Banche tornano in utile, ma non concedono prestiti a imprese e famiglie

La buona notizia è che le banche sono nuovamente in utile. La cattiva notizia è che il credito alle famiglie e alle imprese si sta riducendo visibilmente.

A sostenere questa tesi è Prometeia, che in uno studio ha registrato un utile di 2,4 miliardi da qui fino a fine anno. Un utile che salirà di ulteriori 21 miliardi entro il 2015.

Nel contempo, è previsto un calo delle emissioni di prestiti connesso all’incremento di partite deteriorate e di rettifiche a bilancio consequenziali.

In altri termini, come spiega il Vicepresidente di Prometeia Giuseppe Lusignani, “Al netto della componente sofferenze il credito alle famiglie e alle imprese diminuirà anche durante quest’anno (del -1,9%) e tornerà a crescere soltantoo nei due anni successivi (+2% nel 2015)”.

In ogni caso, nonostante la parziale ripresa Lusignani sostiene che “Le banche non saranno più nelle condizioni di finanziare completamente il fabbisogno di credito delle imprese, che dovranno dunque rivolgersi al mercato dei capitali e anche a quello del debito”.

Il panorama, tuttavia, secondo a una ricerca condotta su un campione di 1.600 Pmi italiane dall’istituto Gugliemo Tagliacarne per conto dello studio Lexjus Sinacta, non è temuto più di tanto dalle aziende.

Il 58,3% delle Pmi che hanno partecipato al sondaggio di Prometeia nell’ultimo hanno non ha avuto particolari problemi dal punto di vista finanziario con le banche. Gran parte di queste Piccole e Medie imprese sta mantenendo stabile la propria base occupazionale.

Ottimismo o rassegnazione?

Certo è che soltanto una minima parte delle aziende investirà quest’anno, e molte hanno smesso di fare ricorso alle banche per richiesta di prestiti.

Inoltre, certo è che solo il 30/33% delle Pmi ha ottenuto una parziale risposta positiva alla propria richiesta di credito.

Gli istituti, del resto, si trovano secondo Prometeia, a dover fronteggiare le partite deteriorate, che sono salite dal 5,1% dei crediti lordi del 2008 al 13,3% del 2012.

 

Gli stipendi dei precari sono più bassi del 25%

 L’ Istituto nazionale di Statistica – Istat – fa i conti in tasca al lavoro precario. E scopre quello che, vivendolo tutti i giorni sulla propria pelle, molti lavoratori atipici sanno ormai molto bene: le retribuzioni medie dei lavoratori precari sono in genere più basse di un buon 25% rispetto a quelle dei dipendenti regolari.

> Ad aprile le retribuzioni sono cresciute più dell’inflazione

Il mercato del lavoro italiano, dunque, a conti fatti, gioca a ribasso. Gli analisti dell’ Istat hanno infatti calcolato, nel loro Rapporto annuale 2012, che in Italia lo stipendio medio di un dipendente a tempo determinato si ferma in genere sui 1070 euro, ovvero 355 euro più giù rispetto a quello di un dipendente “standard”, a tempo indeterminato.

Per gli statali 3000 euro in meno in tre anni

Parlando di lavoratori atipici, dunque, il rapporto dell’ Istat stigmatizza la situazione dei numerosi lavoratori con contratto a termine e contratti di collaborazione che vi sono oggi in Italia. Ma anche guardando ai soli lavoratori full time le differenze rimangono le stesse.

L’ Istituto ha quindi spiegato che il divario tra le retribuzioni è in genere dovuto ad una serie di fattori, come l’ età, il settore di attività, la professione, etc. Ma tra questi quelli che incidono maggiormente sono gli scatti di anzianità, che nei contratti a tempo determinato non vengono applicati. La differenza tende così a crescere con l’ anzianità.

Confindustria lancia l’allarme sulla disoccupazione giovanile

 Dopo le parole accorate del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, anche il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi lancia l’ allarme sulla disoccupazione giovanile e sul problema dell’ occupazione in Italia.

> Draghi parla della disoccupazione giovanile

Al Convegno dell’ Osservatorio permanente giovani – editori, infatti, il presidente di Confindustria ha sottolineato la gravità della situazione italiana, definendola “disperata“, poiché la perdurane mancanza di impiego tra i giovani rischia di far perdere al Paese una o due generazioni.

La Germania lotta contro la disoccupazione giovanile

Per evitare ciò l’ Italia ha quindi bisogno di promuovere politiche che incentivino l’ entrata dei giovani nel mondo del lavoro, che non deve rimanere ancorato all’ idea della sola flessibilità in uscita. Una soluzione potrebbe allora essere l’ apprendistato, che in altre nazioni europee, come la Germania, riesce a dare risultati importanti in termini di occupazione.

Il mondo del lavoro italiano, tuttavia, al momento non ha solo bisogno di  flessibilità, ma anche di posti di lavoro fisso o a tutto campo, che sostituiscano quelli – troppo numerosi – a tempo determinato, in vista di una maggiore competitività delle imprese italiane.

Alla luce di questa competizione globale, di conseguenza, ha aggiunto Squinzi, è necessario che aziende e sindacati dei lavoratori remino nella stessa direzione, così come sotto il Governo Letta si è già iniziato a fare.

La Commissione europea indaga sulla distribuzione degli iPhone

 Dopo lo scandalo della presunta elusione fiscale sollevato dal Congresso americano, che riguardava in particolare l’ esistenza di controllate estere in Irlanda, la Apple, il colosso di Cupertino, torna all’ attenzione della cronaca e nel mirino dei commissari europei.

Per Apple un’elusione fiscale da 74 miliardi di dollari

La Commissione Europea ha infatti recentemente aperto una inchiesta sugli accordi di distribuzione relativi al noto smartphone prodotto dall’ azienda, a causa del sospetto dell’ esistenza di imposizioni di politiche di vendita e di scelte tecniche volte a tagliare fuori dai giochi la concorrenza.

> Elusione tasse, il documento che inchioda Apple

La notizia, riportata oggi dal Financial Times, riguarda cioè, da parte di Apple, la stipula di accordi con le società di telecomunicazioni che garantirebbero alla azienda di Cupertino, nel mercato europeo, le migliori condizioni di vendita.

Per il momento, quindi, l’ indagine dei Commissari europei ha prodotto un questionario indirizzato agli operatori di reti mobili, i quali sono stati chiamati a precisare i termini di distribuzione degli smartphone e la presenza di eventuali accordi di marketing o di restrizioni tecniche o contrattuali.

E dai primi risultati dei questionari la Commissione Europea ha potuto quindi evincere che da parte di Apple vi sono stati dei comportamenti, che, se confermati, potrebbero costituire una violazione delle leggi sull’ Antitrust.

Modifiche alla riforma Fornero per risolvere il problema esodati

 Già da alcuni giorni l’ esecutivo – i tecnici del Ministero del Lavoro in particolare –  è a lavoro per risolvere in via definitiva il problema degli esodati, coloro che, in seguito alla riforma Fornero, si sono trovati nella scomoda posizione di non percepire più un reddito, ma di non poter accedere neanche ai contribuiti pensionistici.

> Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Il Governo Letta avrebbe quindi intenzione di apportare delle modifiche al testo  della riforma in modo da permettere la risoluzione del problema e di favorire un migliore turn over generazionale.

Per Giovannini è necessario ragionare ancora su risorse e misure per il lavoro

Le modifiche alla riforma Fornero riguarderebbero, in particolare, il limite dell’ età pensionabile, che vorrebbe essere abbassata all’ età  di 62 anni, prevedendo, però, delle penalizzazioni sul calcolo dell’ assegno per chi usufruisce dell’ anticipo.

Il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini avrebbe infatti allo studio una versione del sistema che prevede 62 anni e 35 di contributi, e per quanto riguarda l’ entità delle penalizzazioni per chi volesse lasciare prima, si parla dell’ 1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni anno superiore ai primi due. 

Nell’ attuare queste modifiche, tuttavia, l’ obiettivo rimane quello di trovare soluzione al problema degli esodati e di cercare, al tempo stesso, di incidere il meno possibile sul problema della disoccupazione giovanile. Ma la strada delle soluzioni è ancora lunga.

Per la Grecia si parla di successo

 La Cina, nella giornata di oggi ha portato scompiglio sui mercati determinando una flessione incredibile della borsa giapponese che ha avuto ripercussioni anche sui mercati europei. Questo però, non vuol dire che non resti un territorio d’investimento appetibile.

Lo sa bene la Grecia che tramite il suo primo ministro, da tempo, corteggia gli investitori cinesi spiegando che il suo paese, sebbene sia stato in bailout con la necessità di aiuti esterni, è comunque un paese che avrà successo. Stava per morire nel 2012, appena un anno fa, poi ha perseguito la strada della stabilizzazione e della crescita.

Cosa sta succedendo in Asia?

In questo modo gli investimenti in Grecia sono diventati vantaggiosi perché tutti hanno scommesso sulla crescita futura che in effetti c’è stata. Ma è davvero così che vanno le cose oppure è l’ennesima storia greca? Tutti i ministri delle finanze hanno espresso un ottimismo fuori dal comune adducendo sei motivi per pensare al successo greco.

La Grecia torna sul mercato dei bond

In primo luogo è stato indicato il crollo dei rendimenti dei titoli di stato dal 30 all’8 per cento, poi si è parlato anche della contrazione dell’economia, di molto rallentata. La Grecia, in questa situazione è tornata ad essere competitiva anche per via della diminuzione drastica dei salari.

Come quarto motivo per pensare al successo è stato indicato l’operato del governo che aumentando le tasse e riducendo la spesa pubblica, hanno dato nuovo slancio all’economia. La stessa borsa di Atene (ecco il quinto elemento) ha raddoppiato il suo valore in pochi mesi e le banche sono state messe nelle condizioni di consolidare il loro status.

 

700 milioni di euro in meno a causa delle sigarette elettroniche

 Sono circa 700 i milioni di euro che nel 2013 mancheranno all’ erario italiano, cioè ai Monopoli di Stato, dal gettito delle accise sul tabacco. Da quando, infatti, il mercato del fumo è stato letteralmente invaso dalle cosiddette  e-cig, le sigarette elettroniche, il gettito delle imposte sulle sigarette tradizionali ha subito un tracollo verticale.

E la situazione italiana non dà speranza di segni di miglioramento, perché le vendite delle e-cig raddoppiano di anno in anno.

Una nuova tassa sulle sigarette elettroniche?

E’ per questo motivo che, mentre il fatturato del settore elettronico aumenta e ogni giorno nascono nuovi punti vendita sul territorio, lo Stato ragiona incessantemente su come far fronte alle perdite subite.

> I tagli all’editoria salveranno le sigarette elettroniche

Così l’ unica soluzione possibile sembra proprio quella di introdurre una nuova tassazione anche sulle sigarette elettroniche, un tentativo che, tuttavia, è stato disatteso già almeno tre volte. Si era pensato, infatti, di introdurre un balzello già nel Decreto Sviluppo e nella legge di Stabilità del 2012 e, quest’ anno, nel recente decreto sui debiti della Pubblica Amministrazione.

Ma niente da fare. Sulla spinosa questione grava inesorabile un problema di definizione del prodotto stesso, che, se succedaneo del tabacco – come non è – dovrebbe essere regolarmente soggetto all’ accisa, se invece dispositivo medico, dovrebbe essere venduto in farmacia.

Ma i tecnici del Ministero della Salute ancora non hanno trovato una soluzione.

Cosa sta succedendo in Asia?

 I mercati asiatici, a metà del pomeriggio, si sono svegliati malamente dal torpore dei rialzi delle ultime settimane per scoprire che i dati che arrivano dalla Cina non sono affatto positivi e che c’è molta tensione sui titoli di stato, nonostante le banche centrali continuino ad iniettare liquidità sui mercati.

La Cina zavorra la borsa giapponese

Ma cosa sta succedendo veramente? Scoprirlo è importante per diversificare gli investimenti. Prima di tutto bisogna fissare tre punti chiave: i rendimenti dei titoli di stato giapponesi sono in calo, l’economia cinese dà segnali di debolezza e lo yen è più forte del previsto. I mercati azionari giapponesi sono quindi stati travolti dal cosiddetto sell-off che ha determinato un effetto a catena su tutti gli altri mercati mondiali.

Squinzi pessimista sull’Italia

Le azioni giapponesi, in generale, hanno ceduto il 7 per cento e dopo Fukushima si tratta del crollo più consistente. Il Nikkey ha chiuso quindi la seduta di oggi con una flession del 7,3 per cento. Secondo un analista della società IG Markets, tale Stan Shamu, si sta procedendo verso la correzione del mercato e gli investitori hanno intenzione di fissare i loro guadagni. Fino a questo momento, gli stessi investitori che chiamiamo in causa, hanno iniettato nel mercato giapponese circa 60 miliardi di dollari da gennaio fino alla fine di aprile.

Tagliato il rating di Telecom

 Le imprese italiane e tutto il settore industriale nostrano, in questo momento, attraversa una crisi che in numerosi report è descritta come allarmante. Nel mese di aprile, per esempio, c’è stato un calo delle importazioni e delle esportazioni.

In più il presidente di Confindustria ha ribadito al premier Letta che il nord del paese è in un momento drammatico per via della fiscalità troppo rigida, del costo del lavoro troppo alto e via discorrendo. La crisi del nord Italia potrebbe portare presto nel baratro l’intero paese.

Squinzi pessimista sull’Italia

Per il momento dobbiamo prendere atto di una condizione: gli italiani non consumano più come un tempo. A marzo, per esempio i consumi alimentari sono cresciuti lievemente per via della Pasqua ma i consumi non alimentari sono letteralmente crollati.

Moody’s taglia il rating di Telecom Italia

C’è qualcuno che si salva in questa baraonda? Sicuramente sì, ma non bisogna riporre troppa fiducia nelle grandi aziende, per esempio Telecom Italia che sta discutendo dell’acquisizione di Tre Italia ma nello stesso tempo ha un debito troppo elevato e si muove goffamente in un mercato sempre più difficile.

Sono queste le considerazioni che hanno portato l’agenzia di rating Standard&Poor’s a tagliare il rating dell’azienda tricolore i cui titoli sono passati da BBB al livello BBB-. Appena un gradino il livello “non investment grade”.

Importazioni in calo per effetto della crisi

 La crisi inizia a sentirsi in modo molto forte nel nostro paese e più si va avanti e più uscire dal baratro è difficile, infatti arrivano delle richieste sempre più insistenti anche dall’unione degli industriali.

Squinzi pessimista sull’Italia

Nell’ultima assemblea di Confindustria, per esempio, Giorgio Squinzi, il numero uno di viale dell’Astronomia, parlando dopo il neopremier Enrico Letta, ha bacchettato il Governo spiegando che il nord del paese, in questo momento, sta affrontando una crisi importante e potrebbe presto trascinare nel baratro tutta l’Italia.

Le lamentele di Squinzi sono andate di pari passo con la pubblicazione da parte dell’Istat, dei dati sulle vendite al dettaglio nel mese di marzo. Si è scoperto infatti che nel mese in questione, soltanto per effetto delle festività pasquali, c’è stato un incremento delle vendite alimentari pari al 2 per cento, ma per i prodotti non alimentari si parla di crollo, nonostante la tenuta dei beni tecnologici ed informatici.

Grazie alla Pasqua la ripresa dei consumi

In linea con queste analisi e con l’allarme lanciato di Confindustria, ci sono anche i dati sulle importazioni che sono state tagliata dalla crisi. Gli ultimi report, in questo caso, si riferiscono ad aprile. Nel quarto mese dell’anno, i flussi commerciali dell’Italia con i paesi che non appartengono all’Unione Europea hanno registrato un calo dello 0,3 per cento per le importazioni e dello 0,7 per cento per le esportazioni.