Mentre negli Stati Uniti, c’è chi, è disposto a vendere di tutto pur di avere in cambio di Bitcoin, dall’altra parte c’è un’intera nazione che al contrario vede nella moneta digitale, di sicuro una delle più importanti novità dei mercati del 2013, una vera e propria minaccia.
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Questa nazione è la Cina, intenzionata sempre più a limitare le transazioni che hanno luogo attraverso l’utilizzo di tale valuta. L’ultima notizia riguarda BTC China, la società cinese che gestisce il mercato più grande in termini di volumi di trading su cui viene scambiato il Bitcoin, e che d’ora in avanti non sarà costretta a non accettare più, in base a quanto stabilito dalle autorità di Pechino, depositi in yuan.
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In seguito alla diffusione di questa notizia i prezzi del Bitcoin sono letteralmente crollati, cadendo fino a 2.560 yuan, uguale a $421, rispetto al record di sempre verificatosi alla fine del mese di novembre, quando era stata toccata quota 7.588 yuan ($1.250). A pari merito sono state registrate pesanti discese anche in altri mercati su cui la valuta è scambiata. Nell’MTGox giapponese le quotazioni sono crollate da $717 fino a toccare un minimo di $480. “Guardando in avanti, non si può certo parlare di fine del Bitcoin, ma al momento c’è una situazione di panic selling”, è stato il commento di Emily Spaven, giornalista del sito di notizie sul Bitcoin, CoinDesk.
Dopo la Cina, anche l’autorità bancaria del vecchio continente mette in guardia su rischi della moneta virtuale. E fa sapere che nell’Ue non c’è nessuna protezione per salvaguardare chi viene travolto da forti perdite finanziarie in casi di chiusura o fallimento di una piattaforma che scambia questa valuta