Nuove regole per il regime Iva per la locazione di immobili abitativi

 Con il decreto legge n. 83 del 2013 sono entrate in vigore delle nuove regole per quanto riguarda la scelta del regime Iva da applicare alla locazione o cessione di immobili. Con la Circolare n. 22 del 28 giugno 2013 l’Agenzia delle Entrate ne ha chiarito alcuni punti.

In particolare l’Agenzia ricorda che in generale le locazioni di fabbricati abitativi – fabbricati abitativi classificati o classificabili nel gruppo catastale A (esclusa la categoria A/10, uffici) – sono esenti da imposizione Iva.

Il locatore, se impresa costruttrice o di ripristino, può però effettuare l’opzione dell’applicazione dell’Iva – chiarendo la scelta nel contratto – solo in caso di:

1) locazioni di fabbricati abitativi effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi;

2) locazioni di fabbricati abitativi destinati ad “alloggi sociali” come definiti dal D.M. 22 aprile 2008.

Con la nuova legge, a partire dal 26 giugno 2013, tutte le locazioni immobiliari sono esenti dall’applicazione dell’Iva, salvo i casi in cui l’impresa di costruzione o di ripristino che loca l’immobile decida, effettuando la relativa opzione nel contratto, per l’applicazione Iva. L’Iva può essere applicata a tutti i contratti di locazione stipulati a partire dal 24 gennaio 2012.

Le aliquote Iva per la locazione di immobili ad uso abitativo sono pari al 10%, nel caso in cui il locatore decida per l’imponibilità, e l’imposta di registro è pari a 67 euro (nel caso di esenzione Iva è del 2%).

Per saperne di più:

► Nuove regole per il regime Iva per la locazione di immobili abitativi

► Come si esercita l’opzione di imponibilità dell’Iva per i contratti di locazione

► Chiarimenti sulle nuove regole Iva per i contratti di locazione in corso

► Nuove regole per il regime Iva sulla locazione di immobili strumentali

 

Come funziona la rateizzazione dei debiti con Equitalia

 Il Decreto del Fare prevede che i contribuenti che abbiano contratto dei debiti fiscali con Equitalia potranno accedere, in modo più semplice e veloce, alla rateizzazione, con metodologie e rate diverse in base all’ammontare del debito stesso.

► Come funziona il fermo amministrativo di Equitalia

Vediamo nel dettaglio come funziona la rateizzazione per i debiti contratti con Equitalia per  importo fino a 50 mila euro, per importi superiori ai 50 mila euro e la rateizzazione in 120 rate e quali sono le restrizioni finanziarie prese in considerazione da Equitalia per concedere o meno la rateizzazione.

Prima di procedere all’analisi delle singole situazioni, ricordiamo che è stato anche aumentato il numero delle rate dopo le quali viene sospesa la possibilità di rateizzazione del debito: da 2 consecutive a 7 rate su tutto il periodo di dilazione del pagamento.

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Rateizzazione debiti Equitalia fino a 50 mila euro

Equitalia ha deciso di sua spontanea volontà di alzare la soglia massima per la quale è possibile richiedere la rateizzazione veloce del debito, portandola da 20 mila a 50 mila euro.

Per accedere a questa rateizzazione, che prevede la restituzione del debito in un massimo di 72 rate in due anni – è sufficiente presentare la domanda allo sportello Equitalia competente per il territorio.

Per questo tipo di rateizzazione è prevista una rata minima di 100 euro, ma il contribuente debitore può richiedere anche un piano personalizzato di restituzione del debito con rate crescenti ogni anno.

Rateizzazione debiti Equitalia superiori a 50 mila euro

Anche nel caso in cui il contribuente abbia contratto con il Fisco un debito superiore a 50 mila euro, ma inferiore ai 120 mila, è possibile accedere al piano di restituzione veloce – 72 rate in sei anni – ma la rateizzazione deve essere approvata da Equitalia.

Sarà quindi necessario produrre la documentazione che dimostra la possibilità da parte del contribuente di saldare il debito a rate o l’impossibilità di saldare il debito in tempi più ristretti.

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Possibilità di rateizzazione in 120 rate

La possibilità di rateizzazione dei debiti con il Fisco in 120 rate è riservata ai contribuenti la cui condizione economica non permette più di assolvere alla restituzione del debito in 72 rate.

La rateizzazione del debito in 120 è sottoposta, da parte dell’ente di riscossione, all’accertamento dell’esistenza di una comprovata e grave situazione di difficoltà che non possa ricondursi alla responsabilità del privato o dell’impresa.

Inoltre, per accedere alla rateizzazione del debito con il Fisco in 120 rate è necessario che il contribuente abbia anche i due seguenti requisiti:

accertata impossibilità per il contribuente di assolvere al pagamento del debito secondo il precedente piano di rateazione ordinario

valutazione di solvibilità del nuovo piano di rateizzazione in 120 versamenti.

Quando e a chi si deve presentare il modello 730 integrativo

 Le scadenze per la presentazione del modello 730 integrativo

Quando il contribuente si accorge che Modello 730 per la dichiarazione dei redditi sono stati commessi degli errori, ha la possibilità di rimediare con la presentazione del modello 730 integrativo, che permette la rettifica dei dati non correttamente riportati.

Nel caso il contribuente abbia dimenticato di documentare eventuali oneri deducibili o detraibili, può rimediare all’errore presentando il 730 integrativo entro e non oltre il 25 ottobre unitamente alla documentazione che attesta il diritto alle detrazioni e alle deduzioni.

Se non si presenta il 730 integrativo entro il termine stabilito, si può rimediare con la presentazione del modello Unico Persone Fisiche entro la scadenza della presentazione della denuncia dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo.

► Cos’è e quando si usa il Modello 730 integrativo

A chi deve essere presentato il Modello 730 integrativo

Il Modello 730 integrativo deve essere presentato ad un Caf o ad un professionista abilitato. Nel caso in cui venga presentato allo stesso Caf o professionista al quale era stato già consegnato il primo modello, il contribuente dovrà esibire solo la documentazione relativa alle correzioni da effettuare, mentre, se si sceglie di presentare ad altro Caf o professionista, è necessario produrre tutta la documentazione necessaria.

Cos’è e quando si usa il Modello 730 integrativo

 Qualche giorno fa sono scaduti i termini utili per la presentazione del Modello 730 2013, valido per la dichiarazione dei redditi percepiti nell’anno d’imposta 2012. La compilazione del Modello 730 non è sempre agevole e, inoltre, può succedere che anche questa venga fatta da un professionista vi siano degli errori, che possono essere presenti nella compilazione o nel calcolo.

Ma non tutto è perduto. Infatti, se il contribuente si rende conto che qualcosa non è stato dichiarato nel modo giusto, può ricorrere al Modello 730 integrativo, con il quale è possibile correggere quanto precedentemente dichiarato e non incorrere, così, in sanzioni o ammende da parte del Fisco.

Quando si può usare il Modello 730 integrativo?

Il Modello 730 integrativo si usa in due casi: per errore nei dati identificativi del sostituto d’imposta o per errori nella indicazione di oneri deducibili e detraibili.

Modello 730 integrativo per errori nei dati del sostituto d’imposta

Se il Modello 730 presentato per la dichiarazione dei redditi presenta degli errori, delle incongruenze o non ha riportato in modo completo i dati identificativi del sostituto d’imposta – quelli riportati sul frontespizio – si dovrà presentare il Modello 730 integrativo con l’indicazione del ‘codice 2’ e la dichiarazione deve essere corretta solo per i dati relativi al sostituto d’imposta, rimanendo uguale per tutte le altre sezioni.

Una volta presentato il Modello 730 integrativo, spetta al sostituto d’imposta effettuare i relativi conguagli partendo dalle retribuzioni del mese di luglio.

► Quando e a chi si deve presentare il modello 730 integrativo

Modello 730 integrativo per mancata indicazione di deduzioni e detrazioni

Se nel 730 presentato per la dichiarazione dei redditi sono state omesse indicazioni riguardanti la determinazione dell’imposta relativa alla dichiarazione stessa, il contribuente deve presentare il Modello 730 integrativo sul quale sarà indicato il ‘codice 3’.

La mancata indicazione di queste informazioni deve essere corretta sia che comporti un maggior rimborso, un minor debito o non influisca sulla determinazione dell’imposta.

La modifica delle informazioni riguardanti eventuali rimborsi e debiti deve essere fatta dallo stesso soggetto che ha prestato assistenza nella compilazione della dichiarazione dei redditi originaria.

Il conguaglio sulla retribuzione derivante dal nuovo calcolo dell’ammontare dell’imposta, sia in debito che in credito, deve essere effettuata dal sostituto d’imposta a partire dalla retribuzione relativa al mese di dicembre.

Se la nuova imposizione genera un debito a carico del contribuente, il sostituto d’imposta deve applicare un interesse mensile dello 0,4% a partire dalla retribuzione di agosto.

 

Non sempre la ritenuta d’acconto è obbligatoria

 L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione numero 49/E dell’11 luglio 2013, ha deciso di regolamentare la questione della ritenuta d’acconto. In pratica ha stabilito che non è sempre obbligatorio per il datore di lavoro pagare la ritenuta ai lavoratori. Tutto rientra nella volontà di semplificare la strada ormai da troppo tempo in salita per le aziende. A spiegare la novità ci ha pensato proprio il direttore dell’Erario Attilio Befera.

Qualche detrazione fiscale per lavoratori autonomi

La ritenuta d’acconto, secondo il nuovo sistema, non è da ritenersi obbligatoria per le prestazioni in cui sono previsti soltanto rimborsi per le spese di vitto, alloggio, viaggio e tutte le altre spese legate allo svolgimento della prestazione, nonché l’anticipo delle spese del committente.

In più si spiega che i redditi da lavoro autonomo non abituale sono stabiliti sulla base del collegamento tra scompenso e spesa sostenuta per conseguirlo tanto che il reddito diverso è arti a zero. Per questo, qualora si rientrasse nel caso esposto, la ritenuta è da non considerarsi obbligatoria. I rimborsi percepiti, tra l’altro, così come le spese corrispondenti, possono non essere inserite nella dichiarazione dei redditi.

I contribuenti obbligati all’UNICO

Una semplificazione che alleggerisce parecchio il lavoro delle imprese. La ritenuta d’acconto, invece, è obbligatoria quando il compenso, anche se si tratta di spese rimborsate o anticipate, va oltre le spese strettamente necessarie allo svolgimento dell’attività. A questo punto, infatti, l’attività non è più “gratuita”.

Si discute ancora di modifica dell’IMU

 L’imposta municipale sugli immobili, per quanto possa aprire una frattura nella compagine di governo, è finanziariamente necessaria visto che consentirebbe di evitare l’aumento dell’IVA e il conseguente impatto negativo sui consumi degli italiani. Eppure l’IMU, prima di essere di nuovo considerata papabile “tappa buchi”, deve subire una trasformazione.

Modello dichiarazione IMU

L’idea generale è quella di trovare delle soluzioni per esentare dal pagamento tutti coloro che hanno un reddito molto basso ed introdurre invece una tassa ad hoc che cumuli sia il possesso della casa, sia l’uso dei servizi comunali. Teoricamente tutto fila liscio come l’olio, peccato che non siano state ancora trovate le coperture necessarie. Riassumendo l’idea in voga in questo momento è quella relativa all‘introduzione dell’esenzione per reddito nel pagamento dell’IMU e quella legata all’accorpamento in una sola imposta dell’IMU e della TARES.

Imu – Istruzioni per la compilazione del modello per la dichiarazione

Attualmente, tanto per fare il quadro della situazione, esiste uno sconto sull’IMU di 200 euro. Questa franchigia potrebbe essere elevata fino a 600 euro se si trovassero le coperture economiche adeguate. L’escamotage per salvare capra e cavoli sarebbe quindi nell’introduzione di un legame tra imposta municipale sugli immobili e reddito ISEE.

Nella pratica, per finanziare questa riforma, servono ben 3 miliardi di euro. Intanto il governo studia un sistema per rimandare ancora il pagamento dell’IMU fino ad ottobre.

Cos’è e come funziona il contrasto di interessi

 Tra i punti principali del programma di governo di Enrico Letta c’è sicuramente la lotta all’evasione fiscale. Una piaga del nostro paese che tutti i governo provano a risolvere ma che mai come adesso, in un periodo di difficoltà economiche generalizzate, si presenta come una priorità.

► I problemi della lotta all’ evasione fiscale italiana

Una delle idee del governo per riuscire a debellare l’evasione fiscale è quella del contrasto di interessi, ossia un meccanismo che porti ad implementare il numero degli scontrini e delle fatture emesse grazie ad sconti ed incentivi.

Si tratta dello stesso meccanismo utilizzato da Letta per i bonus per l’edilizia e le ristrutturazioni: in questo caso per accedere agli sconti e agli incentivi previsti è necessario portare la documentazione che attesti l’avvenuto pagamento.

Nel programma di Letta questo meccanismo dovrà essere esteso anche a tutti gli altri settori. In pratica, più scontrini e fatture verranno emessi, maggiori saranno gli sconti e i bonus ai quali si potrà accedere.

Il contrasto di interessi era stato già presentato dal Governo Monti, ma la proposta è caduta insieme al governo per essere poi ripresa da Letta.

► I 10 punti dell’ accordo contro l’evasione fiscale

In questo modo si dovrebbe disincentivare il ricorso ai pagamenti in nero, ma il sistema del contrasto di interessi potrebbe essere bloccato sul nascere a causa della mancanza di coperture finanziarie per i bonus e gli incentivi.

Le novità per la ritenuta d’acconto

 La ritenuta d’acconto è una trattenuta che in alcuni paesi, tra questi anche l’Italia, viene applicata su alcuni tipi di compenso. Nello specifico la ritenuta d’acconto si applica su compensi corrisposti da soggetti sostituti d’imposta ai cosiddetti percipienti direttamente in fattura quando si tratta di acquisto di servizi e di prestazioni di lavoro autonomo e dipendente.

► Novità nella fatturazione IVA

Continuando il percorso intrapreso verso la semplificazione della burocrazia italiana, l’Agenzia delle Entrate sta mettendo a punto diverse novità, una delle quali riguarda proprio l’obbligo di ritenuta d’acconto, che è stato eliminato per le fatture inerenti le prestazioni che prevedono solo rimborsi per spese di viaggio vitto e alloggio.

Si tratta delle spese considerate come strettamente necessarie allo svolgimento del lavoro, anche nel caso in cui queste fossero state già anticipate dal committente, che non devono più passibili di ritenuta d’acconto se il reddito prodotto è pari a zero.

Lo ha fatto con la risoluzione n. 49/E dell’11 luglio 2013, nella quale si specifica che:

I redditi di lavoro autonomo non abituale sono determinati, proprio in ragione della loro occasionalità, tenendo conto del collegamento specifico tra compenso e spesa sostenuta per conseguirlo.

 Come si compila una ricevuta fiscale

La ritenuta d’acconto, invece, continua ad essere obbligatoria quando il compenso percepito dal lavoratore sia maggiore delle spese necessarie allo svolgimento del lavoro. In questa circostanza il compenso percepito sarà totalmente assoggettato alla ritenuta d’acconto.

Le novità per la riscossione dei debiti apportate dal Decreto del Fare

 Sappiamo bene quanto sia pesante la pressione fiscale in Italia. Le tasse ‘mangiano’ quasi tutto ciò che si riesce a guadagnare e, data la particolare congiuntura economica che stiamo attraversando, spesso i cittadini e le imprese si trovano impossibilitati a pagare quanto dovuto.

In questi casi subentra l’Agenzia delle Entrate, coadiuvata, anche se ancora per poco, da Equitalia per ottenere in modo coattivo quanto dovuto dai debitori. Una situazione, questa, non sempre sopportabile e che ha messo sul lastrico moltissime famiglie e imprese.

Per questo, con il Decreto del Fare, il Governo ha deciso di ammorbidire i metodi utilizzati per la riscossione coattiva dei debiti, impedendo, da un lato, i pignoramenti di beni e stipendi e dando maggiori possibilità di rateizzazione.

Vediamo come sono cambiate le metodologie di riscossione dei debiti con il Decreto del Fare.

Decreto del Fare e riscossione debiti: quali novità?

Le novità sui pignoramenti di stipendi e pensioni

Per tutelare le famiglie in difficoltà economiche, con il Decreto del Fare il governo ha reso impossibile il pignoramento dell’ultimo stipendio o pensione accreditato sul conto corrente del debitore, che ne avrà così piena disponibilità.

In secondo luogo, nel caso il pignoramento sia a carico di terzi (datore di lavoro o ente di previdenza) il tempo a disposizione per il pagamento è stato portato da 15 a 60 giorni. 

Le novità sui pignoramenti degli immobili

Il Decreto del Fare impedisce ad Equitalia di provvedere al pignoramento degli immobili quando questi risultano essere l’unico immobile in possesso del debitore usato come abitazione principale (sono esclusi immobili di lusso, ville, castelli e palazzi).

Gli immobili, inoltre, non potranno essere pignorati in caso di debito inferiore ai 120 mila euro.

Nel caso, però, in cui il debitore sia in possesso di un solo immobile che però non usa come residenza principale, si potrà provvedere al pignoramento, ma solo in caso di debito superiore ai 120 mila euro.

Le novità sulla rateizzazione

La principale novità per quanto riguarda la possibilità di rateizzazione dei debiti è l’innalzamento della soglia minima entro la quale poteva essere richiesto che è stata portata da 20 a 50 mila euro.

Inoltre sono state aumentate anche il numero delle rate con le quali è possibile restituire il proprio debito: prima erano 72 (sei anni), ora sono 120 (10 anni). Possono accedere all’estensione delle rate tutti i debitori, sia se si tratta della prima richiesta di rateizzazione che di una proroga, ma solo se possono dimostrare:

comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea a responsabilità dirette del contribuente.

Ultima novità per la rateizzazione è l’aumento del numero delle rate insolute necessarie alla decadenza del beneficio della rateizzazione che sono state portate da 2 ad 8.