Consulenti del lavoro: altre nove causali

 Nel modello di pagamento unificato per versare i contributi dovuti dai professionisti delle sedi che hanno già stipulato una convenzione con l’Agenzia delle Entrate, va indicato il codice tributo che finisce con il “00”.

In questi ultimi mesi sono state molte le adesioni da parte dei Consigli provinciali dell’Ordine dei consulenti del lavoro alla convenzione che, siglata il 17 febbraio 2011, ha stabilito una relazione tra l’Agenzia delle Entrate e il Consiglio nazionale degli ordini dei consulenti del lavoro.

Di conseguenza è cresciuto il numero dei codici tributo da usare per il versamento tramite il modello F24 dei contributi che i professionisti “del lavoro” devono per l’esercizio della loro attività professionale.

Una recente risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, la numero 109/E emanata l’11 dicembre 2012, ha istituito dunque altre nove causali da usare negli F24 relative ai Consigli delle città di Modena, Piacenza, Lecce, Vercelli, Macerata, Nuoro, Como, Rieti e Perugia. Per definire il codice è necessario inserire la sigla della città di riferimento e poi il doppio zero.

Nella stessa risoluzione si danno indicazioni per la compilazione del modello di pagamento unificato, dove devono essere sempre presenti: la causale del versamento nella sezione “Altri enti previdenziali e associati”, il “codice ente”, il “codice sede”, il “codice posizione” e il “periodo di riferimento” del contributo da corrispondere all’Erario.

Minore capacità reddituale: servono le prove

 L’Agenzia delle Entrate, in base ad alcuni parametri definiti per legge, valuta la congruità tra spese e redditi di un certo contribuenti. Per far sì che alcuni redditi siano eliminati dal reddito complessivo, c’è necessità di portare delle prove certe.

Sull’argomento è intervenuta di recente la Corte di Cassazione con la sentenza numero 21398 del 30 novembre 2012. E’ stato stabilito che davanti ad un accertamento dell’Agenzia delle Entrate che applica dei parametri specifici per le verifiche, il contribuente, per provare che il suo reddito è diminuito, deve fornire prove certe, per esempio distinguendo accuratamente il tempo dedicato all’attività di lavoro dipendente, da quella dedicata all’attività di lavoro autonomo.

Il fatto che ha originato il pronunciamento. L’Agenzia delle Entrate ha rilevato che i redditi dichiarati da un contribuente nel 1998 erano inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dei parametri contenuti nel Dpcm 29/1996. Il reddito da lavoro autonomo è stato portato da 14534 a 50653 euro e al contribuente è stato chiesto di pagare maggiori imposte, le sanzioni, gli interessi e gli accessori.

Il contribuente ha dichiarato di aver svolto l’attività di lavoro autonomo in via residuale ed ha fatto ricorso alla Commissione tributaria prima e alla Cassazione poi, ma il ricorso è stato respinto, poiché il contribuente avrebbe dovuto portare prove certe del minor reddito conseguito, evitando dichiarazioni vaghe, relative per esempio all’uso personale e non più promiscuo dell’auto di lusso o considerando prevalente l’attività da lavoro dipendente.

All’Erario servono prove certe, quindi indicazione di orari, tempi di esecuzione delle prestazioni, impegni rifiutati o impossibili da svolgere per mancanza di tempo. Giustificazioni più precise avrebbero potuto evitare la sentenza tributaria.

Conservatorio: si scarica la retta dall’IRPEF

 Le spese che i genitori sostengono per la formazione dei propri figli prevedono una quota di detrazioni dall’IRPEF. Sul sito dell’Agenzia delle Entrate, tra i quesiti posti dagli utenti ce n’è uno che riguarda le spese sostenute da una famiglia per l’iscrizione al conservatorio e la frequenza dei corsi.

Il quesito posto da G. Vannini è il seguente:

La retta sostenuta dai genitori per la frequenza di un corso tradizionale in un conservatorio musicale (istituto superiore di studi musicali) è spesa detraibile dall’IRPEF?

La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate è affermativa ed arriva anche una precisazione sull’argomento con una circolare, la numero 20/E del 13 maggio 2011. La precisazione chiama in causa una legge più vecchia, la 508/1999 che ha riformato le Accademie di belle arti, l’Accademia nazionale di danza e i Conservatori di musica.

La formazione nel settore artistico è stata equiparata alle università, visto che nelle accademie citate e nei conservatori si provvede ad un’alta formazione e specializzazione degli allievi che sono interessati al percorso di studi artistico.

Equiparate per così dire le Accademie di Belle Arti e di Danza e i Conservatori, alle Università, sono state omologate anche le detrazioni che valgono anche per gli istituti musicali pareggiati equivalenti al Conservatorio. La detrazione dall’Irpef non si estende agli istituti musicali privati.

La fattura dice se l’acquisto è privato o per la ditta

 Il recepimento della direttiva europea che disciplina la fatturazione è avvenuto nel decreto salva infrazioni. Il recepimento doveva essere simultaneo in tutti gli stati membri dell’Unione ma l’Italia si è fatta attendere. Adesso le nuove regole dovranno essere rispettate a partire dal primo gennaio 2013.

Una parte della normativa è stata già assorbita ed è attiva dal primo dicembre 2012, giorno in cui sono entrate in vigore le nuove regole sull’IVA per cassa che comunque comportano modifiche sostanziali in relazione ai pagamenti e alla detrazione sugli acquisti del contribuente.

Abbiamo già parlato delle regole generali per l’IVA contenute nel decreto salva infrazioni, abbiamo anche approfondito il tema dei tempi della fatturazione e quello delle indicazioni obbligatorie da inserire. Adesso passiamo a considerare il tipo di operazione IVA.

Uno degli obiettivi della normativa europea, infatti, è quello di qualificare l’acquisto fatto dai clienti, classificandolo sulla base del loro reale utilizzo. Per esempio, in Italia, nel momento in cui un possessore di partita IVA agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione, deve usare sempre e necessariamente la partita IVA. Nel caso in cui agisca per acquisti privati deve invece indicare soltanto il codice fiscale. La stessa cosa capita per gli enti non commerciali.

Tutti dovranno sempre indicare se si tratta di un acquisto personale o istituzionale.

Fattura semplificata: sempre il codice del cliente

 Il decreto salva infrazioni emanato dal Governo sta mettendo ordine nel settore IVA disciplinando in modo nuovo il ciclo di fatturazione e trasmissione della fattura. L’Italia ha impiegato circa due anni per adeguarsi ad una normativa europea che adesso chiede ai titolari di partita IVA di rispettare le nuove regole già dal primo gennaio 2013.

Abbiamo parlato delle modifiche generali e dei tempi di fatturazione che si sono leggermente allungati, adesso entriamo del dettaglio dell’indicazione dei clienti, visto che il decreto governativo ha praticamente riscritto l’articolo 21 del Dpr 633/72.

La prima cosa da tenere a mente che è diventato obbligatorio indicare il codice della partita IVA del cessionario o del committente. Fino ad oggi, invece, era necessaria l’indicazione soltanto per le cosiddette fatture in reverse charge, o per quelle emesse verso gli operatori comunitari.

Oltre al codice della partita IVA, deve essere indicato il codice fiscale nel caso in cui il destinatario della fattura non agisca nell’esercizio d’impresa, arti e professioni.

Nel decreto salva infrazioni sono state indicate anche le diciture da inserire nel caso in cui non ci sia il classico addebito d’imposta. Sarà infatti necessario indicare se l’operazione fatturata è, a seconda dei casi, non imponibile, non soggetta, esente o sottoposta a regime speciale.

Inversione contabile è invece la dicitura da usare nel caso delle operazioni extraterritoriali.

Ritoccata la normativa sulle fatture IVA

 Il nostro Governo ha varato il cosiddetto “decreto salva infrazioni” ed ha recepito una normativa comunitaria del 2010 che adesso impone di rivedere le regole generali dell’IVA e le regole che disciplinano gli scambi intracomunitari.

La materia è molto complessa e per adeguarsi l’Italia ci ha messo anche un bel po’, parliamo di ben due anni. Adesso è richiesto che ci si adatti alle nuove regole entro il primo gennaio 2013. La normativa introdotta vale per tutti i contribuenti che dovranno modificare il loro comportamento riguardo certificazione delle operazioni e registrazione.

Sulla base della direttiva europea sono introdotte delle regole per la fatturazione e s’inizia a parlare di fatturazione elettronica visto che in futuro tutto dovrà essere gestito elettronicamente.

Per quanto riguarda le operazioni attive, il decreto obbliga i contribuenti IVA ad emettere fattura anche in caso di cessioni o prestazioni non territoriali rese a soggetti passivi debitori dell’imposta in un altro Stato UE. La regola vale anche per le operazioni fatte fuori dall’Unione Europea, a prescindere dal luogo di stabilimento e dallo status del richiedente.

Il legislatore ha approfondito la pratica del ciclo passivo di fatturazione ed è intervenuto sugli aspetti cartolari della fattura, nonché sugli adempimenti collegati alla fatturazione. Per esempio è stata riformata la tempistica e le fatture devono essere emesse entro il 15 del mese successivo a quello dell’operazione.

Più tempo per la fattura IVA

 Il Consiglio dei Ministri del 6 dicembre ha definito le nuove regole sulla fatturazione che dovranno essere rispettate dal primo gennaio 2013 in poi. Tutto nasce dalla Direttiva UE 2010/45 adesso recepita anche dal nostro ordinamento.

Le novità che stiamo per enucleare riguardano sia dei comportamenti consolidati, sia alcune prassi che erano state introdotte tempo fa ma messe a regime solo nell’ultimo periodo.

I tre contenuti della nuova normativa sono la rivisitazione del contenuto della fattura, la nuova disciplina della fattura semplificata e la fatturazione differita per i servizi che deve comunque essere emessa entro il 15 dicembre del mese successivo per le prestazioni che sono riconoscibili con un’apposita documentazione e sono state erogate nei confronti del soggetto, nello stesse mese solare.

C’era stata una forte pressione sul legislatore affinché fosse regolamentate la relazione tra prestazioni rese e ricevute, ultimazione dei lavori e pagamento delle fatture stesse, fosse anche per un pagamento parziale del servizio reso.

Il tempo tra prestazione resa e fatturazione, dunque, si allunga e dal primo gennaio si parla del 15esimo giorno successivo a quello di prestazione del servizio. Una regola valida sia per le fatture, sia per i servizi generici, sia per le cosiddette autofatture.

Non cambia niente per le prestazioni diverse elencate nell’articolo 7-ter del Dpr 633/72.

La frode deve dimostrarla il Fisco

 L’Agenzia delle Entrate ha un bel da fare perché le spetta dimostrare che un contribuente non era a conoscenza della frode perpetrata da altri, davanti a fatture soggettivamente inesistenti.

Se il fisco non riesce a dimostrare questo particolare, se cioè mancano elementi probatori in grado di accusare in modo certo un contribuente di essere consapevole dell’esistenza di fatture false, allora non può nemmeno procedere con la tassazione delle cessioni di beni fatturate fuori campo IVA.

E’ intervenuta per la precisazione la Ctp di Reggio Emilia con la sentenza n. 168/4/2012.

Il fatto. Una società, con delle specifiche lettere d’intento, aveva venduto ad una cartiera dei beni ed emesso per questi delle fatture fuori campo Iva. La cartiera aveva poi venduto la merce ad una terza società con un corrispettivo scontato dell’importo Iva non versato su queste cessioni. La cartiera, secondo l’Erario, è stata coinvolta nella truffa ma da una prima analisi doveva esserlo anche la società venditrice.

Questa però, ha impugnato l’atto nella Commissione tributaria provinciale e i giudici hanno definito che spetta all’amministrazione, di dimostrare che, in assenza di elementi oggettivi, il contribuente fosse a conoscenza che l’operazione poi avviata dalla cartiera fosse un’evasione.

La decisione dei giudici si è inserita sulla scia tracciata dalla Corte di Giustizia dell’UE.

Variazione dell’aliquota IMU

 L’IMU è una delle tasse più odiate dagli italiani che sono rimasti in ansia fino all’ultimo per conoscere se il comune nel quale risiedono ha esteso o meno l’aliquota da applicare all’immobile. Ci si chiede allora quali aliquote dell’IMU potessero modificare i comuni.

A rispondere ci ha pensato l’Agenzia delle Entrate nelle sue FAQ pubblicate sul sito ufficiale. La domanda posta era la seguente:

Per quali immobili il Comune può variare l’aliquota di base dell’Imu?

La risposta è complessa ma di facile comprensione. I Comuni hanno la possibilità di modificare l’aliquota di base dell’IMU e quindi hanno la possibilità di aumentarla o di diminuirla (quanti comuni hanno optato per questa seconda soluzione?) fino ad ottener una variazione di 0,3 punti percentuali.

Secondo l’articolo 13 del Decreto legge numero 201 del 2011, ci sono delle tipologie di immobili per i quali è stata definita un’aliquota agevolata che può essere comunque ulteriormente modificata. Facciamo qualche esempio.

Per le abitazioni principali e per le relative pertinenze, l’aliquota è modificabile di ben 0,2 punti percentuali. Per quanto riguarda i fabbricati rurali strumentali, invece, l’aliquota può essere riducibile di un’aliquota compresa tra lo 0,1 e lo o,2 per cento.

Si può ridurre dello 0,40% l’aliquota degli immobili non produttivi di reddito fondiario e per gli immobili posseduti dai soggetti passivi Ires e degli immobili locati.

 

Aggiornati i quadri dei modelli IVA

 L’Agenzia delle Entrate, prima di archiviare l’anno, ha deciso di pubblicare una serie di bozze di documenti utili ai contribuenti. Nei giorni scorsi è comparsa sul sito la bozza del modello CUD 2013, insieme al “pacchetto IVA” che stiamo per analizzare.

Il pacchetto IVA comprende sia l’IVA 2013, sia l’IVA Base/2013, sia l’IVA 26LP/2013 riservato all’ente o società controllante del gruppo IVA, sia l’Iva 74-bis, sia la Comunicazione annuale dati IVA. Tutti questi modelli, come anche il CUD, non sono in forma definitiva ma possono essere usati già per comprendere le differenze che sussistono rispetto all’anno scorso.

Per esempio nel Rigo VE26 è stato inserito il campo 3 che è dedicato a tutte le operazioni realizzate con il regime dell’IVA per cassa, è stato inserito il campo 3 anche nel rigo VF19 per gli acquisti che i contribuenti che hanno optato per lo stesso regime, hanno effettuato nell’anno.

Se avete la necessità di comunicare l’opzione IVA per cassa, adesso è stato inserito il rigo VO15. Sempre nel quadro VO sono stati inseriti i campi VO33 e VO34 dedicati rispettivamente ai contribuenti che non vogliono avvalersi del regime fiscale di vantaggio riservato ai giovani imprenditori e ai lavoratori in mobilità.

Escluso il quadro VR, la richiesta di rimborso del credito annuale IVA deve essere presentata tramite il quadro VX oppure tramite il quadro RX presente nel modello UNICO per chi presenti la dichiarazione unificata.