L’imposta di bollo sui prodotti finanziari

 Non abbiamo il prelievo forzoso sui conti correnti che sembra essere la soluzione all’orizzonte per i paesi che desiderano o sono costretti ad uscire in poco tempo dall’alveo dell’euro, però abbiamo l’imposta patrimoniale sulle attività finanziarie.

Una mini guida all’IVAFE

Nel nostro paese, chi ha acquistato dei beni finanziari e li detiene nel nostro paese o all’estero, deve pagare la nuova tassa IVAFE. Si tratta di un’imposta di bollo per i prodotti finanziari che non sono soggetti ad obbligo di deposito, quindi l’IVAFE si paga anche per depositi postali e bancari.

Questa nuova tassa non è uguale all’imposta di bollo per diversi motvi. in primo luogo l’IVAFE colpisce tutte le attività finanziarie, anche quelle detenute all’estero e poi l’IVAFE riguarda i soggetti passivi, cioè chi detiene le attività finanziarie.

In rete i modelli Unico, Cnm e Irap 2013

In questa attività di tassazione, quindi, sono coinvolti i clienti e gli enti gestori, cioè coloro che su un territorio esercitano un’attività bancaria, finanziaria o assicurativa. E’ l’ente gestore che deve occuparsi dell’applicazione dell’imposta di bollo il 31 dicembre oppure al termine del periodo rendicontato, oppure alla data di fine rapporto se si tratta di periodo infrannuale. L’ente gestore deve occuparsi anche dell’applicazione dell’imposta di bollo, tranne che per le polizze assicurative di cui si occupa l’impresa di assicurazione e tranne i buoni fruttiferi postali, la cui imposta di bollo è applicata da Poste Italiane Spa.

Una legge per salvare la Miss Sixty

 Monti, durante il suo anno di governo, ha varato una nuova legge fallimentare che ha avuto, come effetto, quello di far aumentare in modo esagerato le richieste di concordato da parte della aziende. Tra le realtà in crisi ci sarebbero anche grandi imprese, tra cui ad esempio Miss Sixty o Seat Pagine Gialle. La prima è stata già salvata, adesso tocca alla seconda.

► Lavorare da Morellato

Miss Sixty era un’azienda che andava a gonfie vele fino a quando non è stata toccata dalla crisi, i suoi debiti sono saliti alle stelle e la situazione è stata aggravata dalla morte del fondatore, Wicky Hassan. Quello che l’azienda ha potuto fare è stato pensare al fallimento.

Record di aziende chiuse nel primo trimestre del 2013

Il fatto che producesse abbigliamento l’ha esposta subito alle mire dei colossi asiatici della produzione di jeans e abbigliamento di una certa qualità. Per evitare di “svendersi”, Miss Sixty ha raggiunto un accordo con i sindacati: ha deciso di salvare 350 posti di lavoro aderendo alla nuova legge fallimentare del governo Monti.

Seat Pagine Gialle si è trovata in una condizione analoga con tanti debiti accumulati, tali da rendere necessaria la ristrutturazione del devito. Per evitare la débacle l’azienda ha pensato di aderire alla nuova procedura fallimentare.

Minacciate dal rating le banche slovene

 La prossima nazione a cadere sotto gli attacchi della crisi non la possiamo prevedere. C’è chi parla della Francia, chi dell’Italia, chi se la prende con la Slovenia. Di certo, quest’ultimo paese è quello che sta subendo di recente l’attacco delle agenzie di rating.

La Germania adesso colpirà la Slovenia

Fitch, infatti, ha deciso di tagliare il rating di ben cinque banche, tra cui i due maggiori istituti di credito del paese, si tratta della Nova Ijubljanska banka e la Nova kreditna Maribor. Nel dettaglio, il rating delle banche colpite da Fitch è passato dal livello BBB- al livello BB-. La decisione, secondo l’agenzia di rating, nasce dalla considerazione dell’incertezza economica del momento e dal fatto che il paese, a livello statale o governativo che dir si voglia, non ha ancora in mente un piano concreto di salvataggio.

Investimenti a rischio nei paesi della black list

Adesso la Slovenia dovrà impegnarsi nel salvataggio delle sue banche che a detta degli analisti, devono fare i conti con un deterioramento dei crediti. In pratica, gli istituti di credito in questione hanno prestato denaro a tante aziende che adesso si trovano a non poter corrispondere le rate del mutuo acceso in passato. La Slovenia, per la ricapitalizzazione delle 5 banche sottoposte al downgrade di Fitch, deve tirar fuori ben 1,6 miliardi di euro.

Nel vino non c’è la verità ma il lavoro

 L’economia italiana arranca, come d’altronde anche quella europea ma ci sono alcuni settori che continuano a proliferare e a crescere. Uno di questi è il settore del vino italiano che, per quanto riguarda le esportazioni è cresciuto del 6,5 per cento.

Oggi, quando si parla di esportazioni del vino, si fa riferimento ad un business di 4,7 miliardi di euro cui devono aggiungere altri 4,2 miliardi che derivano dalla vendita del vino sul mercato internto, anche questa in aumento del 2 per cento.

Firmato il decreto per incentivare l’occupazione femminile

Dalle aziende vitinvinicole, dunque, parte la rinascita e sembra che siano pronte nuove opportunità di lavoro, il 3 per cento in più rispetto al passato. A dirlo sono i risultati del settore presentati all’apertura di Vinitaly dalla Coldiretti. Si parla di record del fatturato, in crescita del 5 per cento con il raggiungimento della soglia di 8,9 miliardi toccata nel 2012. Questo successo è da legare alle capacità imprenditoriali degli operatori del settore che hanno usato l’innovazione tecnologica per restare sul mercato.

Martedì 16 il terzo decreto per gli esodati

Innovazione tecnologica che ha portato anche alla presenza sul mercato di nuovi prodotti, per esempio lo spumante dietetico, oppure il vino che è invecchiato in fondo al mare, quello che è messo ad invecchiare nei giacciai, oppure ancora il vino d’orchestra.

Si tratta di sperimentazioni che hanno già ottenuto un discreto successo e potrebbero essere un trampolino di lancio anche per la riscoperta di altre tradizioni locali. Che l’Italia abbia trovato la chiave della ripartenza?

Il protezionismo sta uccidendo l’export UE

 Alcuni esperti nominati dalla Commissione Europea, hanno deciso di redigere un “Rapporto 2013 sulle barriere al commercio e agli investimenti” per capire quello che non va nel Vecchio Continente.

Bilancia commerciale italiana in fase di miglioramento

Il risultato è che si sono intensificate negli anni le politiche protezionistiche e questo ha portato alla riduzione del volume dell’export con una perdita stimata tra i 90 e i 130 miliardi di euro. Un conto che è pagato salato da tutti 27 paesi dell’Unione Europea.

Il protezionismo, fattivamente, si traduce in dazi doganali troppo alti, nell’incoraggiamento eccessivo della produzione interna, negli ostacoli all’ingresso delle merci e nelle assicurazioni obbligatorie che alla fine sembrano piuttosto dei divieti.

L’accordo europeo sui bilanci degli stati membri

Se anche ci fosse un settore fiorente dell’economia europea, quindi, non avrebbe modo di espandersi. Se invece ci fosse una maggiore promozione dell’export, allora si potrebbe avere nel giro di poco tempo un aumento del PIL del 2 per cento che in termini “euro” corrisponde a ben 250 miliardi.

La strada è sicuramente in salita ma una via d’uscita potrebbe essere nella stipula dei contratti bilaterali. In tal senso le negoziazioni con l’India, da chiudere in pochi mesi, quelle con il Canada, con gli Stati Uniti e con il Giappone, ripartite da poco, potrebbero essere provvidenziali.

La BCE criticata per la sua assenza

 La crisi europea è ancora nella sua fase clou e quelli che pensavano di essersi lasciati alle spalle i momenti peggiori, saranno costretti a ricredersi. In questo momento, infatti, quel che si può affermare con certezza è che la crisi non è finita ma anzi, la spirale negativa sembra viva più che mai.

La Banca Centrale Europea, in tutta questa tarantella, ha deciso di far restare invariato il costo del lavoro ma più in generale si potrebbe dire che non ha scelto di fare alcunché. Questo immobilismo, attaccato su più fronti, fa presagire un divorzio tra l’Europa e la moneta unica.

Goldman Sachs e la strategia sui titoli di stato

Il tutto aggravato dalla situazione economica attuale dove l’economia della zona euro è in recessione da circa due anni, la disoccupazione ha raggiunto livello record, l’inflazione annuale sta scendendo ma quella mensile ristagna, la recessione presente nel primo trimestre è stata soltanto intensificata a marzo.

Il Regno Unito in crisi lo spiega Osborne

La BCE, lo vedono tutti, sta percorrendo una strada molto diversa da quella scelta dalla Bank of England e dalla Federal Reserve che invece studiano dei programmi cosiddetti di asset. Per esempio la Fed ha la volontà di espandere la base monetaria e migliorare le condizioni del settore immobiliare. La Bank of England, invece, studia degli asset che dovrebbero poi favorire le imprese.

Niente entusiasmo sul fronte americano

La settimana post-pasquale di Piazza Affari

 Di rientro dalle vancanze pasquali, la Borsa ha dovuto fare i conti con i dieci saggi e con una settimana di scambi ridotta a soli 4 giorni. Al di là delle naturali oscillazioni, è interessante capire come si è concluso questo periodo.

Il debutto “lussuoso” di Moleskine

Piazza Affari ha chiuso con un rialzo molto lieve dello 0,62% e rispetto agli altri listini europei occorre dire che è andata molto bene visto che le principali borse dell’UE hanno chiuso in parità oppure in territorio negativo.

Sembra che a condizionare questo andamento dei mercati, sia stato il consueto discorso della BCE. Mario Draghi, infatti, è entrato nel merito della situazione economica del Vecchio Continente ma non ha dato indicazioni precise sulla strategia che intende perseguire la BCE per sostenere la crescita dell’Europa.

Piazza Affari non crede alla potenza dei dieci saggi

In pratica si prende atto dell’indebolimento dell’economia, dei rischi dell’Europa e del fatto che la ripresa oltre ad essere graduale è anche più lontana. L’unica certezza che Draghi dà ai mercati è che resterà invariato il costo del lavoro allo 0,75%.

Per quanto riguarda le vendite al dettaglio, invece, ci si aspetta un calo dello 0,3% rispetto al mese precedente, con un conseguente calo degli ordini industriali che salgono soltanto in Germania. Qui l’aumento degli ordini è addirittura superiore alle previsioni.

Telecom più vicina a 3 Italia

 Telecom, il gigante della telefonia tricolore non può accettare che in circolazione ci siano troppi competitors, quindi, come nel caso di 3 Italia, valuta con serietà la possibilità di inglobare le realtà che funzionano nello Stivale.

Il bello è che in questi giorni, quelle che sembrano soltanto delle indiscrezioni, sono state confermate proprio da Telecom. Adesso si deve aspettare l’11 aprile per conoscere i dettagli della proposta.

Superstipendio anche per Bernabé di Telecom

Durante il prossimo CdA, Telecom Italia dovrà discutere della fusione con 3 Italia. Il tutto mentre sono in atto delle trattative con il gruppo cinese Hutchinson Whampoa che deve per l’appunto studiare i dettagli della fusione con 3 Italia.

Al di là del risultato delle trattative è importante capire cosa ne pensa il mercato di questa fusione e tutti gli elementi raccolti finora fanno pensare che la trattativa sia ben vista. I titoli dei due attori del mondo “telefonico”, infatti, sono schizzati alle stelle.

Telecom raggiunge l’accordo con le parti sociali

Resta però da sciogliere un nodo, quello del beneplacito dell’Antitrust. Con la fusione tra Telecom Italia e 3 Italia, infatti, si creerebbe il primo operatore italiano di telecomunicazione e il Garante potrebbe non essere d’accordo con la fusione. In più ci sarebbero degli ostacoli di natura politica ed economica rappresentati dalla presenza indiretta nella trattativa di Banca Akros, Cheuvreux e Ubs.

 

I rischi italiani dell’uscita dall’euro

 La situazione economica italiana, indipendentemente dalle minacce delle società di rating, è a dir poco imbarazzante visto che il nostro paese, aggiustati i conti, si trova a far fronte a nuove emergenze economiche.

Questa situazione fa pensare che da un anno all’altro ci possa essere un nuovo capovolgimento di fronte. Insomma si crede a ragione che la situazione del nostro paese possa peggiorare e che l’Italia faccia la fine della Grecia o peggio di Cipro.

Si può tornare alla lira?

Il debito italiano, infatti, è già molto alto ma potrebbe arrivare a livelli insostenibili nel giro di due anni, toccare il tetto del 140 per cento. Una situazione che potrebbe essere difficilmente assorbita dall’Eurozona. In pratica un paese che abbia la moneta unica, non è pensabile che raggiunga certi livelli di reddito.

La Germania si mette dalla parte dell’Italia

Che conseguenze ci potrebbero essere in questa situazione? In primo luogo si potrebbe avere una nuova fase d’instabilità politica e stando al Parlamento attuale, si potrebbe non raggiungere mai un punto di comunione. Il primo tentativo italiano potrebbe essere nella costituzione di un governo tecnico ma questo vorrebbe dire che anche decisioni politiche saranno prese dai tecnici.

La decisione più importante riguarderà l’adesione o il rifiuto dell’Europa. Se l’Italia fosse in procinto di dichiarare il fallimento, con un Parlamento diviso e un governo di tecnici, arriverebbe immediatamente alla decisione più drastica: l’abbandono dell’Europa.

 

Rivalutata la funzione dei buoni locali, gli Scec

 Dietro l’acronimo SCEC c’è un mondo, c’è un progetto nato a Napoli nel 2008 e portato avanti dall’associazione Arcipelago SCEC.

In questa associazione confluiscono persone diverse che sia a livello di formazione, sia a livello culturale, appartengono a gruppi differenti ma hanno tutti messo a disposizione del progetto la loro caratteristica rilevante.

Draghi fa il quadro della situazione monetaria UE

Arcipelago ha deciso di partire con il suo progetto affrontando i temi caldi della società, quindi ha deciso di partire dal contesto economico e in particolare dalla moneta. La convinzione è che la questione monetaria sia in grado di dividere i cittadini.

Vademecum dell’Inps sull’utilizzo dei buoni lavoro

Da lì l’idea di dotarsi di una propria moneta, lo SCEC che ha come obiettivo quello di ridare valore alle comunità di persone ancor prima alle persone stesse. Anche in questo caso siamo di fronte ad un acronimo visto che SCEC sta per Solidarietà ChE Cammina. In pratica è uno sconto di cui possono usufruire i cittadini che vogliono riconoscersi negli scambi economci di beni e servizi.

Chi si associa ad Arcipelago decide autonomamente di offrire uno sconto su prodotti e servizi, la riduzione del prezzo varia in termini percentuali dal 5 al 30 per cento. Lo SCEC, è importante ricordarlo, può essere usato soltanto insieme agli euro e serve per favorire le produzioni locali.