Europa in crisi, e il Pil precipita nel terzo trimestre

La crisi e la paura di finire nel baratro della recessione attanagliano sempre di più l’Italia. Una situazione non facile, come conferma l’Istat illustrando i dati del terzo trimestre 2012.

Il noto Istituto di Statistica ha dimostrato con i numeri che il calo nel terzo trimestre per quanto concerne il Prodotto Interno Lordo è dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Ma rispetto allo stesso periodo dello scorso anno il calo è del 2,4%. Resta dunque da dire che la ricchezza del Paese nel 2012 ha subito un ulteriore calo.

L’Eurozona non fa di meglio. Lo testimonia la Bce. La Banca Centrale Europea parla di una situazione di crescita molto debole. Il bollettino mensile della Banca parla chiaro in merito a ciò e in merito alla recessione:

“Per l’anno prossimo ci si attende una crescita debole”.

La Bce rileva una crescita debole malgrado la migliorata fiducia sui mercati e le misure standard e non standard messe in atto dalla stessa Bce.

I dati della ricerca periodica condotta dalla Bce sono tuttora in linea con previsioni peggiorative su recessione e crescita. Quest’anno ci si aspetta una contrazione dello 0,5% del Pil dell’Unione valutaria. Nei prossimi anni la crescita sarà invece lenta, con uno 0,3% nel 2013 e un 1,3% nel 2014. Dati meno rassicuranti di quelli mostrati dall’indagine tre mesi fa. Tutt’altro che positivi sono anche i dati di previsione sul tasso di disoccupazione, che è dell’11,3% nel 2012, dell’11,6% nel 2013 e dell’11,2% nel 2014.

Riflessioni sull’incidenza dell’IMU

 L’impatto economico dell’Imu sulle tasche degli italiani sarà abbastanza corposo. All’avvicinarsi di questo appuntamento con l’Erario, si sono scatenate online una serie di riflessioni sull’Imposta Municipale.

Sicuramente l’approssimarsi dell’ultima scadenza per il saldo dell’Imu preoccupa molto le famiglie che devono fare i conti con un nuovo esborso di denaro che arriva alla fine di un anno molto difficile. L’Imu dipende molto dal tipo di casa posseduta, dalla localizzazione e dall’aliquota prevista dal comune di residenza, tuttavia è stata fatta una stima della spesa media.

Mediamente le famiglie italiane dovranno tirare fuori dal portafoglio 405 euro all’anno. Ma non è soltanto questo l’impatto dell’IMU sul bilancio degli italiani perché ci saranno anche degli effetti indiretti. In primo luogo si prevede l’aumento degli affitti, privati e commerciali.

Alcune categorie professionali che per l’attività che svolgono sono tenuti ad avere un magazzino, dovranno pagare di più per i locali adibiti alla gestione e alla giacenza delle merci. Vuol dire che indirettamente gli italiani saranno portati a pagare l’Imu ma anche a sostenere costi collaterali pari a 210 euro a famiglia.

L’aumento delle spese determinerà a stretto giro anche un aumento dello 0,7% del tasso d’inflazione. Questa stima è stata fornita dagli analisti dell’Osservatorio Nazionale di Federconsumatori.

Tutto l’iter che porta all’erogazione del mutuo

 Chi ha bisogno di un  mutuo per acquistare una casa deve rivolgersi ad un istituto di credito ed in generale si affida alla propria banca. Nonostante si sia clienti, però, il percorso da seguire è sempre lo stesso. Si deve scegliere la banca e decidere se per il modo di essere del cliente e per le sue esigenze è meglio un tasso fisso o un variabile.

A quel punto inizia un inter non troppo lungo, che porta dalla verifica di fattibilità della richiesta fino all’erogazione dell’importo da parte della banca. Scelto l’istituto di credito è necessario che la banca faccia una verifica della fattibilità della richiesta.

In pratica l’istituto di credito deve capire se il richiedente ha i requisiti anagrafici e reddituali per chiedere una certa somma da rimborsare con il piano d’ammortamento preferito. La rata calcolata ai tassi proposti della banca non deve mai superare il 35% del reddito del richiedente.

Se questa veloce verifica dà un esito positivo, allora il richiedente firma una domanda di mutuo e s’impegna a fornire alla banca tutta la documentazione necessaria a certificare dati anagrafici e reddito. Aperta l’istruttoria che generalmente ha un costo, si va verso le ultime verifiche e la delibera definitiva.

Gli ultimi due passi sono la definizione dell’atto di mutuo, l’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile e l’erogazione dell’importo al rogito.

Tipologie e caratteristiche dei fondi di investimento chiusi

 La tipologia di fondi comuni di investimento maggiormente utilizzata da coloro che decidono di rivolgersi a delle società per la gestione del loro risparmio sono i fondi di investimento aperti, in quanto flessibili e anche facilmente monetizzabili.

Ma ne esistono anche altre tipologie che possono rappresentare una valida alternativa in base al capitale a disposizione per l’investimento e del profilo specifico del cliente. Tra questi troviamo i fondi comuni chiusi e i fondi speculativi.

Il fondo di investimento chiuso

Diversamente dai fondi di investimento aperti, il cui capitale è in costante variazione, i fondi chiusi hanno un patrimonio predefinito, che non varia a seguito di nuove sottoscrizioni o rimborsi e sono, quindi, caratterizzati da un numero fisso di quote.

Inoltre, le quote del fondo di investimento chiuso sono soggette anche ad altre limitazioni: possono essere sottoscritte solo nella fase di offerta (limitatamente alla disponibilità massima del fondo) e anche il rimborso è possibile solo alla scadenza della stessa.

Le principali aree di investimento dei fondi chiusi sono strumenti finanziari poco soggetti alla fluttuazione delle liquidità e di lungo termine come gli immobili, i crediti e le società non quotate.

Le caratteristiche di questa tipologia di fondo di investimento li rende poco adatti al profilo dell’investitore privato, ma sono ampiamente utilizzati per gli investimenti istituzionali in quanto la sottoscrizione è solitamente piuttosto alta, i tempo per il rimborso sono lunghi e, dato che spesso si tratta di investimenti su piccole e medie imprese, sono anche ad alto rischio.

 

Tipologie e caratteristiche dei fondi di investimento aperti

 In sostanza, per fondo comune di investimento si indica uno strumento finanziario che raccoglie il denaro dei risparmiatori e lo mette in mano a una società di gestione del risparmio. Al decreto legge che definisce i fondi di investimento comune si affianca il decreto del Ministero del Tesoro n. 228/99, che individua tre diverse tipologie di fondo comune: fondo aperto, fondo chiuso e fondo speculativo.

Il fondo di investimento aperto

Il fondo di investimento comune aperto si caratterizza per una variazione continua del suo patrimonio (sia in composizione che in valore). Si suddivide in quote (il valore di ognuna di queste è dato dal rapporto tra il totale delle attività del fondo e le quote emesse) delle quali i partecipanti possono richiedere il rimborso in qualsiasi momento.

Le tipologie principali dei fondi di investimento aperto sono:

Fondi di diritto italiano armonizzati UE

Gestiti da società italiane con sede legale in Italia che si adeguano alle direttive comunitarie per quanto riguarda le garanzie per i sottoscrittori.

Fondi di diritto italiano non armonizzati UE

Istituiti dalla Banca d’Italia nel 1999 sono caratterizzati da maggiore libertà di investimento. Appartengono a questa categoria i fondi speculativi (o hedge funds) e i fondi di fondi.

Fondi immobiliari

Si caratterizzano per il fatto che la maggior parte del patrimonio viene investito in immobili.

Piazza Affari trainata dai bancari

 Chi investe in opzioni binarie ha sicuramente drizzato le orecchie dopo la pubblicazione dei dati trimestrali di Unicredit ed Intesa Sanpaolo, perché le buone notizie contenute nei documenti diffusi dai bancari, hanno immediatamente trainato le borse verso l’alto.

La borsa di Milano e quella di Madrid sono state le migliori nella giornata di ieri e i guadagni di Piazza Affari sono stati spinti verso l’alto dalle informazioni diffuse da Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrambe con utili netti superiori alle attese. Per un effetto a catena che spesso coinvolge tutte le borse, ha subito una virata verso terreni positivi anche Wall Street, nonostante gran parte della borsa americana sia ancora immobilizzata dall’incertezza sul fiscal cliff.

Da notare anche i titoli che hanno un po’ zavorrato i listini del Vecchio Continente, tra cui troviamo in prima posizione la Vodafone che, in seguito alla nota sui conti dell’azienda con un calo dei ricavi e dei servizi e una serie di svalutazioni in Spagna e in Italia, ha perso circa 4,6 punti percentuali.

Per quanto riguarda lo spread, oggetto di numerose “scommesse” finanziarie, si nota una discesa fino a quota 360 legta probabilmente alla diffusione dei dati relativi all’ultima asta, con un collocamento buono dei Bot e un conseguente calo dei rendimenti. Lo spread spagnolo è a quota 463 punti con un tasso del 5,95%.

10 cose da sapere sulla riforma del lavoro

 La Legge 28 giugno 2012, n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, ha introdotto la riforma del lavoro voluta dal Ministro Fornero. La legge presentata è stata rivista e integrata con il D.L. n. 83/2012 (decreto sviluppo) convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134, per venire incontro alle pressioni fatte da aziende e partiti per la tutela dell’articolo 18.

Quando si tratta di leggi e di terminologie burocratiche, per la maggior parte delle persone è complicato districarsi e comprendere davvero quali sono gli effetti reali di questa riforma. Per questo vi proponiamo le 10 cose che bisogna sapere sulla riforma del lavoro della Fornero, cercando di chiarire le principali tematiche trattate e come queste cambieranno per effetto della legge.

Ammortizzatori sociali

Le novità per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali riguardano l’introduzione dell’ASPI (Assicurazione Sociale per l’Impiego), dedicata soprattutto a coloro che hanno un contratto di lavoro subordinato e non ai precari (ai quali è riservata la mini-ASPI).

Con l’introduzione dell’ASPI si vuole sostituire, almeno in parte, il ricorso alle indennità di disoccupazione e di mobilità. Il sussidio ha una durata di 12 mesi per i lavoratori fino ai 54 anni e di 18 mesi per coloro che hanno superato i 55 anni. Chi ha intenzione di avviare un’attività autonoma può richiederla anche in un’unica soluzione.

Pur essendo già attiva (sono stati già stanziati circa 1,8 miliardi di euro) l’ASPI entrerà a pieno regime solo nel 2017.

Apprendistato

L’apprendistato è stato presentato dal Ministro Fornero come lo strumento principale per l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro, per questo sono stati previsti tre anni di sgravi fiscali per le imprese ( di qualsiasi settore e dimensione) per il pagamento dell’INPS.

I contratti di apprendistato hanno una durata minima di sei mesi e durata massima di tre anni, oltre i quali il contratto di apprendistato si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

Il numero di assunti con contratto di apprendistato per il quale si applicano gli sgravi contributivi varia in base al numero totale di addetti dell’azienda.

Donne e dimissioni in bianco

Altro tema caro al Ministro Fornero è quello della situazione lavorativa delle donne, molto spesso costrette dai datori di lavoro a firmare, appena dopo il contratto, la lettera di dimissioni che viene utilizzata poi dal datore di lavoro nel caso di sopraggiunta maternità.

Con la riforma del lavoro questo non sarà più possibile perché, durante il periodo della maternità e fino ai primi tre anni di vita del bambino, le dimissioni delle lavoratrici e anche le cosiddette risoluzioni consensuali dovranno passare al vaglio del servizio ispettivo del ministero del Lavoro. Se, al controllo dell’Ispettorato, emerge un abuso il datore sarà costretto a pagare una multa tra i 5 mila e i 30 mila euro.

Dipendenti pubblici

Le nuove norme che estendono il tanto discusso articolo 18, quelle chiamate, appunto, della flessibilità in uscita, saranno applicate anche al settore delle Pubbliche Amministrazioni (ministeri ed enti locali). E’ stato previsto, però, per questo particolare settore una delega al ministro delle P.A. per decidere tempi e modi di applicazione delle nuove norme.

Contratto di lavoro a tempo determinato 

Il periodo di tempo che deve intercorrere tra un contratto di lavoro a termine e il successivo passa da 60 giorni per contratti di durata pari o inferiore a 6 mesi e a 90 giorni se il contratto ha durata superiore. Dal momento che il contratto indeterminato rappresenta la modalità preferenziale di assunzione, i contratti a termine costeranno di più in termini di contribuzione.

Articolo 18

La tanto discussa flessibilità in uscita. Con la riforma il licenziamento illegittimo comporta, da parte dell’impresa, il reintegro del lavoratore. Se si tratta di licenziamento senza giusta causa, invece, per il lavoratore è previsto un indennizzo pari a 12 o 24 mensilità.

Liberi professionisti e Partita Iva

Stretta sulle Partite Iva: saranno considerate veritiere solo quelle che superano i 18 mila euro annui di fatturato. Per tutte le altre, che nella maggior parte dei casi nascondono dei rapporti di lavoro coordinato, i committenti avranno tempo un anno per regolarizzare la posizione dei finti liberi professionisti.

Lavoratori con più di 58 anni

Si tratta degli esodati, i quali si sono trovati, proprio a causa della riforma, senza reddito e senza pensione (i cui tempi sono stati allungati fino a 66/67 anni). Per questi lavoratori è stato previsto un fondo di solidarietà.

Buoni lavoro e voucher

I buoni lavoro  per la retribuzione del lavoro accessorio occasionale diventeranno dei buoni orari con data e numero progressivo. Quelli del vecchio tipo potranno essere utilizzati fino alla fine di maggio del 2013.

Controversie sul lavoro

La riforma ha lo scopo di snellire le procedure per la risoluzione delle controversie sul lavoro. In caso di conciliazione si avranno 20 giorni di tempo dalla convocazione delle parti in causa. Se si va al processo la prima udienza deve essere fatta entro 40 giorni alla quale deve seguire l’ordinanza del giudice che sarà immediatamente esecutiva.

Per i ricorsi si avranno 30 giorni per la Corte di Appello e 60 per la Cassazione.

Intesa e Unicredit: trimestrali inattesi

 In questo periodo non soltanto le imprese che si occupano di tecnologia devono pubblicare i dati trimestrali sulla loro economia, ma tutte la aziende che sono quotate in borsa. Oggi è stata la volta dei bancari e, inaspettatamente, si sono dimostrati al di sopra delle aspettatitive i titoli di Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Iniziamo da Unicredit che ha messo al sicuro un utile netto di 335 milioni di euro per il terzo trimestre del 2012, di cui 39,5 milioni sono arrivati dal riacquisto di ABS. Rispetto al secondo trimestre dell’anno c’è stato un miglioramento, visto che per il periodo precedente si parlava soltanto di 169 milioni di euro.

Fino a settembre 2012, dunque, Unciredit ha chiuso con un utile netto pari a 1,4 miliardi di euro che rappresentano una crescita netta rispetto agli 847 milioni dei primi nove mesi del 2011. Crescita anche per i ricavi che salgono del 2 per cento.

Per quanto riguarda Intesa Sanpaolo, invee, l’utile netto con cui è stato archiviato il terzo trimestre dell’anno è pari a 414 milioni di euro e stavolta non c’è niente da rallegrarsi visto che il dato è in calo dell’11,9% rispetto al secondo trimestre e, rispetto allo stesso periodo del 2011, la differenza è ancora più marcata: -113 milioni di euro. Gli analisti si dicono comunque soddisfatti perché l’utile netto supera le attese.

Stati Uniti verso l’autonomia petrolifera

 Entro il 2017 gli Stati Uniti si emanciperanno del tutto dal petrolio straniero e anzi, diventeranno i più grandi produttori di petrolio al mondo. E’ questa la notizia più interessante che arriva dall’ultimo rapporto annuale sulle fonti e i consumi energetici nel mondo, stilato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’AIE.

Attualmente i maggiori produttori di petrolio sono la Russia e l’Arabia Saudita ma gli USA possono superarli con facilità e c’è da fidarsi delle previsioni dell’AIE che inizia a prefigurare un cambio nella gestione dei flussi energetici ed economici a livello mondiale.

L’AIE è un’organizzazione internazionale intergovernativa fondata dall’OCSE dopo il Settanta, anni che sono passati alla storia per la crisi energetica mondiale. Mai però, aveva dato indicazioni sulla produzione così precise.

Come si riorganizzerebbero quindi i flussi petroliferi nel 2017? In primo luogo gli Stati Uniti raggiungerebbero l’autonomia energetica, emancipandosi dalle fonti esterne, mentre oggi importano il 20 per cento del petrolio per il consumo interno. A quel punto lascerebbero nel dimenticatoio tutti i progetti di trasporto del petrolio, costruzione di oleodotti e quant’altro.

Su questa fetta di mercato potrebbero quindi entrare i paesi orientali, la Cina in primo luogo che, per il ritmo di crescita che ha, probabilmente, necessiterà di sempre maggiore energia.

L’AIE dice che gli USA raggiungeranno l’autonomia energetica grazie all’aumento dei sistemi d’estrazione ma anche grazie alla nuova politica energetica di riduzione dei consumi. Ecco allora che le previsioni dell’AIE non convincono gli analisti.

Zara: il titolo che sfida la crisi

 Zara è una catena d’abbigliamento spagnola la cui filosofia le ha garantito la sopravvivenza in questo momento di crisi e non solo. Piacciono i prodotti e piace il management della catena di abbigliamento, restio alla partecipazione alla vita mondana.

Il fondatore di Zara, o meglio del gruppo tessile Inditex, si chiama Amancio Ortega Gaona e vive a la Coruña, dove si è trasferito da giovane, a 14 anni, seguendo il padre che da ferroviere, era costretto a viaggiare e spostarsi molto. Il suo stile di vita molto dimesso sembra estraneo alle quotazioni.

Secondo un articolo apparso sul New York Times, infatti Amacio Ortega Gaona sarebbe molto discreto nonostante la classifica di Bloomberg lo inserisca al terzo posto sul podio degli uomini più ricchi del mondo. In effetti anche la catena di abbigliamento che ha fondato non punta a sfondare nel mondo del lusso.

Zara punta a colonizzare piuttosto il cosiddetto mercato del “fast fashion”, quello cioè dei marchi low cost. Anche i capi che propone in vendita non sono esempi di sartoria d’autore, sono invece capi basici, alla moda sì, ma economicamente accessibili a tutti.

I marchi collegati a Zara, che deve essere tenuta d’occhio anche in borsa, sono Bershka, Oysho, Stradivarius e Pull&Bear.