Cos’è e quando si usa il Modello 730 integrativo

 Qualche giorno fa sono scaduti i termini utili per la presentazione del Modello 730 2013, valido per la dichiarazione dei redditi percepiti nell’anno d’imposta 2012. La compilazione del Modello 730 non è sempre agevole e, inoltre, può succedere che anche questa venga fatta da un professionista vi siano degli errori, che possono essere presenti nella compilazione o nel calcolo.

Ma non tutto è perduto. Infatti, se il contribuente si rende conto che qualcosa non è stato dichiarato nel modo giusto, può ricorrere al Modello 730 integrativo, con il quale è possibile correggere quanto precedentemente dichiarato e non incorrere, così, in sanzioni o ammende da parte del Fisco.

Quando si può usare il Modello 730 integrativo?

Il Modello 730 integrativo si usa in due casi: per errore nei dati identificativi del sostituto d’imposta o per errori nella indicazione di oneri deducibili e detraibili.

Modello 730 integrativo per errori nei dati del sostituto d’imposta

Se il Modello 730 presentato per la dichiarazione dei redditi presenta degli errori, delle incongruenze o non ha riportato in modo completo i dati identificativi del sostituto d’imposta – quelli riportati sul frontespizio – si dovrà presentare il Modello 730 integrativo con l’indicazione del ‘codice 2’ e la dichiarazione deve essere corretta solo per i dati relativi al sostituto d’imposta, rimanendo uguale per tutte le altre sezioni.

Una volta presentato il Modello 730 integrativo, spetta al sostituto d’imposta effettuare i relativi conguagli partendo dalle retribuzioni del mese di luglio.

► Quando e a chi si deve presentare il modello 730 integrativo

Modello 730 integrativo per mancata indicazione di deduzioni e detrazioni

Se nel 730 presentato per la dichiarazione dei redditi sono state omesse indicazioni riguardanti la determinazione dell’imposta relativa alla dichiarazione stessa, il contribuente deve presentare il Modello 730 integrativo sul quale sarà indicato il ‘codice 3’.

La mancata indicazione di queste informazioni deve essere corretta sia che comporti un maggior rimborso, un minor debito o non influisca sulla determinazione dell’imposta.

La modifica delle informazioni riguardanti eventuali rimborsi e debiti deve essere fatta dallo stesso soggetto che ha prestato assistenza nella compilazione della dichiarazione dei redditi originaria.

Il conguaglio sulla retribuzione derivante dal nuovo calcolo dell’ammontare dell’imposta, sia in debito che in credito, deve essere effettuata dal sostituto d’imposta a partire dalla retribuzione relativa al mese di dicembre.

Se la nuova imposizione genera un debito a carico del contribuente, il sostituto d’imposta deve applicare un interesse mensile dello 0,4% a partire dalla retribuzione di agosto.

 

Pagamenti online più semplici per Equitalia

 D’ ora in avanti, per tutti i cittadini italiani, indipendentemente dal loro luogo geografico di residenza, sarà più facile pagare le cartelle di Equitalia. Lo potranno fare, infatti, direttamente online dal  sito della Società, anche senza necessità di registrarsi, pagando poi con carta di credito.

Non sempre la ritenuta d’acconto è obbligatoria

 L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione numero 49/E dell’11 luglio 2013, ha deciso di regolamentare la questione della ritenuta d’acconto. In pratica ha stabilito che non è sempre obbligatorio per il datore di lavoro pagare la ritenuta ai lavoratori. Tutto rientra nella volontà di semplificare la strada ormai da troppo tempo in salita per le aziende. A spiegare la novità ci ha pensato proprio il direttore dell’Erario Attilio Befera.

Qualche detrazione fiscale per lavoratori autonomi

La ritenuta d’acconto, secondo il nuovo sistema, non è da ritenersi obbligatoria per le prestazioni in cui sono previsti soltanto rimborsi per le spese di vitto, alloggio, viaggio e tutte le altre spese legate allo svolgimento della prestazione, nonché l’anticipo delle spese del committente.

In più si spiega che i redditi da lavoro autonomo non abituale sono stabiliti sulla base del collegamento tra scompenso e spesa sostenuta per conseguirlo tanto che il reddito diverso è arti a zero. Per questo, qualora si rientrasse nel caso esposto, la ritenuta è da non considerarsi obbligatoria. I rimborsi percepiti, tra l’altro, così come le spese corrispondenti, possono non essere inserite nella dichiarazione dei redditi.

I contribuenti obbligati all’UNICO

Una semplificazione che alleggerisce parecchio il lavoro delle imprese. La ritenuta d’acconto, invece, è obbligatoria quando il compenso, anche se si tratta di spese rimborsate o anticipate, va oltre le spese strettamente necessarie allo svolgimento dell’attività. A questo punto, infatti, l’attività non è più “gratuita”.

Si discute ancora di modifica dell’IMU

 L’imposta municipale sugli immobili, per quanto possa aprire una frattura nella compagine di governo, è finanziariamente necessaria visto che consentirebbe di evitare l’aumento dell’IVA e il conseguente impatto negativo sui consumi degli italiani. Eppure l’IMU, prima di essere di nuovo considerata papabile “tappa buchi”, deve subire una trasformazione.

Modello dichiarazione IMU

L’idea generale è quella di trovare delle soluzioni per esentare dal pagamento tutti coloro che hanno un reddito molto basso ed introdurre invece una tassa ad hoc che cumuli sia il possesso della casa, sia l’uso dei servizi comunali. Teoricamente tutto fila liscio come l’olio, peccato che non siano state ancora trovate le coperture necessarie. Riassumendo l’idea in voga in questo momento è quella relativa all‘introduzione dell’esenzione per reddito nel pagamento dell’IMU e quella legata all’accorpamento in una sola imposta dell’IMU e della TARES.

Imu – Istruzioni per la compilazione del modello per la dichiarazione

Attualmente, tanto per fare il quadro della situazione, esiste uno sconto sull’IMU di 200 euro. Questa franchigia potrebbe essere elevata fino a 600 euro se si trovassero le coperture economiche adeguate. L’escamotage per salvare capra e cavoli sarebbe quindi nell’introduzione di un legame tra imposta municipale sugli immobili e reddito ISEE.

Nella pratica, per finanziare questa riforma, servono ben 3 miliardi di euro. Intanto il governo studia un sistema per rimandare ancora il pagamento dell’IMU fino ad ottobre.

Cos’è e come funziona il contrasto di interessi

 Tra i punti principali del programma di governo di Enrico Letta c’è sicuramente la lotta all’evasione fiscale. Una piaga del nostro paese che tutti i governo provano a risolvere ma che mai come adesso, in un periodo di difficoltà economiche generalizzate, si presenta come una priorità.

► I problemi della lotta all’ evasione fiscale italiana

Una delle idee del governo per riuscire a debellare l’evasione fiscale è quella del contrasto di interessi, ossia un meccanismo che porti ad implementare il numero degli scontrini e delle fatture emesse grazie ad sconti ed incentivi.

Si tratta dello stesso meccanismo utilizzato da Letta per i bonus per l’edilizia e le ristrutturazioni: in questo caso per accedere agli sconti e agli incentivi previsti è necessario portare la documentazione che attesti l’avvenuto pagamento.

Nel programma di Letta questo meccanismo dovrà essere esteso anche a tutti gli altri settori. In pratica, più scontrini e fatture verranno emessi, maggiori saranno gli sconti e i bonus ai quali si potrà accedere.

Il contrasto di interessi era stato già presentato dal Governo Monti, ma la proposta è caduta insieme al governo per essere poi ripresa da Letta.

► I 10 punti dell’ accordo contro l’evasione fiscale

In questo modo si dovrebbe disincentivare il ricorso ai pagamenti in nero, ma il sistema del contrasto di interessi potrebbe essere bloccato sul nascere a causa della mancanza di coperture finanziarie per i bonus e gli incentivi.

Le novità per la ritenuta d’acconto

 La ritenuta d’acconto è una trattenuta che in alcuni paesi, tra questi anche l’Italia, viene applicata su alcuni tipi di compenso. Nello specifico la ritenuta d’acconto si applica su compensi corrisposti da soggetti sostituti d’imposta ai cosiddetti percipienti direttamente in fattura quando si tratta di acquisto di servizi e di prestazioni di lavoro autonomo e dipendente.

► Novità nella fatturazione IVA

Continuando il percorso intrapreso verso la semplificazione della burocrazia italiana, l’Agenzia delle Entrate sta mettendo a punto diverse novità, una delle quali riguarda proprio l’obbligo di ritenuta d’acconto, che è stato eliminato per le fatture inerenti le prestazioni che prevedono solo rimborsi per spese di viaggio vitto e alloggio.

Si tratta delle spese considerate come strettamente necessarie allo svolgimento del lavoro, anche nel caso in cui queste fossero state già anticipate dal committente, che non devono più passibili di ritenuta d’acconto se il reddito prodotto è pari a zero.

Lo ha fatto con la risoluzione n. 49/E dell’11 luglio 2013, nella quale si specifica che:

I redditi di lavoro autonomo non abituale sono determinati, proprio in ragione della loro occasionalità, tenendo conto del collegamento specifico tra compenso e spesa sostenuta per conseguirlo.

 Come si compila una ricevuta fiscale

La ritenuta d’acconto, invece, continua ad essere obbligatoria quando il compenso percepito dal lavoratore sia maggiore delle spese necessarie allo svolgimento del lavoro. In questa circostanza il compenso percepito sarà totalmente assoggettato alla ritenuta d’acconto.

Le novità per la riscossione dei debiti apportate dal Decreto del Fare

 Sappiamo bene quanto sia pesante la pressione fiscale in Italia. Le tasse ‘mangiano’ quasi tutto ciò che si riesce a guadagnare e, data la particolare congiuntura economica che stiamo attraversando, spesso i cittadini e le imprese si trovano impossibilitati a pagare quanto dovuto.

In questi casi subentra l’Agenzia delle Entrate, coadiuvata, anche se ancora per poco, da Equitalia per ottenere in modo coattivo quanto dovuto dai debitori. Una situazione, questa, non sempre sopportabile e che ha messo sul lastrico moltissime famiglie e imprese.

Per questo, con il Decreto del Fare, il Governo ha deciso di ammorbidire i metodi utilizzati per la riscossione coattiva dei debiti, impedendo, da un lato, i pignoramenti di beni e stipendi e dando maggiori possibilità di rateizzazione.

Vediamo come sono cambiate le metodologie di riscossione dei debiti con il Decreto del Fare.

Decreto del Fare e riscossione debiti: quali novità?

Le novità sui pignoramenti di stipendi e pensioni

Per tutelare le famiglie in difficoltà economiche, con il Decreto del Fare il governo ha reso impossibile il pignoramento dell’ultimo stipendio o pensione accreditato sul conto corrente del debitore, che ne avrà così piena disponibilità.

In secondo luogo, nel caso il pignoramento sia a carico di terzi (datore di lavoro o ente di previdenza) il tempo a disposizione per il pagamento è stato portato da 15 a 60 giorni. 

Le novità sui pignoramenti degli immobili

Il Decreto del Fare impedisce ad Equitalia di provvedere al pignoramento degli immobili quando questi risultano essere l’unico immobile in possesso del debitore usato come abitazione principale (sono esclusi immobili di lusso, ville, castelli e palazzi).

Gli immobili, inoltre, non potranno essere pignorati in caso di debito inferiore ai 120 mila euro.

Nel caso, però, in cui il debitore sia in possesso di un solo immobile che però non usa come residenza principale, si potrà provvedere al pignoramento, ma solo in caso di debito superiore ai 120 mila euro.

Le novità sulla rateizzazione

La principale novità per quanto riguarda la possibilità di rateizzazione dei debiti è l’innalzamento della soglia minima entro la quale poteva essere richiesto che è stata portata da 20 a 50 mila euro.

Inoltre sono state aumentate anche il numero delle rate con le quali è possibile restituire il proprio debito: prima erano 72 (sei anni), ora sono 120 (10 anni). Possono accedere all’estensione delle rate tutti i debitori, sia se si tratta della prima richiesta di rateizzazione che di una proroga, ma solo se possono dimostrare:

comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea a responsabilità dirette del contribuente.

Ultima novità per la rateizzazione è l’aumento del numero delle rate insolute necessarie alla decadenza del beneficio della rateizzazione che sono state portate da 2 ad 8.

 

Come e quando si paga la cedolare secca?

 Anche se in misura ridotta e in una unica soluzione, la cedolare secca prevede il pagamento di tutte le tasse e le imposte relative ai contratti di locazione. La cedolare secca permette al locatario di pagare Irpef, addizionali regionale e comunale, imposta di registro (2% sul canone pattuito) e imposta di bollo con un solo versamento o in due rate.

 Contratto di affitto – Clausola di cedolare secca

Le scadenze per il pagamento della cedolare secca

La legislazione in materia prevede che le imposte della cedolare secca debbano essere pagate dal locatario in due rate: una che scade il 16 luglio e uno con scadenza al 30 novembre di ogni anno, con un importo pari al 40% del totale dell’imposizione risultante da versare con la prima rata di luglio e il restante 60% a da corrispondere a novembre.

Unica eccezione prevista è prevista nel caso l’imposta risultante dalla cedolare secca è inferiore a 257,52 euro, che potrà essere pagata in un’unica soluzione alla scadenza di novembre.

► Vantaggi e svantaggi della cedolare secca

Come si paga la cedolare secca?

La cedolare secca deve essere pagata tramite Modello F24 presso le banche o gli uffici postali convenzionati.

I codici tributo da utilizzare per il pagamento sono:

  • 1840 per la prima rata
  • 1841 per la seconda o la soluzione unica
  • 1842 per il saldo.

 

Vantaggi e svantaggi della cedolare secca

 La cedolare secca è un’imposta sostitutiva che viene applicata ad alcune tipologie di contratti di locazione che permette al locatario di pagare Irpef, addizionali regionale e comunale, imposta di registro (2% sul canone pattuito) e imposta di bollo in un’unica soluzione.

 Denunciare l’affitto in nero per pagare meno

È un’opzione che viene scelta da circa il 30% dei proprietari che affittano un immobile. Una percentuale alta che porta a pensare che sia un’opzione conveniente. È davvero così?

I vantaggi della cedolare secca

Per chi decide di dare un immobile in affitto con la cedolare secca uno dei principali vantaggi è la possibilità del pagamento dell’Irpef in misura ridotta. Con la legge Fornero sono state ridotte le agevolazioni per i locatari che, però, persistono per coloro che decidono di esercitare questa opzione.

In secondo luogo la scelta della cedolare secca non è definitiva. Infatti, questo regime agevolato, può essere revocato o dismesso o iniziato anche se il contratto di affitto è ancora in corso: basta attendere la scadenza dell’annualità e recarsi all’Agenzia delle Entrate con il Modello 69 in caso di subentro o uscita dal regime o con una domanda in carta semplice se si vuole dismettere la cedolare e scegliere un altro regime.

► Contratto di affitto – Clausola di cedolare secca

Gli svantaggi della cedolare secca

Anche se la cedolare secca è un regime agevolato, non dovrebbe essere esercitata dai proprietari di case che hanno accesso, per altri motivi, ad alti livelli di detraibilità sulle imposte, in quanto la sua scelta prevede la rinuncia alle altre detrazioni sull’immobile.

Inoltre, la cedolare secca non permette di effettuare modifiche al canone di locazione, se non alla scadenza del contratto stesso.