Come cambia la borsa americana

 Sempre più concentrati sugli scambi, i nostri mercati fanno fatica a riconoscere in alcuni eventi dei cambiamenti epocali. Quel che sta succedendo alla borsa di New York, in realtà, è molto interessante ed ha una valenza storica.

Wall Street è nata il 17 maggio del 1792, quando 24 agenti di compravendita di titoli di borsa si sono riuniti davanti al civico 68 di Wall Street per firmare l’accordo per la nascita del The New York Stock Exchange and Board. Da quel momento l’evoluzione della borsa di New York, l’evoluzione di Wall Street, è stata molto lenta.

Firmato l’accordo, in un secondo momento ci si dedicò alla ricerca dei locali per svolgere l’attività di scambio dei titoli. Dopo circa 70 anni si procedette con il cambio del nome e si arrivò al NYSE, poi dopo un secolo, gli analisti, hanno iniziato a parlare d’incremento importante del volume d’affari. Gli scambi erano sei volte più consistenti che in passato, era il 1901 e si doveva cercare una sede più grande per la borsa, quella che fu inaugurata nel 1903.

Più di un secolo dopo, la borsa emblema del capitalismo americano, ha iniziato a cedere qualche pezzo: il crollo del 2008 è stato emblematico ma ha lasciato dei segni anche il caso Madoff.

Il cambiamento più epocale è sicuramente la capacità dell’ICE, nato appena 12 anni fa, di comprare la storica Wall Street. Tutto è dipeso dal cambiamento del mercato dove le materie prime hanno avuto performance più interessanti rispetto alle azioni.

Vendite al dettaglio, bene solo i discount

Calano, e di molto, le vendite al dettaglio, eccezion fatta per i discount. Una flessione dell’1% rispetto a settembre e del 3,8% rispetto al 2011. L’Istat ha sottolineato che questo è già il quarto calo mensile consecutivo. Il settimo a livello tendenziale.

Appare opportuno sottolineare che per vendite al dettaglio dobbiamo intendere quel valore corrente che si da nell’incorporare la dinamica delle quantità e la dinamica dei prezzi.

GIU’

I settori che vanno peggio? Eccoli

Alimentare: cala dell’1,3%;

Elettronica & elettrodomestici: calo del 6,6%;

Strumenti musicali: calo dell’11,6%;

Giocattoli: cala del 6,3%;

– Sport: parimenti al settore dei giocattoli, calo del 6,3%;

Non ‘food’: cala dell’1 % rispetto a settembre e del 4% su base annua

Si aggiunge al coro il parere delle associazioni dei consumatori. Durante gli ultimi mesi del 2011 i consumi sono scesi del 5%. Le spese natalizie sono iniziate ma rispetto agli anni scorsi la crisi si fa sentire molto di più. Le associazioni parlano di un calo del 15% rispetto al 2011.

La frenata delle vendite al dettaglio nei primi 10 mesi del 2012 è consistente. Se confrontata con il 2011 si parla del 2% in meno.

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Soltanto i discount fanno registrare un trend positivo. La grande distribuzione ha perso molto terreno, scendendo del 5% nel mese di ottobre (confronto su base annua). Il discount, da par suo, è salito dello 0,6%. Perdono anche gli ipermercati e i supermercati. I primi calano del 6,7%, i secondi del 2,6%.

 

Le riforme e i futuri mercati

 L’acquisto della NYSE da parte dell’ICE ha dato vita ad una delle più grandi fusioni finanziarie di tutti i tempi. Abbiamo già dato l’annuncio della conclusione della trattativa, accennando al fatto che ci sono molte implicazioni anche sul mercato europeo. Perché?

Il mercato azionario sta cambiando e quella che potrebbe sembrare una trattativa tutta americana, tra l’ICE e il NYSE, in realtà, trova il suo cuore pulsante in Europa dove si sviluppa uno dei più importanti mercati di derivati.

Il gruppo NYSE, infatti, oltre a controllare le borse nell’UE le borse di Amsterdam, Lisbona e Parigi, ha tra i suoi possedimenti anche il Liffe che è il secondo maggiore listino dei derivati del Vecchio Continente. L’ICE, quindi, secondo tanti analisti, vuole arrivare al Liffe, passando dall’acquisizione del gruppo NYSE.

Quanto pesa il Liffe nel gruppo di riferimento? Molto se si ritengono attendibili le stime della Berenberg Bank secondo cui il Liffe produce il 22 per cento dei ricavi, una quota di fatturato piuttosto piccola in grado di produrre a sua volta il 40 per cento degli utili complessivi.

In Europa, attualmente, il mercato dei derivati è capitanato dal listino Eurex ma, in vista dell’entrata in vigore della direttiva Mifid2, ispirata all’open access, si potrebbe scatenare la concorrenza. In pratica ogni listino potrà creare contratti derivati uguali a quelli di altri mercati, generando una vera concorrenza.

In conclusione l’acquisto del gruppo NYSE, Liffe incluso, da parte dell’ICE, garantirebbe al neonato dalla fusione, di competere ad armi pari con l’Eurex.

Con l’accordo tra Wall Street e l’ICe nascerà la prima Borsa mondiale

 La prima proposta dell’ICE (Intercontinental Exchange) per l’acquisto di Nyse Euronext è stato nel 2011, con un’offerta di 11,1 miliardi di dollari, ma l’accordo non fu raggiunto. La nuova proposta, invece, anche se più bassa – l’offerta per l’acquisto è di 8,2 miliardi di dollari – ha incontrato il favore di Wall Street.

Per ora si è giunti solo al consenso dei due consigli di amministrazione e il risultato finale dell’operazione si avrà solo entro la metà del 2013, se anche le autorità di regolamentazione dei mercati finanziari dell’Europa e degli Stati Uniti daranno il loro assenso. Nell’accordo si prevede il pagamento degli 8,2 miliardi di dollari per l’acquisto in contanti e in azioni della nuova società, di cui il 36% saranno date agli azionisti del Nyse.

Dal canto suo, l’ICE promette che sarà preservato il marchio Nyse Euronext e che la sede di Wall Street rimarrà quella tradizionale, come anche sarà mantenuto l’assetto dei vertici societari.

La vendita va a tutto vantaggio dell’ICE che, essendo specializzata nel trading di energia e commodity, con il controllo di Nyse può entrare nel mercato dei future di Londra, eliminando, di fatto, ogni possibili concorrenza.

Per questo si attende con trepidazione il giudizio delle varia autorità di vigilanza che, già nel 2011, furono contrarie alla fusione (all’epoca l’ICE si era alleata con il Nasdaq) proprio per il problema della tutela dell concorrenza sui mercati mondiali.

Il rischio Fiscal Cliff è sempre più vicino

 Il progetto dello speaker della Camera John Boehner, che prevedeva, nel caso l’accordo sul Fiscal Cliff non fosse stato raggiunto entro i termini previsti, un aumento delle tasse solo per coloro i cui redditi superano il milione di dollari, non ha raggiunto i voti necessari.

Nulla di fatto, quindi, e l’incombenza di trovare una nuova soluzione ora passa di nuovo nelle mani del presidente Obama che deve stringere i tempi. Infatti, se si vuole evitare il Fiscal Cliff, l’accordo deve arrivare entro il primo gennaio 2013.

Obama è già al lavoro insieme a Harry Reid, leader della maggioranza democratica al Senato, e il suo obiettivo è quello di riuscire a trovare un compromesso per non scontentare nessuna delle due ali del Congresso, la democratica e la repubblicana, e che, in modo particolare, tenga conto delle esigenze della classe media e delle piccole e medie imprese (se il Fiscal Cliff non sarà evitato, per queste due categorie l’aumento delle tasse sarà del 98%).

Il presidente è disposto a trattare ma il problema, ormai, non è più di natura economica, ma è diventato soprattutto politico e il fallimento del piano di emergenza di Boehner mette in serio pericolo la volontà di trattativa da parte dei repubblicani: se non hanno accettato un aumento delle tasse per redditi superiori al milione di dollari, saranno ancor meno disposti ad accettare il piano del presidente Obama che prevede gli aumenti già per i redditi di 400 mila dollari annui.

 

L’economia USA cresce più di quanto sperato

Gli analisti americani avevano previsto che l’economia americana sarebbe cresciuta del 2,7% nel terzo trimestre del 2012, con un possibilità di revisione al 2,8%, ma, dati alla mano, si sono dovuti ricredere e rivedere al rialzo le stime fatte.

Il PIL degli Stati Uniti, infatti, ha fatto registrare un aumento del 3,1%, l’incremento più forte dal quarto trimestre 2011.

Il merito di questa crescita del Pil tra luglio e settembre è stato dell’export, che è cresciuto dell’1,9%, quasi un punto percentuale in più di quanto si aspettassero gli analisti.

Di contro, però, va segnalato anche un forte calo dell’import, che,  diminuisce per la prima volta dopo il 2009. Chiaro indicatore del fatto che è il mercato interno ad essersi indebolito. Revisioni al rialzo anche per la spesa pubblica, che è stata rivista dal +3,5% a +3,9%, comunque stimata in calo per i prossimi trimestri, soprattutto a causa del Fiscal Cliff.

Infatti, nel caso in cui non si dovesse raggiungere un accordo, e le ultime notizie vanno in questa direzione, all’inizio del 2013 sull’economia americana potrebbe abbattere un costo di circa 600 miliardi di dollari tra tagli alla spesa pubblica e l’aumento delle tasse.

FMI plaude alle manovre UE per le banche, ma avverte che c’è ancora da fare

 Il Fondo Monetario Internazionale, nel giorno in cui dalla Commissione Europea è arrivato il sì per la ricapitalizzazione via Esm di quattro banche spagnole (Liberbank, Caja3, BMN e Banco CEISS), ha dato il suo parere favorevole ai cambiamenti e alle manovre in corso in Europa per il rafforzamento del sistema bancario, ma avverta anche che è ancora necessario prendere provvedimenti ad hoc che possano scongiurare definitivamente i rischi sia per gli istituti di credito che per i cittadini.

La creazione della super BCE, secondo il FMI, è stato un grande passo, ma non ancora sufficiente: le prossime strategie d mettere in pratica dovranno concentrarsi sul rafforzamento degli stress test, sull’assunzione di misure per separare i rischi bancari da quelli sovrani e sulla creazione di una reale unione bancaria.

Il Fondo Monetario Internazionale ha sottolineato che gli stress test devono essere ampliati e migliorati e prevedere delle anialisi che vadano oltre gli aspetti microprudenziali

identificare altre debolezze, come i rischi di liquidità e le debolezze strutturali.

Un ulteriore suggerimento arrivato dal Fondo è quello dell’applicazione di una tassa sul settore bancario per finanziare un fondo di garanzia contro i fallimenti degli istituti a salvaguardia, soprattutto, dei contribuenti.

1° trimestre 2013: previsioni del Forex

 Il primo trimestre del 2013 potrebbe essere molto attivo, come si dice in gergo, per la coppia EUR/USD. Lo dicono gli esperti che prevedono un’evoluzione secondo diverse direttrici della coppa valutaria.

Il fatto è che ci sono molti elementi anche sul versante politico che possono incidere su queste valute. Per esempio in America si dovrebbe risolvere il cosiddetto fiscal cliff: i politici d’Oltre Oceano stanno discutendo cioè dell’aumento delle tasse e dei tagli della spesa. In base alla direzione della riforma l’America potrebbe più o meno sprofondare nella recessione.

Di certo non si tratta dell’unico problema da affrontare, specie se si considera quello che sta succedendo in Europa. Il nostro Continente è flagellato dalla crisi del debito che, seppure va avanti da diversi anni, adesso è diventata di urgente risoluzione visto che ha fatto arrivare molte nazioni sull’orlo del precipizio.

Pare sia stato allontanato il rischio default per la Grecia ma è venuto fuori allo stesso tempo il problema Cipro. Gli analisti, a questo punto, valutano l’euro e il dollaro come due valute “malate” che lottano per la sopravvivenza. Il primo trimestre, per la coppia EUR/USD si prevede molto burrascoso. Gli investitori potrebbero puntare tutto sui titoli statunitensi e far crollare la coppia. Anche un rimbalzo è all’orizzonte, ma non si romperà a breve la soglia dell’1,35.

I problemi della Francia con le pensioni

 L’Europa sta attraversando un periodo di forte crisi e gli effetti del rallentamento globale dell’economia, iniziano a vedersi anche nei paesi che prima erano considerati i capisaldi dell’Eurozona, per esempio la Francia e la Germania.

La Francia, di recente, ha eletto il nuovo presidente ma questo non vuol dire che tutti i problemi venuti fuori negli ultimi tempi, siano da associare a François Hollande.

La preoccupazione più fresca del presidente francese riguarda il sistema pensionistico. Adesso è molto probabile che un socialista come lui sia costretto a mettere le mani sulle pensioni, magari prendendo spunto anche da alcune riforme, non proprio socialiste, che sono state varate in Italia.

Il sistema previdenziale francese è stato ritoccato già nel 1998, nel 2003, nel 2008 e nel 2010 ed è rimasto il sistema più favorevole per i lavoratori, se paragonato con i sistemi previdenziali presenti nel mondo che in genere sono stati ritoccati dai partiti di destra.

Adesso però è arrivato il momento d’intervenire perché è stato scoperto un buco da 20 miliardi di euro. Hollande aveva detto di voler intervenire sulle pensioni ma in campagna elettorale non l’aveva presentata come una questione urgente.

Per colmare il deficit le soluzioni sono a portata di mano – dall’aumento dei contributi all’innalzamento dell’età pensionistica – ma sarà molto difficile farle approvare.

Il calo dello spread merito della BCE

Per capire quando effettivamente ci sarà la ripresa del mercato dei mutui, è necessario capire quali sono le variabili che condizionano l’oscillazione degli spread.

 Secondo il Rapporto di previsione 2012-2014 Afo dell’Abi, le tensioni sui mercati finanziari si sono allentate ma è tutto merito della BCE. Senza l’intervento della Banca Centrale Europea e contando soltanto sulle politiche nazionali e comunitarie, non si sarebbe raggiunto lo stesso risultato.

Interessante per l’Italia, un particolare contenuto in questo Rapporto, in cui si spiega che lo spread tra Btp e bund si assesterà sui 200 punti già tra due anni nel 2014, a patto che la politica fiscale del Governo Monti continui o sia propria da chi succederà al professore.

Attualmente, il miglioramento dello spread, che di per sé è una cosa positiva, non è sufficiente a far emancipare le banche del nostro paese dal finanziamento della BCE, per il fatto che la raccolta sull’estero è ancora negativa.

Nel Rapporto di previsione 2012-2014 Afo dell’Abi ci sono anche delle interessanti indicazioni macroeconomiche. Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, a conti fatti, si prevede una riduzione del 2,1 per cento del PIL nel 2013 chi seguirà una contrazione più lieve, nel 2013 dello 0,6 per cento.

Tra il 2013 e il 2014 però ci potrebbe essere una nuova ascesa e la chiusura del 2014 potrebbe già essere in positivo al +0,8 per cento. Il problema resta il rallentamento globale della crescita.