Un altro caso di perdita dei benefici prima casa

 Quando si acquista una prima casa, per avere i benefici fiscali legati all’imposta di registro, alle imposte catastali e quant’altro, è necessario trasferire entro 18 mesi la residenza nell’abitazione acquistata. Ci sono dei casi, quindi, in cui è possibile perdere i suddetti benefici.

Le agevolazioni sulla casa ottenuta in successione

Abbiamo visto in passato il caso della falsa dichiarazione dell’ufficiale preposto al controllo dell’effettiva residenza dei cittadini. Adesso passiamo in rassegna un caso più frequente: la dimenticanza. Che c’entra la memoria con il fisco?

Per parafrasare un noto adagio potremmo dire che chi non ha buon testa ha un buon portafoglio. In pratica, l’Erario, ha ricordato in questi giorni che per evitare di perdere i benefici fiscali legati all’acquisto della prima casa, è necessario trasferire ufficialmente la residenza anagrafica nel Comune e nelle casa comprata.

Non basta la bolletta dell’elettricità per dimostrare la residenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 6834 del 19 marzo scorso, ha ricordato che l’aver dimenticato di trasferire la residenza, non è una prova sufficiente per non perdere i benefici fiscali già elencati. In pratica non è sufficiente trasferirsi “di fatto” nell’abitazione, ma è necessaria la conferma “burocratica” del cambio di residenza.

La dimenticanza non è ammessa in nessun caso, anche se alla prova dei fatti i contribuenti abitavano nella casa, non avendo una notifica dell’amministrazione comunale, sono stati costretti a rinunciare ai benefici.

L’Iva sui servizi accessori

 In occasione di un controllo sull’attività di una ditta di servizi di pulizia, è stato notato che c’era un errore importante nella fatturazione. A far chiarezza sulla questione è intervenuta la Commissione tributaria di secondo grado della provincia di Trento.

Quando l’IVA è indetraibile

I fatti sono questi: un’azienda che si occupa di offrire diversi servizi ad enti pubblici e privati, ha fatto rientrare i servizi di pulizia offerti ad una casa di riposo per anziani, come prestazioni accessorie. In base ad un decreto del Presidente della Repubblica del 1972 le prestazioni accessorie a quelle curative, nei brefotrofi, nelle case di riposo e in altri enti simili, sono esenti da IVA.

L’imprecisione autorizza il risarcimento del consulente

L’azienda in questione ha usato questa normativa per fatturare senza IVA i servizi offerti ad una casa di riposo per anziani. La commissione tributaria trentina, però, ha spiegato che la pulizia di un ente pubblico non è da considerarsi accessoria se non può essere inserita all’interno di una più vasta gamma di servizi che sono quelli di alloggio e cura. Questo vuol dire che l’azienda ha erroneamente usato l’esenzione IVA ed ora dovrà restituire quanto dovuto all’Erario.

Cosa diversa sarebbe stata se i servizi di pulizia fossero stati a corredo di una prestazione assistenziale offerta agli anziani.

La Polonia vuol dire addio all’Europa

 Sempre più di frequente l’Europa appare inaffidabile al punto che i paesi che stavano per entrarne a far parte, o che avevano già messo un piede nel Vecchio Continente “unito”, si trovano a valutare l’opportunità di fare un passo indietro.

Il primo ministro polacco, Donald Tusk, in questi giorni ha detto di voler lanciare nel suo paese un referendum sull’euro, per capire se l’adesione alla moneta unica è un’opportunità da cogliere al volo, o piuttosto un impedimento allo sviluppo del paese.

L’euro, a chi piace e a chi non piace affatto

La popolazione, vista e considerata la situazione del Vecchio Continente, sembrerebbe intenzionata a salutare l’Europa, anche se poi ci sarebbe da valutare la strategia studiata dal presidente e dal suo governo. I sondaggisti, intanto, sono a lavoro. Per prima cosa si chiedono se sia il caso di avviare le pratiche per l’ingresso della Polonia nell’unione monetaria, ingresso che è previsto per il 2015. Gli ultimi sondaggi, comunque, dicono che il 62% dei polacchi sono contrari all’adesione all’euro.

L’Europa è il continente adatto su cui investire

Una decisione di questo tipo richiederebbe anche aggiustamenti diversi visto la banca nazionale polacca, incaricata di emettere moneta, non potrebbe avere l’incarico senza raggiungere il consenso dei due terzi del parlamento.

Comunque, sull’adesione all’euro e sull’uscita dall’Europa, il presidente ha basato tutta la campagna elettorale.

Qualche errore comune per chi investe nell’oro

 Quando s’investe nel mercato delle materie prime si pensa sempre che i trend rispettino gli andamenti classici del mercato, ma in relazione all’oro, in verità, non è del tutto vero. Un interessante approfondimento, curato da George Gero su Future Now, spiega quali sono i due errori legati agli investimenti sul metallo prezioso citato.

► Morgan Stanley e la nuova visione sull’oro

La prima domanda che ci si pone è se effettivamente, per chi vuole acquistare oro ad un prezzo conveniente, il momento migliore sia proprio quello in cui il prezzo scende. L’evidenza è che il prezzo scende quando tutti continuano a vendere oro, ma non è detto che si vada verso la convenienza. Infatti, la particolarità delle quotazioni auree è legata al fatto che spesso si cerca la buona prestazione ma non si cerca l’acquisto dell’oro.

► Nuove stime sull’oro

Quindi, paradossalmente, se il prezzo continua a scendere, la performance dell’oro è da considerarsi negativa, quindi è giusto aspettarsi che gli investitori si dedicheranno presto ad altri business più equilibrati e remunerativi.

Il secondo errore riguarda il pensare che l’oro sia sempre un bene rifugio da acquistare quando si teme che il mercato scenda. È vero che il mercato e l’oro, generalmente, hanno dei trend che potremmo definire “contrapposti”, ma si acquista oro solo quando si teme l’effetto dell’inflazione, non quando si teme che il mercato scenda.

Anche Mediaset assapora la crisi

 Mediaset, dal giorno della sua quotazione, non aveva mai conosciuto un momento come questo, forse Silvio Berlusconi e gli altri soci del Biscione, non immaginavano nemmeno che arrivasse l’anno in cui la società non avrebbe pagato alcun dividendo agli azionisti.

► In attesa delle elezioni cosa succede a Piazza Affari

Soprattutto, questa sensazione, non c’era l’anno scorso. Nel 2012, infatti, Finivest aveva distribuito una cedola di 10 centesimi per azione, per un totale di circa 47 milioni di euro. Adesso, invece, la crisi è così profonda e strutturata che non si possono fare previsioni sulla raccolta pubblicitaria del 2013.

► Mediaset svolta e mette a segno due rialzi incredibili

Il mercato dell’advertising è in crisi e Mediaset non è esclusa da questa situazione generale. Quindi, nel 2013, per la prima volta dal 1997, il Biscione chiude l’anno in rosso con dividendi pari a zero per i suoi azionisti. La perdita portata in bilancio è pari a 235 milioni di euro che vanno a subissare i 225 milioni di euro di utili dello scorso anno.

► Trimestrali: crolla Mediaset

Il gruppo, a questo punto,confida in Mediolanum che non solo è molto attiva sul mercato creditizio ma ha già definito una cedola di 0,18 centesimi per i suoi azionisti. La holding di Silvio Berlusconi e della sua famiglia, ad ogni modo deve fare i conti con una crisi che interessa anche l’immagine dell’azienda e deriva dalla sovrapposizione tra le questioni industriali dei Berlusconi e la vita privata dell’ex premier.

Anagrafe dei conti correnti: come funziona e a cosa serve

 Il Decreto Salva-Italia voluto dal Governo Monti ha portato anche alla predisposizione di un nuovo strumento per la lotta all’evasione. Si tratta dell’anagrafe dei conti correnti, ossia tutta una serie di informazioni che banche, Poste, società di gestione del risparmio e altri intermediari finanziari dovranno inviare al fisco entro i termini stabiliti.

► Anagrafe dei conti correnti, la nuova arma del fisco

I dati che dovranno essere inviati riguardano, nello specifico, i conti correnti (saldi di inizio e fine anno e del totale dei movimenti distinti per dare e avere, quindi il loro valore complessivo), i depositi titoli (saldi tra il totale degli acquisti e quello dei disinvestimenti), le carte di debito e di credito (utilizzo del plafond di spesa a inizio e a fine periodo, valore degli acquisti e, solo per le carte ricaricabili l’importo delle ricariche effettuate nel corso dell’anno) e le cassette di sicurezza (numero degli accessi dei proprietari).

Il Fisco, quindi, avrà a disposizione una grande mole di dati. Come verranno utilizzati?

Ovviamente il provvedimento che ha dato vita all’anagrafe dei conti correnti rispetta le norme italiane sulla privacy, e le informazioni che le banche e gli altri istituti sono chiamate a comunicare al Fisco verranno utilizzati al fine di creare delle liste selettive di contribuenti potenzialmente a rischio di evasione, ossia i contribuenti che presentano dei vistosi scostamenti tra i loro comportamenti bancari e le dichiarazioni dei redditi.

► Sfuggire al fisco è sempre più difficile

Ma l’anagrafe dei conti correnti potrà essere utilizzata anche per scovare i ‘furbi’ del welfare: infatti questi dati, oltre a semplificare gli adempimenti richiesti ai contribuenti per la dichiarazione sostitutiva unica necessaria all’accesso a prestazioni sociali agevolate, potranno essere utili anche al controllo della veridicità degli stessi da parte delle amministrazioni pubbliche.

 

Triple A nel mondo in via d’estinzione

 Il cosiddetto club delle triple A, cui aderiscono quei paesi che possono essere considerati appetibili dagli investitori, in base al giudizio complesso delle agenzie di rating, stanno diminuendo. Per colpa della crisi, adesso, molti stati non risultano più affidabili.

► Moody’s se la prende con l’economia inglese

È questo il risultato di una recente indagine condotta del Financial Times che parte dalla considerazione dei giudizi espressi da Standard&Poor’s, da Moody’s e da Fitch sui titoli disponibili legati agli stati presenti nel mondo.

► Il mappamondo economico del 2050

Ora il parco dei titoli affidabili si è assottigliato tantissimo e così dal valere 11 mila miliardi di dollari nel 2007, è sceso fino a 4 mila miliardi che è l’attuale valore. Questo si deve non tanto alla svalutazione dei titoli di stato quanto piuttosto alla fuoriuscita dal club della Tripla A, di 6 paesi su 10. La flessione del 60% in cinque anni, si lega alla crisi che ha messo in ginocchio anche colossi dell’economia mondiale come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Al giorno d’oggi, dunque, i paesi che hanno la tripla A sono rimasti soltanto in 9. La perdita di credibilità, ad ogni modo, ha subito un’accelerazione dall’agosto del 2011, mese segnato dal tracollo dell’Europa.

Da questa condizione possono trarre spunto soprattutto i paesi emergenti.

155 milioni di dollari per un Picasso

 In un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, molti cittadini sono costretti a ridurre le spese per l’alimentazione, per fatturato e ordini si parla ancora di calo, eppure ci sono delle fette del mercato, ad esempio quello del lusso, che sembrano non conoscere alcuna flessione.

► Ferragamo vede bene anche il 2013

L’ascesa in borsa del noto marchio di moda Ferragamo, può essere citato come esempio, ma non basta. Per capire come si sta muovendo anche il business dei ricchi del mondo, si possono consultare le aste ed in particolar modo quelle delle opere d’arte.

Continua la corsa agli immobili di lusso

L’ultima in ordine cronologico ha visto la vendita di un Picasso per 155 milioni di dollari. Il bello è che in questo caso la qualità del prodotto era stata compromessa, visto che il proprietario del quadro, che è il magnate dei casinò di Las Vegas, lo aveva danneggiato con una gomitata. L’effetto dell’incidente fu l’annullamento della prima asta in cui il prezzo di base era stato fissato a 135 milioni di euro.

In qualche modo, il proprietario del quadro doveva rimediare all’errore e così ha pensato bene di chiamare dei restauratori importanti per ridare vita all’opera danneggiata. Il restauro è stato talmente interessante e ben riuscito che nell’asta “buona” per il Picasso, il quadro è stato battuto a 155 milioni di dollari.

Per fatturato e ordini si parla ancora di calo

 Da dicembre 2012 a gennaio 2013, il fatturato delle aziende è calato così come sono calati gli ordini. La crisi si è manifestata in modo importante soprattutto tra le aziende che esportano i loro prodotti all’estero. Per loro il calo è stato di 0,4 punti percentuali nel primo mese del 2013 ed è una flessione indipendente dalle condizioni del mercato interno.

► Indicatori ForEX: impariamo a distinguerli

L’Istat, in questi giorni, sta facendo un resoconto spietato della situazione economica del nostro paese. Adesso, nell’ultimo report, ha passato in rassegna fatturato e ordini dell’industria tricolore a gennaio 2013. Chi ben comincia, dice il detto, è a metà dell’opera. Se fosse vero per l’Italia le speranze della ripresa si allontanano.

Le riforme e i futuri mercati

Il fatturato di gennaio è diminuito dell’1,3 per cento rispetto al mese precedente, considerando i risultati al netto della stagionalità. Il calo sul mercato interno è stato dell’1,7 per cento, mentre il calo sul mercato estero è dello 0,4 per cento.

Se poi si considera il trend trimestrale si scopre che negli ultimi tre mesi si accusa una flessione dell’1,7 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Sempre a livello trimestrale, considerate anche le correzioni sul calendario, il fatturato totale è diminuito del 3,4 per cento con una riduzione più consistente, del 5,5 per cento sul mercato interno ed un aumento dell’1,2 per cento, invece, su quello estero.

Telecom raggiunge l’accordo con le parti sociali

 Anche le aziende più grandi, anche il settore bancario, anche molti colossi della nostra industria nazionale, sono costretti in questi mesi a parlare di esuberi, si trovano a gestire un piano d’emergenza per l’uscita dalla crisi che comporta la definizione di una serie di licenziamenti, casse integrazioni, mobilità e quant’altro.

Milano guadagna nel giorno del rally di Wall Street

L’ultima azienda che è andata a colloquio con le parti sociali è la Telecom, dove sta per scoppiare la crisi a seguito della vicenda Fossati. L’azionista Telecom in questione, socio del gruppo, ha chiesto che sia votata la fiducia al management dell’azienda visto che in 4 anni c’è stata un’eccessiva svalutazione dell’azienda, dove i dividendi sono passati  dagli 8 centesimi del 2008 ai 2 centesimi del 2012.

Fossati contro Telecom e inizia la battaglia

La questione più scottante, per Telecom, però, sembra essere un’altra: si parla di esuberi. Nella notte tra martedì e mercoledì, infatti, è stato raggiunto un accordo con i sindacati per far sì che inizi un contratto di solidarietà per ben 2500 dipendenti di Telecom Italia Spa. In più, oltre questi esuberi, sono già state definite le 500 persone che lasceranno l’azienda per andare in pensione e gli altri 350 lavoratori che fanno parte di Telecom Information Technology e dovranno essere gestiti con altri ammortizzatori sociali.