati entro il 31 dicembre 20123 e solo se in possesso della seguente documentazione:

Documento inizio attività – Dia
Documento che certifica la conformità dei lavori

Bonifici
Necessari a tracciare le spese effettuate: devono indicare il codice fiscale del contribuente, la partita Iva della ditta che esegue i lavori e la casuale dei versamenti con i riferimenti alla legge che introduce le agevolazioni.

Fatture
Da intestare necessariamente a chi esegue i vari pagamenti, servono per dimostrare l’aderenza delle spese effettuate ai requisiti richiesti per l’ottenimento delle agevolazioni.

Consenso
Dichiarazione scritta del proprietario dell’immobile che attesta il suo consenso all’inizio dei lavori.

Attestazione ecologica
Solo per lavori di efficientamento energetico – per i quali è prevista l’agevolazione al 65% – è necessario l’invio all’Enea (Ente per l’energia e l’ambiente), da parte del proprietario dell’immobile, la documentazione che certifica gli interventi effettuati.

La mail di risposta che si riceverà deve essere conservata per la dichiarazione dei redditi.

Comunicazione all’Agenzia delle entrate
Necessaria solo nel caso i lavori inizino in un periodo di imposta e finiscano nel successivo.

Guida agli incentivi per la ristrutturazione

Le nuove scadenze e gli interventi previsti

I beneficiari e la documentazione necessaria

Guida agli incentivi per la ristrutturazione: le nuove scadenze e gli interventi previsti

 Con il decreto legge approvato dal Governo alla fine di maggio, sono stati prolungati i termini per poter ottenere agevolazioni e sgravi fiscali per la ristrutturazione edilizia e gli ecobonus: le agevolazioni sono del 50% per una spesa massima di 96.000 euro per ogni singola abitazione.

Le nuove scadenze per ottenere i bonus

La possibilità di ottenere le detrazioni è stata allungata di sei mesi, c’è tempo fino al 31 dicembre 2013 per le abitazioni e fino al 31 dicembre 2014 per i condomini se gli interventi saranno “importanti”, ossia nel caso si tratti di interventi che coinvolgono nella riqualificazione almeno il 25% della superficie dell’involucro. Le detrazioni previste saranno spalmate su dieci anni in un numero uguale di rate erogate a valore costante.

Quali interventi rientrano nel bonus edilizia

Chi decide di ristrutturare la propria abitazione potrà usufruire delle detrazioni e dei bonus previsti per i seguenti interventi:

– lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento, ristrutturazione edilizia e urbanistica;

– lavori necessari a seguito di un evento sismico;

– lavori su parti accessorie (costruzione di garage o installazione di impianti di domotica o interventi per la rimozione di barriere architettoniche;

– costruzione di impianti di sicurezza e di impianti idonei ad abbattere l’inquinamento acustico;

bonifiche di edifici da sostanze dannose come l’amianto;

– adozione di sistemi antisismici.

Guida agli incentivi per la ristrutturazione

Le nuove scadenze e gli interventi previsti

I beneficiari e la documentazione necessaria

Per il mattone è crisi nera

 Il mercato degli immobili fatica terribilmente a ripartire. Con il crollo dei prezzi, negli ultimi due anni è sparito un terzo del valore di mercato degli appartamenti. Eppure le transazioni non ripartono: Nel 2006 Si vendevano un milione di case l’anno. Ora se ne vendono la metà.

Da Venezia al Mondo

La città che soffre di più è Venezia. Ma in tutta Europa il settore, reo secondo gli economisti di aver distrutto l’economia mondiale, soffre. Non sono qui da noi.

Fine di un’epoca

Il crollo del comparto immobiliare e delle costruzioni, il cui ciclo è connesso a doppio nodo al ciclo del credito, è stato il primo segno della fine di un’era. Anche in Italia, un Paese dove non si può parlare, come in altri, dell’esplosione di una bolla che aveva drogato la crescita degli anni precedenti, la caduta è stata rovinosa e, ad oggi, densa di conseguenze per gli effetti di avvitamento che rischia di avere per l’intera economia.

45 miliardi bruciati

Il bilancio di cinque anni, tra minuscoli segni di ripresa, che avevano dato speranze nel 2009 nella fine della discesa, e il nuovo crollo intervenuto negli ultimi due anni, è solo l’ultima disfatta.

Sono 45 i miliardi di euro persi, un terzo del valore perso fino al 2012, con la prospettiva di un 2013 che non andrà molto meglio.

Inoltre, nel 2006 le compravendite erano state poco più di un milione di case, oggi sono ridotte a 530 mila. Dimezzate, dunque.

I prezzi sono stati tagliati di un terzo, in Italia e nelle grandi città. Circa mezzo milione di invenduto nelle nuove costruzioni tra i 60 e i 70 miliardi di euro fermi. Riprendere tutto con questo arretrato è cosa ardiua. A ciò si aggiunga una caduta di investimenti nel settore delle opere pubbliche, e il quadro (tragico) è completo.

Ecco quanto ci costa mantenere gli onorevoli

 Il processo di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è iniziato, anche se sarà spalmato in tre anni. La dieta dei soldi ai politici, dunque, è stata avviata.

Ma la strada da fare per diminuire i costi degli organi costituzionali è interminabile.

Si pensi, nello speficio, ai costi sostenuti dai contribuenti per il funzionamento della Camera e del Senato.

Durante lo scorso anno, il Parlamento nel suo insieme è costato al bilancio dello Stato un miliardo e mezzo di euro. Si tratta in altri termini dello 0,1% del Pil se ne è andato per il funzionamento delle due assemblee legislative. Troppo.

Il cambiamento, tuttavia, è nell’aria. A partire dal fatto che i presidenti Boldrini e Grasso appena insediati si sono tagliati lo stipendio del 30 per cento.

Sono arrivati anche, presso la Camera, tagli sulle cariche interne dei deputati e sui contributi finanziari ai gruppi parlamentari per 8,5 milioni di euro. Ma in sostanza ancora si risparmia solo l’1 per cento. Una goccia nel mare.

Dal 2013 rispamio secco del 5 per cento. Occorre solo questo per parlare di rivoluzione copernica per i costi della politica? Assolutamente no. Le misure sono fragili, con scarso valore.

Camera e Senato costano ancora troppo e sono molte le ricerche che dimostrano che il nostro Parlamento costa il doppio rispetto alle assemblee dei nostri partner europei.

In soldoni ciascun addetto alla Camera, dal barbiere, all’autista, al commesso fino al segretario generale ha uno stipendio medio annuo lordo di oltre 150mila euro. Diecimila euro al mese per 15 mesi. Nessuna impresa privata o pubblica al mondo si può permettere il ‘lusso’ di pagare ogni dipendente una cifra così alta.

Se, poi, agli stipendi sommiamo i contributi il costo è di 287 milioni. Sommando anche pensioni degli ex-dipendenti, che costano altri 216 milioni, il prezzo sale a 500 milioni di euro. Un’enormità.

Pagamento deputati

Continuando, tra indennità e pensioni, per il pagamento dei deputati la Camera spende 300 milioni. Di conseguenza, del miliardo che lo Stato mette a disposizione ogni anno, 800 milioni servono solo a pagare stipendi e pensioni (d’oro entrambe a deputati e dipendenti).

La strada per diminuire i costi della politica è, come ben vediamo, infinita.

Tagliare le spese per 60 miliardi: ecco la soluzione per salvare l’Italia

 Uscire dalla crisi. Non si parla d’altro. C’è chi crede che il viatico sia costituito dagli eventuali quattro miliardi spesi per l’Imu sulla prima casa che, una volta restituiti agli italiani, rappresenterebbero una strategia per tornare ai bei tempi.

Con ogni probabilità, però, non basteranno. Rappresentano anzi soltanto lo 0,5% in relazione a un bilancio Statale di 800 miliardi.

Il Pil ha fatto registrare durante lo scorso anno un crollo di 2,4 punti percentuali e le stime Ocse fanno presente un -1,8% per l’anno in corso. A ciò si aggiunga che dal 2007 il crollo della ricchezza italiana si è aggirato in media a 160 miliardi di reddito nazionale in meno.

La domanda interna è caduta in soli dodici mesi del 4%, 3 milioni di disoccupati, le aziende chiudono, la produzione industriale è calata del 25% dall’inizio della crisi e 60 miliardi di credito negato a imprese e famiglie solo nell’ultimo anno, sono una goccia nel mare.

La verità è che al fine di cambiare marcia e lasciare il baratro al quale è destinato il Paese bisognerebbe avere ben altro. Servirebbe un drastico allentamento della pressione fiscale che restituisca soldi a famiglie e imprese. Difficile prevederlo. Solo il taglio dell’enorme cuneo fiscale che grava su imprese e lavoratori, il taglio dei contributi previdenziali del 2,5%, graverebbe allo Stato di ben 16,7 miliardi.

Per avere impatti significativi il taglio dovrebbe collocarsi almeno al 5% e quindi con un costo di 33 miliardi. Una manovra che permetterebbe a un lavoratore di 50 anni con un reddito di 50mila euro lordi di avere 833 euro in più in busta paga e consentirebbe al datore di lavoro di risparmiare 1.600 euro su quel lavoratore.

63 anni per l’uscita dalla crisi

 E’ un Paese che auspica di riprendersi economicamente nel 2014. Lo dicono i maggiori istituti di statistica.

Ma in realtà, per tornare ai livelli pre-crisi (quelli del Pil del 2007) ci vorrebbero 13 anni.

E ci vorrebbero ben 63 anni per tornare al Pil dell’occupazione.

Lo rivela Riccardo Sanna, in uno studio effettuato dall’Ufficio economico della Cgil intitolato “La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione”. In altre parole solo nel 2076 si tornerebbe alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007.

La ricerca propone alcune ipotesi di ripresa, nell’ottica del trend attuale e senza prevedere cambiamenti significativi di natura economica. Né cambiamenti a livello italiano o europeo. Il tutto ai fini di esporre l’urgenza di un cambio di programma che parta dal lavoro per produrre crescita.

Lo studio muove dalla situazione di contesto. Dal 2008 il Prodotto interno lordo, come afferma lo studio, ha perso in media 1,1 punti percentuali ogni anno mentre i posti di lavoro sono calati di oltre 1,5 milioni rispetto al 2007.

I salari lordi sono giù dello 0,1% ogni anno (quelli netti lo 0,4%), la produttività è mediamente in rosso del -0,2%, così come gli investimenti calano, sempre in media, di 3,6 punti l’anno.

Ecco, dunque, spiegato il quadro di riferimento sul quale innestare le previsioni macroeconomiche dell’Istat, a prescindere dalla congiuntura internazionale, e calcolare di conseguenza quanto tempo ci vorrà ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre crisi.

 

E se si tagliassero le pensioni d’oro?

 Il Ministro Giovannini aveva solo accennato a questa possibilità, ma, dato che la ricerca delle risorse necessarie per il rilancio dell’occupazione e dell’economia italiana fanno fatica ad essere trovate, potrebbe anche succedere che davvero arrivi un taglio alle pensioni d’oro, ossia le pensioni erogate dall’Inps che superano i 3.000 euro al mese e che comportano un grave esborso per le sue casse.

► Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Le pensioni superiori ai 3.000 euro al mese erogate dall’Inps ogni mese sono circa 700 mila, il che equivale ad un esborso per l’ente di previdenza pari a circa 40 miliardi di euro all’anno.

Non è certo un’idea nuova, prima di Letta e Giovannini sono intervenuti sulle pensioni d’oro il Governo Berlusconi – contributo di solidarietà del 5% sulle rendite Inps superiori a 90mila euro e del 10% sulla quota che oltrepassa i 150mila euro – poi il Governo Monti, con il taglio del 15% degli assegni superiori a 200mila euro.

Ora, l’ipotesi ventilata di un possibile taglio agli assegni dell’Inps, potrebbe colpire anche le pensioni non proprio d’oro, ma quelle che vanno dai 3.000 euro in su. A fare qualche calcolo sono stati Tito Boeri e Tommaso Nannicini, economisti del sito LaVoce.info, che ipotizzano un risparmio per l’Inps di circa 1,5-2 miliardi di euro all’anno.

► Pensioni: come sono adesso e come potrebbero diventare

I due economisti hanno pensato a questi possibili scenari: contributo del 2% su tutti gli assegni pensionistici che superano i 2mila euro; contributo dell’1% per gli assegni tra 2.000 e 2.500 euro, più un contributo del 2% per le pensioni tra 2.500 e 3.000 euro e un taglio del 3% per le rendite sopra i 3.000; o, ancora un contributo del 2% per gli assegni tra 2.000 e 3.000 euro e di un taglio del 3% per le rendite sopra i 3.000 euro.

 

I termini dell’accordo tra sindacati e Confindustria

 Dopo anni di liti, discussioni e intese separate, ecco arrivare finalmente, salutata con soddisfazione anche dallo stesso premier Enrico Letta, la stipula di una intesa tra Confindustria e le principali sigle sindacali – Cgil, Cisl e Uil – che d’ ora in avanti dovranno attenersi a regole condivise per la rappresentanza sindacale e l’ applicazione delle norme dei contratti firmati.

>Susanna Camusso cerca l’accordo con Confindustria

D’ ora in avanti, dunque, in sede di trattative, si dovrà tenere conto delle deleghe sindacali che il datore di lavoro, su richiesta del lavoratore stesso, comunica di volta in volta all’ INPS, per una loro ufficiale certificazione.

Hollande deve tagliare le agevolazioni per le famiglie

 Il welfare francese, famoso per l’attenzione dedicata alle famiglie, con le tante politiche di sostegno atte a sostenere la crescita demografica, potrebbe subire un duro colpo. Il presidente Hollande, infatti, sotto il pressing europeo – soprattutto quello tedesco – deve intensificare la politica di austerità per risanare i suoi conti.
La Francia vuole un governo dell’Eurozona

Il presidente ha dovuto aumentare già diverse imposte ma il sacrificio chiesto ai cittadini francesi non è ancora sufficiente per rientrare nei parametri europei. Serve un altro miliardo di euro, che Hollande può trovare solo se mette mano alle sovvenzioni dedicate alle famiglie.

In effetti, in Francia le famiglie hanno accesso a due grandi incentivi: l’assegno familiare versato in base al numero dei figli e concesso indipendentemente dal reddito e la riduzione delle imposte calcolata in base al numero dei figli a carico.

► La recessione investe anche la Francia

Il primo passo di Hollande per mettere insieme questo ulteriore miliardo sarà l’abbassamento delle detrazioni, che passeranno da 2.000 euro a 1.500 per figlio a carico. Una mossa, questa, che cerca di limitare i danni – ridurre le detrazioni fiscali è meno vistoso di un taglio agli assegni familiari – all’immagine di questo presidente francese, poco deciso nelle sue politiche agli occhi dell’Europa e ritenuto troppo contraddittorio in patria.

Per le Regioni alla Cig manca almeno un miliardo

 Solo qualche settimana fa il Governo ha stanziato, attraverso l’ approvazione dell’ apposito decreto legge IMU – Cig, un miliardo di euro per rifinanziare, per l’anno 2013, la Cassa integrazione in deroga (CIG), uno degli ammortizzatori sociali di maggiore urgenza per il Paese. Ma dalla Conferenza delle Regioni, nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Lavoro e Finanze della Camera, arriva ora un nuovo allarme: per coprire il reale fabbisogno dei lavoratori in cassa integrazione manca almeno un altro miliardo di euro.

>Da oggi in vigore il decreto sull’IMU ma i nodi da sciogliere restano