Draghi pronto a partire

 Le borse crescono grazie a Draghi che ha dichiarato la disponibilità della Banca centrale europea ad intervenire sul mercato per mettere in ordine nel dissesto finanziario del Vecchio Continente. Ma cosa ha detto di preciso Draghi da riuscire ad entusiasmare gli investitori?

Il governatore ha spiegato che i conti pubblici si devono risanare senza opprimere i consumatori e quindi senza insistere sull’aumento delle tasse. Il reddito a disposizione dei cittadini, infatti, è il parametro che deve assolutamente crescere.

Mario Draghi ha ribadito che la BCE è stata sempre presente in Europa per tamponare la crisi, per rispondere alle esigenze crescenti della popolazione e degli Stati membri. Il suo obiettivo costante è stata la difesa della stabilità politica ed economica, nonché dell’unione monetaria.

BCE critica sull’atteggiamento tedesco

Evidentemente la crisi è più profonda di quanto si pensasse e gli interventi studiati non sono del tutto efficaci. Infatti Draghi ha ribadito di essere ancora pronto ad intervenire, qualora fosse necessario.

Il prerequisito per il ritorno sul canale della crescita, però, è la collaborazione dei governi che devono riformare il mercato del lavoro e correggere il tiro sulla fiscalità. Le parole di Draghi sono tanto più importanti se si considerano sviluppate dopo il congresso del CDU tedesco che tanto ha fatto pressione sulla Banca centrale europea.

Le borse crescono grazie a Draghi

 Mario Draghi, pur essendo “soltanto” il governatore della Banca Centrale Europea, ha dato una grossa mano con le sue dichiarazioni, all’andamento delle borse principali del Vecchio Continente. Ma cosa è successo ai listini di tutto il mondo?

Il primo dato di cui tenere conto è sicuramente il timore per la scarsità di liquidità della banca centrale cinese. La notizia, circolata già nei giorni scorsi, ha oppresso in modo pesante la borsa di Tokyo che infatti ha chiuso le contrattazioni in terreno negativo.

BCE critica sull’atteggiamento tedesco

In Europa, invece, l’effetto Draghi, la rassicurazione arrivata dall’Eurotower, è stato provvidenziale. Il governatore della BCE infatti, si è detto pronto ad intervenire sul mercato e questa dichiarazione d’intenti ha immediatamente alleggerito la pressione sul debito italiano legata al problema “derivati”.

Di che si discute tra BCE e Germania

Lo spread tra Bund e BTP si è mantenuto al di sotto della soglia dei 300 punti e il rendimento dei titoli a sei anni è salito fino ai livelli massimi registrati da febbraio ad oggi. Piazza Affari si muove comunque in rialzo de 2 per cento e a tenere testa, stavolta, sono i titoli bancari.

Importante per i listini, soprattutto per quelli Oltreoceano, i dati riferiti al PIL americano che, nonostante l’ottimismo dei mesi scorsi, appare molto ridimensionato. Gli Stati Uniti, infatti, cresceranno solo dell’1,8 per cento.

 

La Cina condiziona gli scambi

 Le borse europee, dopo aver perso terreno la settimana scorsa, adesso si trovano a recuperare qualche punto percentuali negli scambi anche se la situazione varia da est ad ovest. Per esempio, in Asia, ancora una volta, prevale il timore per le condizioni dell’economia cinese che ha dimostrato di avere una forte crisi di liquidità.

In Brasile si teme il crollo economico

Le aste dei titoli spagnoli e italiani, reagiscono negativamente alle notizie che arrivano dalla cina e c’è stato, infatti, un aumento dei rendimenti richieste dagli investitori. Soltanto per i tassi dei Ctz si parla di aumento del 50 per cento rispetto al mese di maggio.

Il credit crunch cinese non piace all’Europa

Per completare la carrellata molto generica, dovremmo considerare anche quel che sta succedendo negli Stati Uniti dove c’è soddisfazione per la decisione della Fed, che adesso sembra definitiva, riguardo la politica valutaria accomodante da mantenere ancora fino alla fine dell’anno e sicuramente anche nella prima parte del 2014.

I mercati del Vecchio Continente, ad ogni modo, sono sembrati i più reattivi, decisi a non farsi condizionare da quel che sta succedendo in Cina. Per questo si è profilato un mercato a due velocità. L’Asia e l’America sottoposte all’apprensione degli investitori e l’Europa, al contrario, marginalmente toccata da quel che accade nel resto del mondo finanziario.

L’Ifo tedesco non pompa le borse

 All’inizio della settimana di contrattazioni, le maggiori borse europee si sono dimostrate in calo e a niente è servito pubblicare i dati sull’Ifo tedesco che hanno dato respiro e fiducia agli investitori.

Sicuramente a capitalizzare l’attenzione c’è stata la borsa di Tokyo dove l’indice Nikkei e lo yen sono risultati in calo dopo la presa di coscienza di un’altra vittoria del partito conservatore del premier Abe. In effetti, per il futuro prossimo, il Giappone affronterà la crisi con le stesse tecniche adottate fino a questo momento. In realtà a livello di prodotto interno lordo ci sono stati degli interessanti miglioramenti.

Vince Abe e cala lo yen

Ma passiamo un attimo a considerare quello che è accaduto di riflesso in Europa dove il differenziale tra Bund e BTp, il celeberrimo Spread, ha ripreso a crescere tanto che i nostri titoli di stato, nell’ultima asta di giovedì scorso, hanno offerto un rendimento del 4,8 per cento. Ad influire sul sentiment degli investitori del Vecchio Continente è intervenuta anche la Federal Reserve.

Di nuovo in salita la fiducia dei consumatori

La settimana di contrattazioni, infatti, si è aperta con la presa di coscienza che la Fed abbandonerà presto il programma di stimoli all’economia a stelle e strisce. A piazza Affari, nello specifico, perdono terreno soprattutto i titoli energetici, ma sembra ormai evidente che il titolo maggiormente sotto stress sia stato quello Mediaset, per via delle evoluzioni del processo Ruby.

 

Interpretare il falso rimbalzo di Piazza Affari

 Piazza Affari ha concluso la scorsa settimana in modo anomalo, o comunque in contraddizione rispetto alle “migliori” previsioni. Gli analisti, infatti si aspettavano un rimbalzo dei listini tricolore mentre i timori legati alla situazione greca hanno fatto sprofondare anche gli indici milanesi.

Gli Aiuti greci sono a rischio per via del FMI che ha deciso di bloccare l’erogazione di fondi a favore di Atene per il mese di luglio visto che non sono state effettuate le privatizzazioni concordate con il governo greco. Una volta data in pasto ai mercati tale notizia, le borse europee sono crollate. Siamo a giovedì della scorsa settimana. Ci si aspettava però un rimbalzo delle quotazioni il venerdì, invece il crollo è stato così pensate che recuperare terreno è stato impossibile.

Le borse europee, infatti, giovedì, avevano bruciato 230 miliardi di euro. Un crollo legato sia all’annuncio del FMI relativo agli aiuti greci, sia alla decisione della FEd di ridurre gli stimoli all’economia americana a partire da settembre. I mercati hanno reagito spaventandosi a queste due variabili. In pratica più che interpretare anche la mossa della Fed nell’ottima della solidità della ripresa economica, tutto è stato considerato come una batosta al sistema economico e finanziario globale.

La ciliegina sulla torta è il credit crunch cinese che non piace all’Europa.

Perché Huawei vuole la Nokia

 La compagnia finlandese di telefonia Nokia, per una serie di vicende societarie, è arrivata alla crisi ed ora sembra che l’unico modo per venirne fuori sia la vendita della società. In realtà, una volta sul mercato, la Nokia sarebbe da interpretare come un’opportunità piuttosto che come un’azienda in crisi.

L’hitech fa crescere l’Asia

In effetti il know how della Nokia è tale che se combinato in modo opportuno con altre aziende operanti nel comparto tecnologico, potrebbe arrivare alla sfida ad armi pari con altri colossi come Apple e Samsung. La vede proprio così il gruppo cinese Huawei che vorrebbe acquistare la società finlandese.

E questa non è soltanto un’indiscrezione visto che a parlare dell’argomento è il presidente della divisione business consumer di Huawei ai microfoni del Financial Times. Una fusione tecnologica, piuttosto che soltanto finanziaria e amministrativa, potrebbe portare la società cinese acquirente in posizione di leadership nel mercato degli smartphone.

Samsung promette di fare scintille

Sarebbe una notizia incredibile soprattutto se si considera che Apple sta per lanciare il nuovo iPhone e che Samsung sta cercando un accordo con Facebook per la fornitura di servizi ad hoc. La dichiarazione ufficiale, però, non lascia intravedere altro, nel senso che non ci sono ancora offerte economiche ufficiali già pronte sulle scrivanie della dirigenza finlandese.

 

Dole in vendita ed ecco l’offerta

 David Murdock ha 90 anni ed è uno degli imprenditori più importanti del mondo. In questo momento detiene il 40 per cento delle azioni della Dole Food Company ed è un riferimento per tutti coloro che vogliono lanciarsi nel business della produzione di frutta e verdura.

Grazie alla Pasqua la ripresa dei consumi

L’amministratore delegato della Dole Food Company, di recente, ha deciso di fare un’offerta per acquistare il 60 per cento delle azioni della società e raggiungere così il possesso pieno di questa realtà produttiva. Questa offerta d’acquisto è stata valutata dal New York Stock Exchange di New York in ben 1,5 miliardi dollari.

Bernanke parla della ripresa dell’America

Per Wall Street, questa è la notizia della settimana. La Dole, infatti, è un’azienda molto antica. La sua nascita risale al 1851 quando ci fu una collaborazione proficua tra la Castle&Cooke e la Hawaiian Pinapple Company che all’epoca apparteneva a James Sole.

Una volta creata, l’azienda, in pochissimo tempo, è diventata una delle più importanti produttrici di ananas anche se il suo settore d’intervento non era soltanto l’alimentare, poiché lavorava anche nei trasporti, nella produzione e nell’imballaggio, in particolare nella produzione di zucchero e nell’imballaggio dei frutti i mare.

Con le agevolazioni doganali sulla vendita dei prodotti agricoli, l’azienda ha iniziato a fare fortuna. Nel 2012, il fatturato di quella che poi è diventata la Dole Food Company, è stato di 4,2 miliardi di dollari.

Google leader dell’adv mobile

 Il Regno Unito se la prende con Google eppure l’azienda di Mountain View resta leader nel settore degli investimi pubblicitari mobile. Per quanto riguarda la pubblicità online, invece, mantiene una posizione di spicco ma non supera di molto il 30 per cento della raccolta. Vediamo alcune notizie che, dopo quelle riferite all’elusione fiscale di Mountain View, possono influire sul comportamento degli investitori.

Il mercato della pubblicità dedicata ai dispositivi mobile è condizionato o meglio è tenuto in piedi da Google che può vantarsi di una raccolta di 4,6 miliardi di dollari. Si tratta del 52 per cento della raccolta totale. Nell’online non va altrettanto bene ma si conferma leader, visto che si aggiudica il 33,2 per cento della raccolta.

Google leader dell’adv mobile

Dopo Google si posizionano Facebook e Yahoo nell’online, rispettivamente con il 5 e con il 3,1 per cento della raccolta. Insomma, Mountain View ha costruito in questi anni un vero e proprio impero e riesce a catalizzare più della metà degli 8,8 miliardi di dollari investiti nelle inserzioni pubblicitarie mobile. Il riferimento numerico è chiaramente al 2012, anche perché per l’anno in corso i risultati dovrebbero addirittura migliorare.

La quota di raccolta pubblicitaria online ad ogni livello, dal 2012 al 2013, nel caso di Google, salirà dal 31,5 al 33,2 per cento. Secondo e terzo posto resteranno nelle mani di Facebook e Yahoo, mentre al quarto posto si posiziona Microsoft con l’1,8 per cento delle pubblicità.

Il Regno Unito se la prende con Google

 Se fino a qualche tempo fa le industrie tecnologiche erano considerate il galleggiante dei mercati finanziari, adesso anche il comparto ICT deve fare i conti con la crisi, a tutti i livelli. Anche aziende grandi come Google sono bersagliate su più fronti. Sembra quasi che le condizioni di disparità alimentate negli anni, debbano essere limate per ricominciare a crescere.

Le Google elusioni e il capitalismo responsabile

Google, ad esempio, è stata messa sotto la lente d’ingrandimento dalle autorità britanniche. Il Regno Unito, infatti, accusa l’azienda di Mountain View di elusione fiscale. Sembra che Google, tra il 2006 e il 2011 abbia incassato qualcosa come 18 miliardi di dollari ma abbia pagato soltanto le tasse su 16 milioni per via della residenza stabilita in Irlanda.

L’accusa britannica ha comportato una risposta subitanea del management di Google che ha ribadito di aver rispettato tutte le leggi inglesi. In realtà, avendo sede in Irlanda, sembra abbiano pagato molte meno tasse. Il Public Accounts Committee, dunque, parla di evasione fiscale intraprendente.

Youtube lancia i servizi a pagamento

Anche chi in qualche modo vuole difendere Mountain View, non può evitare di notare che i motivi del trasferimento in Irlanda addotti da BigG sono molto poco convincenti. Come se non bastasse, alcuni ex dipendenti di Google hanno spiegato che il personale inglese è stato impiegato proprio nelle vendite, il settore che avrebbe convinto il management a spostarsi. C’è da credere dunque che questa vicenda interferisca con la credibilità di Google sui mercati?