Una lotta valutaria tra Tokyo e Berlino

 Quella tra valute, oggi, si configura come una propria guerra che oppone i paesi sulla base della scelta della politica monetaria. L’ultima contrapposizione sorta è quella tra Giappone e Germania.

A parlare, alla fine di gennaio è stato il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann che si è scagliato quindi contro la politica di allentamento monetario scelta dalla Bank of Japan il cui obiettivo prioritario è portare l’inflazione al 2 per cento.

 BoJ e governo discutono della crescita

Per farlo Tokyo ha scelto di stampare nuovi yen, di metterli sul mercato e di procedere, con questo gruzzoletto, a comprare l’euro, in modo che sia la moneta del Vecchio Continente ad apprezzarsi mentre si svaluta in modo provvidenziale lo yen.

 Le scelte della BoJ fanno arrabbiare la Germania

Nelle esportazioni, a questo punto, la strategia di Tokyo risulterebbe vincente. Una strategia analoga a quella giapponese, potrebbe essere adottata anche dalla Svizzera, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti che possono permettersi di stampare moneta, a differenza della Germania che dei paesi dell’Eurozona che non hanno sovranità monetaria e quindi non possono rispondere con altrettante manovre aggressive.

A livello interpretativo, la scelta del Giappone sullo yen vuole dimostrare anche che non esiste l’indipendenza delle banche centrali, visto che, quanto sta facendo la Bank of Japan non è altro che il risultato di un “ricatto” condotto ad arte dal governo del paese.

Apple lascia lo scettro ad Exxon

Apple è stata regina della borsa di New York per tanti mesi e per diversi anni, da quando i titoli tecnologici hanno conquistato Wall Street e i prodotti dell’azienda di Cupertino hanno convinto generando non un circolo di consumatori ma un vero e proprio club di adepti.

Adesso gli eredi di Steve Jobs non sembrano all’altezza della popolarità del titolo e la chiusura degli scambi di venerdì ha evidenziato questa carenza.

La borsa americana, in generale, ha chiuso con una performance così positiva che non si ricordava un entusiasmo del genere dal 2004. La striscia positiva è stata accompagnata anche da una serie di segnali positivi che sono arrivai dalla politica, il Congresso, infatti, ha deciso che della variazione del tetto del debito si parlerà soltanto da maggio in poi.
Insomma, a Wall Street si respira un entusiasmo fuori dalle righe, un armoniosa crescita dell’indice sintetico e dei maggiori titoli.

 Crollo di Apple in Borsa

 

L’unica nota stonata in questo panorama è rappresentata allora dalla Apple che invece ha messo a segno un’altra giornata negativa. Non tanto per la presentazione dei dati trimestrali, perché lì si parla di crescita, quanto piuttosto per la delusione delle aspettative degli investitori, che in questi anni si erano abituati a ben altri incrementi del valore del titolo.

 Apple vende meno iPhone

Oggi, per esempio, un’azione Apple vale soltanto 514 dollari. Lo scettro di regina di Wall Street è stato dunque lasciato alla Exxon che dimostra quanto il petrolio sia ancora al centro degli interessi degli investitori di tutto il mondo.

 Petrolio, acciaio e caffè: i trend di fine anno

Twitter vale 9 miliardi di dollari

 Twitter sta crescendo molto, quasi una crescita esponenziale, della quale l’arrivo in borsa sarà il naturale sfogo. Molti si preoccupano del fatto che Twitter possa seguire le orme di Facebook ed arrivare a Wall Street soltanto per fare un tonfo del tutto disatteso.

 Twitter, forse, cinguetterà in Borsa

Il ritmo di crescita di Twitter è l’elemento più significativo della marcia del fringuello. Ogni secondo si registrano 12,7 nuovi utenti e dall’inizio del 2012 si è andati sicuramente oltre i 500 milioni di account.

 Twitter prepara il terreno per l’ipo

È stato da queste considerazioni che è partita la società d’investimenti BlackRock per spiegare che oggi Twitter vale almeno 9 miliardi di dollari. Il fondo ha addirittura pensato di fare un po’ come aveva fatto Facebook, lanciando un’offerta di 80 milioni di dollari per comprare le azioni dei dai dipendenti. Anche il social network blu, infatti, aveva voluto che i dipendenti dell’azienda fossero anche i primi soci.

Forse sarà proprio questa mossa a far salire le quotazioni di Twitter oltre i 9 miliari di dollari, che sono anche il 10 per cento in più dell’ultima raccolta fondi effettuata dalla società che risale al terzo trimestre del 2011.

Ma quando arriverà il debutto in borsa di Twitter? Alcune voci di corridoio parlando di una presentazione dei documenti presso l’Initial public offering, alla fine del 2013 o anche all’inizo del 2014.

Per la questione Antonveneta si sospettano le tangenti

 La crisi di MPS spiegata in quattro punti non è sufficiente ad entrare nella profondità della questione Antonveneta perché l’ipotesi, allarmante dal punto di vista finanziario, è che ci siano di mezzo delle tangenti.

Tutto quel che c’è da comprendere è il sistema Mussari che ha dato origine alla valanga MPS. Nel 2007, infatti, ci sarebbe stato un versamento di circa 2 miliardi di euro su un conto in una banca di Londra. L’entità del “bonifico” non sarebbe altro che un sovrapprezzo per l’acquisto di Antonveneta, usato per oliare gli ingranaggi della politica. Insomma il costo delle tangenti pagate dal management del Monte dei Paschi.

 Scandalo Mps nel giorno dell’incontro con il Fmi

Nel 2007, il MPS di Mussari ha comprato la banca Antonveneta dal Banco Santander che era pronto a chiudere l’affare per 7 miliardi di euro, ma il management italiano ci ha tenuto ad offrirne di più: 9 miliardi di euro versati in due tranche e su due conti diversi, uno del banco Santander su cui sono finiti 7 miliardi e il famoso conto londinese.

 Cosa pensa la politica dell’affare MPS

Quei soldi “inglesi”, poi, attraverso una serie di scudi fiscali, sarebbero in parte rientrati nel nostro paese. I PM della Procura di Siena stanno indagando insieme alla polizia valutaria di Roma su queste ipotesi e se fossero confermate alcune piste, ci sarebbe la conferma che oltre a Mussari sono molti gli uomini coinvolti in questa truffa.

La crisi di MPS spiegata in quattro punti

Cosa pensa la politica dell’affare MPS. Adesso non resta che provare a dare una spiegazione della crisi di questo importante istituto di credito.

La prima causa del crollo del titolo è sicuramente legata ai contratti derivati che sono stati celati a Bankitalia. Il potenziale speculativo di questi titoli è molto elevato ma può determinare la crisi del sistema Monte dei Paschi e del sistema finanziario nazionale.

La seconda causa dei problemi del Monte dei Paschi è sicuramente l’entità delle perdite che arrivano a pensare per 6,2 miliardi di euro. Una cifra esorbitante che è stata “accumulata” dal 2011 in poi.

La terza causa dei problemi del Monte dei Paschi, secondo molti, è da rintracciare nel legame che il management della banca ha con i vertici della politica nostrana. Basta pensare al fatto che i dirigenti MPS sono di nomina politica.

Il quarto ed ultimo elemento che può spiegare la crisi dell’istituto di credito senese è l’entità della fusione con la banca Antonveneta, acquistata per 9 miliardi di euro, contro i 6 miliardi di euro pagati dal Banco Santander.

5 indicazioni sul debito americano

 Il problema del debito americano sta saturando i discorsi relativi al panorama finanziario a stelle e strisce ma sta interessando tanti investitori che a livello mondiale vogliono trovare la rotta del guadagno.

 Posticipato il raggiungimento del tetto del debito

Le ultime osservazioni molto importanti sono state elaborate da James D. Hamilton, un economista che dal suo blog Econbroweer ha indicato le carenze strutturali del sistema americano.

Sicuramente deve far riflettere gli investitori il peso del debito federale che in trent’anni è cresciuto in modo esponenziale diventando una percentuale importante del PIL americano. Il secondo aspetto da valutare riguarda la relazione che intercorre, in America come nel resto del mondo tra il Prodotto Interno Lordo, le spese sempre in aumento e la pressione fiscale fissa ad un livello molto esiguo.

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Le spese sono aumentate rispetto al PIL – e così arriviamo al terzo punto, perché i trasferimenti sono cresciuti molti e sono in una percentuale molto consistente le spese per la Difesa che hanno raggiunto i livelli degli anni Ottanta.

Rispetto ai trasferimenti c’è da constatare che sono aumentati quelli che riguardano i programmi di Medicare e di Medicaid.

L’ultima considerazione riguarda le tasse, perché fino a questo momento sono state in vigore delle agevolazioni e sembra che l’intenzione del Congresso sia quella di mantenere basse le aliquote fiscali.

Scandalo tassi Euribor ora tocca alle banche tedesche

 Nel mirino degli inquirenti sono finite Deutsche Bank, Portigon e altri due istituti importanti con la stessa accusa che era stata fatta, ad esempio, a UBS, il colosso svizzero, e Barclays, ossia il maneggiamento dei tassi di scambio interbancari (Libor ed Euribor) che regolano il costo dei prestiti da una banca all’altra, riuscendo così ad ottenere una maggiorazione degli introiti.

► Scandalo Libor: UBS pronta al patteggiamento che le costerà un miliardo di dollari

Quindi i banchieri di Angela Merkel saranno messi sotto la lente di ingrandimento della Bafin -l’autorità federale di controllo del sistema bancario- con particolare attenzione a Anshu Jain, co-numero uno della Deutsche Bank insieme a Juergen Fitschen.

Il suo posto è a rischio, così come quello degli altri manager che potranno risultare coinvolti nella faccenda. Per ora la Bafin sta mettendo in pratica una sorta di strategia della sorpresa, con visite non programmate nelle sedi degli istituti coinvolti alla ricerca di materiale e documentazioni che possano o scagionare o accusare in modo definitivo le banche e i loro quadri.

► Scandalo tassi interbancari: come cambierà la situazione?

A dare la notizia in anteprima è stato lo Sueddeutsche Zeitung, il quotidiano liberal di Monaco nella sua versione on line, ma,ancora, nessuno degli istituiti coinvolti o presunti tali ha dichiarato nulla. La paura, infatti, è quella di screditarsi agli occhi del mercato internazionale.

Continua il credit crunch per le imprese

 La crisi economica sembrava aver avuto una battuta di arresto quando lo spread aveva iniziato a diminuire. Questo, almeno, è quanto accaduto sulla carta che però non ha trovato una realizzazione pratica e le imprese ne continuano a risentire.E‘ dalla metà del 2011 che le banche non concedono prestiti alle aziende che si trovano, ora, a dover combattere ancora con una mancanza di fiducia da parte delle banche che sta mettendo in ginocchio anche quelle imprese che sono riuscite a superare il periodo più nero della crisi.

Chiuse mille imprese al giorno nel 2012

La prima grande flessione del credito c’è stata fra la metà del 2009 e la metà del 2011. Un periodo di circa 18 mesi nel quale le aziende si sono viste negare fiducia e contanti dagli istituti, con le conseguenze che tutti conosciamo. Alla fine del 2011 sembrava che la situazione potesse migliorare, invece, come fanno sapere dalla banca D’Italia:

i prestiti bancari alle imprese hanno continuato a flettere. In novembre erano in ribasso di circa il 6 per cento rispetto a un anno prima.

Euro e indebitamento delle famiglie

E’ lo stesso Squinzi, presidente di Confindustria, a porre l’accento su una seconda fase del credit crunch, che va a colpire quelle aziende che fino ad ora sono riuscite a mantenersi sane. Il tanto desiderato abbassamento dello spread c’è stato (in estate siamo passati da 500 a 260 punti base) ma non ha trovato, poi, una risposta sul campo dell’economia reale, né per le famiglie e né per le imprese.

 

9 miliardi di dollari per cinguettare in borsa

 L’offerta fatta da BlackRock per l’acquisto dei titoli di Twitter ai dipendenti che le possiedono è arrivata a quota 80 milioni di dollari. Una cifra molto importante e soprattutto inaspettata, dato dopo ciò che è successo con la quotazione in Borsa di Facebook.

Il social network creato da Mark Zuckerberg, infatti, fu quotato con capitalizzazione di mercato da cento miliardi di dollari per crollare poi dopo pochi giorni, lasciandosi appresso uno strascico di amara delusione e di cause giudiziarie. Quindi gli analisti finanziari guardano con scetticismo la quotazione in borsa di questa tipologia di aziende, ma questo no sembra accadere con Twitter.

Facebook lancia Graph Search ma la borsa s’aspettava di più

Il social network di microblogging, infatti, pur se aspramente criticato ai suoi esordi per non avere un piano di marketing ben definito, è riuscito lo stesso a crescere: al suo lancio nel 2006 valeva 500 milioni di dollari, ora vale 11 miliardi; il numero di utenti è di circa 500 milioni per circa 340 milioni di tweet ogni giorno. Migliorie grazie alle quali Twitter è riuscito a far aumentare gli introiti della pubblicità dai 45 milioni di dollari del 2010 ai 288 milioni del 2012.

Aumento profitti Google

In soli sette mesi Twitter è riuscito ad aumentare il suo valore da 3,7 miliardi a 8 miliardi di dollari. Grazie a questo trend di crescita strepitosa, il social network potrebbe presentare la documentazione per l’ Initial public offering già alla fine del 2013 o all’inizio del 2014, quando i ricavi previsti dovrebbero arrivare a un miliardo di dollari.

Lo spread delle pensioni

 L’Europa deve crescere unita. E’ questo quello che chiedono dall’Eurotower e  dintorni, ma la realtà dei fatti ci racconta un’altra storia, della quale protagonista assoluta è la Germania.

Anche il tema della storia è sempre lo stesso, lo spread, ma non quello che c’è tra i nostri buoni del tesoro e gli equivalenti teutonici, ma quello esistente nella previdenza pensionistica. La Germania, anche grazie all’alto tasso di occupazione registrato nell’ultimo periodo, infatti, è riuscita a mettere nelle casse della Rentenversicherung, l’equivalente della nostra Inps, qualcosa come 30 miliardi di euro.

Record pensioni Germania 2012

Situazione molto diversa da questa parte dell’Europa, invece, in cui paesi come l’Italia, ma anche la Francia e il resto dei paesi che affacciano sul Mediterraneo, riescono a stento a affrontare il pagamento dei mensili pensionistici attuali e non hanno molto per poter garantire che, in futuro, si potrà continuare a dare le stesse speranze di reddito.

Ma la Germania, nonostante la situazione positiva che ha permesso addirittura di diminuire i contributi previdenziali obbligatori dovuti dai lavoratori, ha voluto comunque placare gli animi e ha invitato alla prudenza, soprattutto cercando un modo per cui i politici, attuali e che verranno, non possano mettere mano a questo tesoretto e dissiparlo, rovinando le speranze nel futuro della popolazione tedesca.

Bundesbank rivede stime di crescita

Non si tratta di una paura ingiustificata: queste riserve pensionistiche potrebbero essere utilizzate per ridurre i contributi dell’erario pubblico al sistema pensionistico di circa 4,75 miliardi di euro, fatto che metterebbe il paese nelle condizioni di criticità dei suoi colleghi europei se dovesse esserci un riaggravarsi della crisi o una qualsiasi emergenza.