Tabella B del nuovo redditometro

Più di 100 spese nel nuovo redditest, è vero ma tutte rigorosamente classificate nella Tabella A del nuovo redditometro, un documento che introduce il modo di agire ed interpretare i dati dell’amministrazione finanziaria.

 Il fisco ha intenzione di accerchiare gli evasori ma per farlo doveva dotarsi di uno strumento più efficace e raffinato. La chiave giusta per arrivare alla definizione del nuovo redditometro è stata quella di far prevalere le caratteristiche del nucleo famigliare e l’area geografica d’appartenenza dei contribuenti.

Il nuovo redditometro, è importante precisarlo, interessa tutti i singoli contribuenti e il loro posizionamento e valore all’interno del nucleo famigliare che vivrà in una certa zona del paese dove sarà possibile spendere in un certo modo, risparmiare poco o tanto, incrementare o polverizzare i risparmi di famiglia.

Gli acquisti effettuati da coniuge e famigliari a carico, contribuiscono alle spese del singolo cittadino, secondo quanto riportato dall’articolo 2 del Decreto ministeriale. Nella Tabella B c’è una sintesi delle undici tipologie di nuclei famigliari.

Le tipologie individuate sono: persona sola con meno di 35 anni, coppia senza figli con meno di 35 anni, persona sola con età compresa tra i 35 e i 64 anni, coppia senza figli con età compresa tra i 35 e i 64 anni, persona sola con 65 anni o più, coppia senza figli con 65 anni o più, coppia con un figlio, coppia con due figli, coppia con tre o più figli, monogenitore e altre tipologie.

Tabella A del nuovo Redditometro

 Più di 100 spese per il Redditest. Con queste parole, quasi minacciando i contribuenti evasori con l’efficacia e la ricchezza esplorativa dello strumento, l’Agenzia delle Entrate ha presentato il suo nuovo gioiellino. Il Redditometro, ad una prima ricognizione, dimostra che sono almeno due gli elementi importanti per il fisco: prima viene la composizione famigliare e poi l’area geografica d’appartenenza.

Insomma non è più soltanto il reddito a classificare i contribuenti. Le voci di spesa menzionate sono parte integrante degli strumenti usati per l’indicazione della capacità contributiva. Con il decreto che rende attivo l’accertamento sintetico, la nuova lente d’ingrandimento sui redditi delle persone fisiche è pronta a mettersi all’opera.

Nella Tabella A allegata al decreto sono distinti gli elementi della capacità contributiva in due macrocategorie, consumi ed investimenti che vanno a toccare gli aspetti cruciali della vita quotidiana, indagando sull’abitazione, ma anche sull’istruzione, sulla sanità e sui trasporti, sui costi per l’acquisto dei beni mobili e sulle spese dedicate all’incremento del proprio benessere.

L’Agenzia delle Entrate, per la ricostruzione del reddito si baserà quindi sia sulle spese effettivamente sostenute dai contribuenti e, dove non fosse possibile, terrà conto delle spese medie rilevate dall’Istat. In questo caso si prenderà in considerazione l’ammontare più elevato tra i dati a disposizione.

Befera presenta e spiega il temuto Redditest

Calciatori meno tassati in Italia

 Chi l’avrebbe mai detto che l’Italia sarebbe stata etichettata come un paradiso fiscale? E invece il momento è arrivato e tutto dipende dal settore calcistico, visto che i calciatori sono meno tassati nel nostro paese che altrove. In pratica soltanto “emigrando” con il cartellino in Francia oppure giocando nei campionati secondari, si ottiene un bello sconto sulle tasse.

I calciatori vogliono spesso lasciare il nostro paese perché all’estero le squadre riempiono gli stadi, perché il tifo è  migliore, perché ci sono più stimoli ma se ragionassero sulle tasse, sicuramente non si schioderebbero dalla loro rappresentativa di serie A.

L’unico modo per pagare meno tasse che in Italia, secondo una breve ricognizione delle imposte applicate alle rendite milionarie dei calciatori, sarebbe quello di emigrare nei campionati svizzero o slovacchi, oppure dedicarsi alle serie minori.

L’esempio fatto è quello di un calciatore che guadagni circa 2 milioni di euro in Italia, giocando in serie A. All’appuntamento con il fisco, il giocatore in questione, dovrebbe pagare tasse per 874 mila euro. Se la sua squadra facesse parte della serie A spagnola, le tasse da pagare salirebbero a un  milione di euro. Ma la situazione non migliora nella Premier League inglese o nella Bundesliga tedesca.

L’IRAP milionaria sul calciomercato

Il Fisco accerchia gli evasori

 Il nuovo redditometro che debutterà quest’anno è uno strumento ancora più forte dei suoi predecessori con i quali condivide l’obiettivo: stanare gli evasori. Il Fisco però, ha deciso di affinare le armi a sua disposizione ampliando il numero delle spese da mettere in relazione al reddito dei contribuenti. 

Si va dalle spese per la manutenzione ordinaria di immobili e veicoli fino alle spese sanitarie o a quelle per la coltivazione di un hobby, sia esso la collezione di francobolli piuttosto che l’antiquariato.

Il decreto del Ministero dell’Economia che parla delle nuove voci di spesa del redditometro, prende in esame anche tutti gli elementi che devono essere usati per indicare la capacità contributiva delle persone fisiche. Al reddito complessivo, insomma, contribuiscono molti più elementi rispetto al classico stipendio.

In pratica l’Amministrazione finanziaria si riserva di contemplare le spese per l’acquisto e per il mantenimento di beni e servizi ma anche le quote di risparmio maturate di anno in anno. Qualora sia tirato fuori il cartellino rosso da parte dell’Erario, spetterà poi al contribuente di dimostrare di aver avuto redditi diversi nel periodo d’imposta incriminato, o di aver avuto redditi esenti e quindi esclusi dalla base imponibile.

Un capitolo molto interessante riguarda gli incrementi patrimoniali dei contribuenti cui si uniscono i famosi risparmi.

Più di 100 spese per il redditest

 Il nuovo redditometro o redditest che dir si voglia, è chiamato a scandagliare nelle spese e nei redditi effettuati e dichiarati dall’anno d’imposta 2009 ma la novità sta proprio nelle nuove voci che l’Erario ha messo nel paniere. Negli anni, infatti, anche se si parla soltanto di tre annualità, molto è cambiato.

Il funzionamento del nuovo redditometro non si discosta molto dal precedente modello visto che l’obiettivo resta quello d’individuare i contribuenti che dichiarano redditi di una certa entità e poi spendono troppo o poco. Nel momento in cui ci sono più spese di quelle che realmente sarebbero sostenibili, il Fisco è pronto ad intervenire.

Ma di quali spese si tratta? All’inizio, nel 1992, le voci di spesa considerate erano riducibili ad aerei, imbarcazioni, immobili e autoveicoli. In pratica un nullatenente non poteva avere uno yatch parcheggiato nel porticciolo di casa. Dopo vent’anni, i natanti restano come gli altri beni di lusso, ma si va a considerare anche la sfera degli hobby.

Le utenze, i cavalli o la collezione di francobolli, non possono essere trascurati dal fisco e dove non si possa ricostruire il valore effettivo delle spese, si partirà dalla spesa media calcolata dall’Istat per ciascuna delle 11 tipologie di famigliari.

Le spese che finiranno sotto la lente d’ingrandimento del fisco sono quelle per le riparazioni dei veicoli, i consumi e gli investimenti. In quest’ultima area rientrano siano i beni mobili ed immobili dichiarati, sia le polizze assicurative i contributi volontari, i titoli azionari o le spese per oggetti d’arte e di antiquariato.

Le origini dell’imposta di successione

 Nella nostra storia tributaria esistono dei contributi che facciamo difficoltà a digerire ma che affondano le radici nell’antichità, per esempio l’imposta di successione, di cui abbiamo avuto modo di parlare anche in passato in relazione alla situazione americana.

Nel nostro ordinamento, trascurando i prodromi della tassa dell’età augustea (la vigesima hereditatum di Augusto del 7 d.C.) e i tributi dell’età moderna (il quintello veneziano, datato 1565), possiamo dire che l’imposta sulla successione è nata in Francia intorno al 1704 come “derivazione” dell’imposta di registro.

In pratica esisteva un’imposta che il contribuente doveva corrispondere all’amministrazione tributaria dell’epoca per autenticare e datare i testamenti. Questa imposta, dall’essere un compenso per il servizio, si è trasformata in imposta sulle cosiddette quote ereditarie, distinte in base al grado di parentela.

Lo stato italiano, in uno stampato parlamentare postunitario del 1863 ha grosso modo sintetizzato questa procedura con la frase:

“avuto riguardo alle considerazioni morali che fanno giudicare maggiore il vantaggio che si acquista, se minore e meno legittima era l’aspettativa di lucro, e più lontana o inesistente affatto la relazione di famiglia e di parentela”.

Nell’Italia napoleonica, l’imposta di stampo francese, è stata assorbita da numerosi stati dell’epoca preunitaria. Soltanto il Regno delle due Sicilie prevedeva diritti fissi sui testamenti. E’ facile immaginare dunque la semplicità della traduzione di questa imposta nell’ordinamento dell’Italia unita.

Lo status di erede anche dall’atteggiamento concludente

 Un successore che si comporti in modo da accettare la pratica di successione, è automaticamente da considerare nella posizione fiscale di erede. Sembra quasi un gioco di parole ma di recente una sentenza della Commissione tributaria lombarda, ha dovuto ribadire il concetto.

In pratica si parla di “accettazione tacita di eredità” nel caso in cui un successore abbia attivato un procedimento di adesione, una volta ottenuta la notifica di un atto impositivo relativo alla posizione fiscale del defunto. E’ questa in sintesi la posizione dell’Erario contenuta nella sentenza n. 170 del 2012.

La sentenza parte da una serie di atti negoziali che possono indurre l’amministrazione finanziaria a pensare che ci sia un’accettazione tacita dell’eredità, in modo che si possa attribuire all’erede la legittimazione attiva e passiva rispetto ad obbligazioni tributarie del defunto.

L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha bisogno di continuità sotto il profilo tributario e dopo il decesso di un contribuente deve individuarne un altro, l’erede, con cui completare e chiudere il rapporto. L’erede assume la titolarità dei rapporti giuridici di natura tributaria del defunto.

Secondo la Ctr di Milano, quindi, ci sono dei comportamenti del potenziale erede, che presuppongono la volontà di accettare l’eredità, e che quindi gli attribuiscono il diritto di farlo, nella pratica.

Tarsu e reati possibili

 Nel momento in cui la cessione di un ramo d’azienda è costruita ad arte per rendere più difficoltosa la riscossione di un tributo, si può parlare di reato ai danni del fisco, senza alcun dubbio. Questo, in sintesi, il principio contenuto in una sentenza, la n. 49091/2012 della Corte Suprema.

In pratica ci sono delle operazioni societarie che in linea di massima possono essere considerate legittime, per esempio la cessione d’azienda o la scissione della stessa, ma se queste operazioni hanno per scopo quello di sottrarre al Fisco la possibilità di riscuotere un tributo, allora possono essere classificate tra le operazioni fraudolente commesse dalle due imprese coinvolte.

Il fatto che si parli di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, non dipende dalla responsabilità solidale delle aziende interessante. Già nel 2011 i giudici erano intervenuti per spiegare che

“anche se le società nate con le operazioni di scissione sono obbligate, in solido con la cedente, al pagamento delle imposte e delle sanzioni accertate a carico di quest’ultima, l’operazione fraudolenta avrebbe raggiunto lo scopo di far gravare su altri i debiti d’imposta”.

Il caso specifico che ha portato all’ennesimo pronunciamento è quello di alcuni manager che hanno effettuato delle cessioni d’azienda infragruppo al fine di ostacolare la riscossione della Tarsu

Tassa governativa cellulari: è legittima!

 Si discute della tassa governativa sui cellulari da oltre vent’anni. La prima norma che ha legiferato in proposito è stato il Dm 33/1990, vale a dire il Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione. L’ultimo pronunciamento sulla questione è arrivato dalla Suprema Corte pochi giorni fa per ribadire che la tassa governativa sugli abbonamenti dei cellulari è legittima.

La sentenza è la numero 23052 ed è stata registrata il 14 dicembre scorso. La Suprema Corte ha praticamente fatto qualcosa di “rivoluzionario” nel senso che ha ribaltato completamente il pronunciamento precedente spiegando che

“L’attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime autorizzatorio da parte della pubblica amministrazione, con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio. Tale permanente regime autorizzatorio, pur contrassegnato da maggiori spazi di libertà rispetto al passato, giustifica il mantenimento della tassa di concessione governativa.”

Tutto nasce dalla richiesta inoltrata da parte di alcuni Comuni che fino a questo momento avevano anche ottenuto delle sentenze favorevoli, riguardo la richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari. 

La Cassazione ha rigettato così le istanze di rimborso e si è messa dalla parte dell’Amministrazione finanziaria.

Compensi agli amministratori: la normativa

 Siamo all’inizio di un nuovo anno d’imposta e c’è da tirare le somme su diverse questioni al fine di arrivare economicamente preparati alla dichiarazione dei redditi. Una risoluzione molto interessante dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 31 dicembre scorso, spiega come trattare i compensi degli amministratori.

Una Srl che paghi al liquidatore-socio l’attività da lui svolta, può dedurre dal reddito gli importi versati che invece dovranno essere usati per la determinazione del reddito imponibile di chi li riceve. Il senso della risoluzione n. 113/E è questo.

Anche in questo caso la risoluzione è servita a chiarire una situazione, una domanda posta da una società in liquidazione volontaria in un interpello. Questa società, infatti, aveva dato al proprio liquidatore un compenso e chiedeva se poteva applicare la norma prevista dall’articolo 60 del TUIR che prevede l’indeducibilità delle somme erogate e l’inutilizzo delle stesse per la determinazione del reddito complessivo del socio-liquidatore.

L’Agenzia ha spiegato che c’è differenza, a livello fiscale, tra i compensi che sono erogati ad un imprenditore individuale e quello che succede invece agli amministratori delle Snc, delle SaS e delle società di capitali. Per gli imprenditori individuali si può far riferimento al TUIR, per i soggetti societari, invece, accade esattamente il contrario.