La Cina sarà il maggiore importatore di oro nero

 E’ successo a dicembre: la Cina ha superato gli Stati Uniti nell’importazione del petrolio e questa evenienza sembra dovuta all’incremento della produzione economica del paese e all’aumento dei consumi della classe media cinese.

Nel 2012 gli Stati Uniti avevano annunciato con sicurezza che in futuro sarebbero diventati i maggiori produttori di petrolio del mondo, i primi in assoluto, superando anche l’Arabia Saudita e cercando d’incentivare la soddisfazione della domanda interna del paese.

Non si è accennato al fatto che il 2013, dal punto di vista della produzione del petrolio, sarebbe invece stato all’insegna della Cina che pur avendo rallentato nella crescita economica, occupa ancora un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale.

I dati ufficiali devono ancora essere diffusi ma sembra che il sorpasso ci sia stato e a documentarlo sono i report del Financial Times che, riguardo all’America parlano di un calo delle importazioni pari a 5,98 milioni di barili al giorno. Un livello che non si registrava dal lontano 1992. Le importazioni cinesi, invece, sono cresciute fino a 6,12 milioni di barili al giorno.

Il sorpasso è stato possibile in virtù della crescita economica della Cina che ha comportato una richiesta importante di materie prime. Il calo delle importazioni negli Usa, invece, si lega al fatto che il paese ha puntato molto sulle rinnovabili ed ha cercato di soddisfare autonomamente la richiesta di petrolio.

 

Il peso del fisco sul risparmio

 Chi ha fatto degli investimenti sa bene che i loro rendimenti possono essere molto variabili a causa delle continue, e non sempre prevedibili, fluttuazioni dei mercati. Ma oltre a questo, ad influire sul risparmio c’è anche il fisco che, soprattutto in questi ultimi giorni, sta facendo sentire l’effetto delle nuove legge emanate di recente, come la manovra di Ferragosto del 2011, il decreto salva-Italia e la legge di stabilità per il 2013.

► Le elezioni italiane e gli investimenti

Difficile dare un quadro preciso della situazione, in quanto le aliquote variano in base all’ammontare dell’investimento e del prodotto prescelto. In media si tratta, comunque, di una pressione fiscale di circa il 50% che arriva, però, anche a punte dell’80%.

Ad essere maggiormente penalizzati, a causa dell’effetto combinato di bollo e ritenute, sono gli investimenti più piccoli. Ad esempio, come riportato nella tabella de Il Sole 24ore, per un investimento di 3.000 euro sui titoli di stato, si può arrivare a pagare al fisco fino a 50% delle cedole. Lo stesso anche per le obbligazioni, strumenti per i quali la pressione arriva anche al 60%.

A questo punto i piccoli risparmiatori, coloro che sul conto corrente bancario hanno un deposito inferiore ai 5.000 euro, hanno maggiore convenienza a lasciare il denaro fermo, in quanto per queste somme non scatta il bollo in somma fissa.

► In Italia arriva la Tobin Tax

A questo si aggiunge la Tobin Tax, entrata in vigore il I marzo, che si applica, per ora, le transazioni di azioni emesse da società italiane e, a partire da luglio, anche tutte le operazioni su strumenti finanziari derivati

 

Marchionne minaccia l’Italia

 L’Italia, alla fine delle elezioni, ha dimostrato che la popolazione è ampiamente scontenta di come vanno le cose e il voto al Movimento 5 Stelle, non è un voto di protesta, come si affrettano a dire in tanti, ma un voto contro l’austerity e un voto contro una serie di imposizioni economiche e fiscali inefficaci a garantire la ripresa.

Confermata la crisi del settore auto UE

Si è tornati così a parlare di una possibile uscita dell’Italia dall’euro. Ma a chi farebbe bene questo abbandono della moneta unica? Non di certo agli investitori, stando a quanto dichiarato da Sergio Marchionne. L’amministratore delegato della FIAT, infatti, durante il Salone dell’Auto di Ginevra, ha addirittura minacciato il nostro paese spiegando che se non si mette un freno all’instabilità politica, non ci saranno più investimenti della FIAT in Italia. Marchionne minaccia di abbandonare lo Stivale anche nel caso si decida di lasciare l’euro.

Continua la crisi dell’auto

Una dichiarazione che molti analisti hanno interpretato come il punto di vista di un imprenditore attualmente in difficoltà, alla guida di una delle aziende che maggiormente stanno perdendo terreno in Europa. Il settore delle automotive, in generale, è in crisi e in Europa sono diminuite le vendite. A crescere restano soltanto le imprese asiatiche.

Marchionne, poi, ha approfondito il tema degli investimenti, spiegando che ci si è concentrati molto sui titoli Chrysler.

Londra contro il tetto ai superstipendi

 Le ultime dichiarazioni che arrivano dalla City di Londra creano un neo difficilmente eludibile per gli investitori che ripongono speranza nella reputazione e nell’andamento dell’economia del Regno Unito. Tra l’altro, negli ultimi mesi, il Regno Unito aveva dimostrato di non navigare in buone acque.

 Sui tetti ai superstipendi parla l’SPD

Le dichiarazioni riguardano i superbonus dei manager delle banche. Gli avvocati degli istituti di credito inglesi, da ieri, hanno ottenuto un mandato per avviare una causa contro l’Unione Europea che ha raggiunto un accordo sugli stipendi dei banker.

In pratica, la parte variabile della remunerazione di un banker può essere elevata fino a raddoppiare lo stipendio fisso, oppure può essere triplicato ma in questo ultimo caso l’aumento deve essere approvato con la maggioranza qualificata dall’assemblea dei soci della banca. Sotto accusa ci sarebbe quindi una decisione presa dalla Commissione e dal Parlamento UE e dal Consiglio europeo.

 Gli stipendi italiani tra i più bassi d’Europa

I legali inglesi, che hanno già fatto una loro ipotesi, si sono rivolti al Financial Times per le dichiarazioni, spiegando che la disposizione europea viola le costituzioni in alcuni stati membri, come possono esserlo l’Austria, la Germania e la Polonia.

Peccato che questa decisione sia stata ratificata a gran voce in Svizzera e subito dopo anche la Germania ha seguito l’esempio della Confederazione e i legali inglesi, adesso, potrebbero trovarsi davanti ad una misura molto popolare e difficilmente espugnabile.

Scende lo spred e vanno bene le banche

 Le difficoltà economiche che interessano l’Italia, sono condivise con il resto dell’Eurozona ma oggi la cronaca finanziaria non sembra essere interessata alla decrescita del PIL, quanto piuttosto alle decisioni delle diverse banche centrali che stanno cercando di convogliare gli sforzi per sostenere le economie dei diversi paesi.

L’Istat manda a picco Piazza Affari

Il fatto che tutti siano concentrati sulle banche centrali, si evince anche dalla chiusura delle borse di Wall Street ieri sera e di Tokyo stamattina. La borsa americana è cresciuta poco ma è in ascesa dello 0,27%, resistendo alle cattive performance di un titolo importante come Apple. Tokyo, invece, ha chiuso ugualmente in positivo trainando verso l’alto le piazze europee, Milano, per esempio, ma anche Parigi, Londra e Francoforte.

In discesa il cambio tra euro e dollaro americano

Mentre per l’Italia scende lo spread, è in corso l’Ecofin, dove, per il nostro paese, partecipa il ministro uscente dell’economia, Vittorio Grilli. All’ordine del giorno ci sono il superbonus per la banca e il sistema bancario Basilea 3 che, inizialmente hanno messo d’accordo tutta l’Europa.

Le borse di tutto il mondo, comunque, sono in rialzo dopo le dichiarazioni del vice presidente della Fed e del governatore in pectore della Bank of Japan, riguardo la necessità di continuare nel caso dell’America con il programma di acquisto mensile dei bond e nel caso del Giappone con l’acquisto dei titoli di stato a lunga scadenza.

Risarcimento accordato ai precari della scuola

 E’ bastata l’applicazione alla lettera delle norme europee  in materia di abuso di contratti a tempo determinato per far ottenere a due precari della scuola un risarcimento di oltre 15o mila euro ciascuno.

► Stipendi statali bloccati fino al 2014

E’ successo a Trapani. Il giudice che ha dato ragione ai due insegnati è Mauro Petrusa, che ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire i due precari, uno insegnante di Educazione Fisica e l’altro di laboratorio di Elettronica, per 150 e 170 mila euro rispettivamente.

Il giudice ha applicato le disposizioni comunitarie in materia che impediscono la stipula di contratti sine die, ossia senza una precisa data di scadenza. La normativa europea non lascia spazio a equivoci: senza valide motivazioni, non è possibile abusare del contratto a tempo determinato. Nel caso specifico i due insegnanti hanno avuto per diversi anni un contratto come supplenti ma non sono mai stati messi a ruolo nonostante il posto che occupavano come precari fosse vacante.

► Ue contro la riforma del lavoro: è discriminante verso i precari

Si chiama nomina su posto vacante e in Italia sono circa 10 mila gli insegnanti che lavorano in questa condizione. Se tutti loro decidessero di fare la stessa cosa, al Ministero dell’Istruzione dovrebbero prepararsi a sborsare una somma di circa un miliardo e mezzo di euro.

Quali soluzioni per gli esodati con il nuovo governo?

 Tutti, nessuno escluso, ha lasciato in disparte l’argomento degli esodati in campagna elettorale, ogni schieramento con il suo programma. Ora le elezioni sono terminate, i risultati li sappiamo, come sappiano che non ci sarà un governo di maggioranza a prendere decisioni ma una grande coalizione, anche se restano dei grandi dubbi su quale potrà essere la sua composizione.

Gli esodati sono un esercito di quasi trecento mila persone, che sono rimaste senza lavoro e non hanno un reddito da pensione. Effetto della riforma Fornero. Ma il ministro ha messo in campo anche qualche soluzione per risolvere il problema -due decreti per le garanzie di copertura per un totale di 120 mila persona- ma ancora non sono sufficienti a garantire la tranquillità per tutti.

► Obiettivo Welfare: le proposte dei partiti in lizza per le elezioni

Ora, anche se tutti i partiti hanno messo in campo le loro soluzioni, l’esito delle elezioni è molto difficile da gestire, come lo è anche la situazione politica generale del paese, il che potrebbe portare ad un ulteriore slittamento dei provvedimenti di salvaguardia.

Nello specifico il Partito Democratico di Pierluigi Bersani ha detto, fin dall’inizio, che l’obiettivo sul welfare sarebbe stato quello di rivedere e rendere più flessibili i criteri di accesso alla pensione stabiliti con la riforma del governo uscente, portando l’età minima pensionabile tra 62 e 66 anni con un criterio di gradualità e l’abolizione degli assegni di anzianità. In pratica si necessita di una maggiore gradualità del passaggio da un sistema all’altro, soprattutto nel caso di situazioni problematiche come possono essere quelle degli esodati.

Il PDL vorrebbe fare in modo che i fondi recuperati con la riforma non vadano sprecati – con possibili tagli alle pensioni d’oro – e un turnover “leggero” tra lavoratori in uscita e in entrata, con passaggio al part time nelle fasi finali di attività lavorativa.

► Ancora polemiche sulla copertura per gli esodati

Cosa pensa, invece, il Movimento 5 stelle che, in fin dei conti, si è rivelato essere il vero vincitore delle elezioni politiche del 2013?

Nel programma elettorale di Beppe Grillo non si parla specificatamente del problema degli esodati, ma si accenna comunque ad una riforma generale del welfare che lo renda più umano ed accessibile. In primo luogo Beppe Grilllo ha proposto l’introduzione di un reddito di cittadinanza per garantire delle condizioni di vita dignitose alle fasce più deboli della popolazione. Nello specifico delle pensioni Grillo e il suo Movimento propongono, prima di tutto, un taglio alle famose pensioni d’oro che superano i 5mila euro mensili e, poi, riportare l’età pensionabile al 1992, quando per uscire dal lavoro erano sufficienti i 60 anni di età.

 

Forbes ha stilato la classifica degli uomini più ricchi del mondo

 Forbes ha pubblicato la sua classifica degli uomini più ricchi del mondo. Una serie di nomi -in totale sono 1426– che spaziano per tutti i cinque continenti e che generano una ricchezza pari a 5.400 miliardi di dollari.

La maggiore concentrazione di paperoni è negli Stati Uniti con un totale di 442 miliardari, al secondo posto l’Asia, paese che si distingue sempre di più per l’emergere dei nuovi ricchi, grazie ad una economia in forte espansione, con 386 super ricchi e al terzo posto troviamo Europa con 366.

La classifica di quest’anno vede degli interessanti rivolgimenti rispetto al passato. Primo fra tutti la caduta dal podio di Warren Buffet, che quest’anno è solo quarto, superato da Amancio Ortega. Carlos Slim è, invece, sempre fermo lì al primo posto per il quarto anno consecutivo, ma quest’anno sono entrati dei nuovi nomi a rincorrerlo: parliamo di Renzo Rosso, Bruce Nordstrom e Tory Burch.

La classifica dei 10 più ricchi del mondo secondo Forbes

1   – Carlos Slim 73 miliardi di dollari
2   – Bill Gates 67 miliardi di dollari
3   – Amancio Ortega 57 miliardi di dollari
4   – Warren Buffett 53,5 miliardi di dollari
5   – Larry Ellison 43 miliardi di dollari
6   – Charles Koch 34 miliardi di dollari
6   – David Koch 34 miliardi di dollari
8   – Li Ka-shing 31 miliardi di dollari
9   – Liliane Bettencourt 30 miliardi di dollari
10  – Bernard Arnault 29 miliardi di dollari

E gli italiani? Per arrivare a vedere un nome italiano nella classifica di Forbes si deve arrivare fino alla 23° posizione, dove si piazza Michele Ferrero con 20,4 miliardi di dollari.

Gli italiani più ricchi del mondo secondo Forbes

23 – Michele Ferrero 20,4 miliardi di dollari
49 – Leonardo Del Vecchio 15,3 miliardi di dollari
78 – Miuccia Prada 12,4 miliardi di dollari
131 – Giorgio Armani 8,5 miliardi di dollari
175 – Patrizio Bertelli 6,7 miliardi di dollari
189 – Stefano Pessina 6,4 miliardi di dollari
194 – Silvio Berlusconi 6,2 miliardi di dollari
195 – Paolo & Gianfelice Mario Rocca  6,1 miliardi di dollari

L’accordo è definitivo e ora LA7 è proprietà di Cairo Editore

 L’annuncio è arrivato via Twitter questa mattina. A farlo Gad Lerner, uno dei giornalisti di punta dell’emittente, dopo la conclusione del cda di Telecom Italia Media che aveva lo scopo proprio di definire gli ultimi punti dell’operazione di cessione.

► Cessione di La7 in via di ufficializzazione

Ancora nessun commento ufficiale, ma solo qualche indiscrezione, come quella di Urbano Cairo che si è lasciato sfuggire che, con questa acquisizione, si è preso una patata bollente. In effetti non sarà semplice gestire l’emittente, che lo scorso anno ha chiuso in rosso i conti.

Da quanto si è saputo in questi lunghi mesi di trattative, Cairo avrebbe investito circa un milione di euro per rilevare l’emittente, riuscendo a strappare a Telecom il pagamento delle perdite di La7 fino a che il contratto di cessione non sarà in esercizio (almeno, quindi, fino al giugno di quest’anno), di farsi anche carico dei 533 dipendenti della televisione e di ridurre del 50% l’affitto dei Multiplex che rimangono di proprietà di TiMedia.

► Umberto Cairo e le difficoltà del risanamento di LA7

Con questo contratto Urbano Cairo, è diventato il nuovo editore del terzo polo televisivo italiano. La sua è una scommessa non facile da vincere, l’emittente è in rosso con debiti che hanno raggiunto i 260 milioni di euro, ma sarà compito di Telecom, per prima, di ricapitalizzare prima TiMedia e poi La7 per permettere a Cairo di iniziare la sua gestione.