Apple lascia lo scettro ad Exxon

Apple è stata regina della borsa di New York per tanti mesi e per diversi anni, da quando i titoli tecnologici hanno conquistato Wall Street e i prodotti dell’azienda di Cupertino hanno convinto generando non un circolo di consumatori ma un vero e proprio club di adepti.

Adesso gli eredi di Steve Jobs non sembrano all’altezza della popolarità del titolo e la chiusura degli scambi di venerdì ha evidenziato questa carenza.

La borsa americana, in generale, ha chiuso con una performance così positiva che non si ricordava un entusiasmo del genere dal 2004. La striscia positiva è stata accompagnata anche da una serie di segnali positivi che sono arrivai dalla politica, il Congresso, infatti, ha deciso che della variazione del tetto del debito si parlerà soltanto da maggio in poi.
Insomma, a Wall Street si respira un entusiasmo fuori dalle righe, un armoniosa crescita dell’indice sintetico e dei maggiori titoli.

 Crollo di Apple in Borsa

 

L’unica nota stonata in questo panorama è rappresentata allora dalla Apple che invece ha messo a segno un’altra giornata negativa. Non tanto per la presentazione dei dati trimestrali, perché lì si parla di crescita, quanto piuttosto per la delusione delle aspettative degli investitori, che in questi anni si erano abituati a ben altri incrementi del valore del titolo.

 Apple vende meno iPhone

Oggi, per esempio, un’azione Apple vale soltanto 514 dollari. Lo scettro di regina di Wall Street è stato dunque lasciato alla Exxon che dimostra quanto il petrolio sia ancora al centro degli interessi degli investitori di tutto il mondo.

 Petrolio, acciaio e caffè: i trend di fine anno

Twitter vale 9 miliardi di dollari

 Twitter sta crescendo molto, quasi una crescita esponenziale, della quale l’arrivo in borsa sarà il naturale sfogo. Molti si preoccupano del fatto che Twitter possa seguire le orme di Facebook ed arrivare a Wall Street soltanto per fare un tonfo del tutto disatteso.

 Twitter, forse, cinguetterà in Borsa

Il ritmo di crescita di Twitter è l’elemento più significativo della marcia del fringuello. Ogni secondo si registrano 12,7 nuovi utenti e dall’inizio del 2012 si è andati sicuramente oltre i 500 milioni di account.

 Twitter prepara il terreno per l’ipo

È stato da queste considerazioni che è partita la società d’investimenti BlackRock per spiegare che oggi Twitter vale almeno 9 miliardi di dollari. Il fondo ha addirittura pensato di fare un po’ come aveva fatto Facebook, lanciando un’offerta di 80 milioni di dollari per comprare le azioni dei dai dipendenti. Anche il social network blu, infatti, aveva voluto che i dipendenti dell’azienda fossero anche i primi soci.

Forse sarà proprio questa mossa a far salire le quotazioni di Twitter oltre i 9 miliari di dollari, che sono anche il 10 per cento in più dell’ultima raccolta fondi effettuata dalla società che risale al terzo trimestre del 2011.

Ma quando arriverà il debutto in borsa di Twitter? Alcune voci di corridoio parlando di una presentazione dei documenti presso l’Initial public offering, alla fine del 2013 o anche all’inizo del 2014.

Per la questione Antonveneta si sospettano le tangenti

 La crisi di MPS spiegata in quattro punti non è sufficiente ad entrare nella profondità della questione Antonveneta perché l’ipotesi, allarmante dal punto di vista finanziario, è che ci siano di mezzo delle tangenti.

Tutto quel che c’è da comprendere è il sistema Mussari che ha dato origine alla valanga MPS. Nel 2007, infatti, ci sarebbe stato un versamento di circa 2 miliardi di euro su un conto in una banca di Londra. L’entità del “bonifico” non sarebbe altro che un sovrapprezzo per l’acquisto di Antonveneta, usato per oliare gli ingranaggi della politica. Insomma il costo delle tangenti pagate dal management del Monte dei Paschi.

 Scandalo Mps nel giorno dell’incontro con il Fmi

Nel 2007, il MPS di Mussari ha comprato la banca Antonveneta dal Banco Santander che era pronto a chiudere l’affare per 7 miliardi di euro, ma il management italiano ci ha tenuto ad offrirne di più: 9 miliardi di euro versati in due tranche e su due conti diversi, uno del banco Santander su cui sono finiti 7 miliardi e il famoso conto londinese.

 Cosa pensa la politica dell’affare MPS

Quei soldi “inglesi”, poi, attraverso una serie di scudi fiscali, sarebbero in parte rientrati nel nostro paese. I PM della Procura di Siena stanno indagando insieme alla polizia valutaria di Roma su queste ipotesi e se fossero confermate alcune piste, ci sarebbe la conferma che oltre a Mussari sono molti gli uomini coinvolti in questa truffa.

La crisi di MPS spiegata in quattro punti

Cosa pensa la politica dell’affare MPS. Adesso non resta che provare a dare una spiegazione della crisi di questo importante istituto di credito.

La prima causa del crollo del titolo è sicuramente legata ai contratti derivati che sono stati celati a Bankitalia. Il potenziale speculativo di questi titoli è molto elevato ma può determinare la crisi del sistema Monte dei Paschi e del sistema finanziario nazionale.

La seconda causa dei problemi del Monte dei Paschi è sicuramente l’entità delle perdite che arrivano a pensare per 6,2 miliardi di euro. Una cifra esorbitante che è stata “accumulata” dal 2011 in poi.

La terza causa dei problemi del Monte dei Paschi, secondo molti, è da rintracciare nel legame che il management della banca ha con i vertici della politica nostrana. Basta pensare al fatto che i dirigenti MPS sono di nomina politica.

Il quarto ed ultimo elemento che può spiegare la crisi dell’istituto di credito senese è l’entità della fusione con la banca Antonveneta, acquistata per 9 miliardi di euro, contro i 6 miliardi di euro pagati dal Banco Santander.

La fortuna di Ikea non ha eredi

 Il fondatore di Ikea è stato un genio nella scelta della linea di prodotti vincenti, nella scelta del modello che ha convinto numerosi consumatori in tutto il mondo. L’azienda, partita nel 1943 è oggi leader mondiale nel settore dell’arredamento e le prospettive per il futuro sono senza precedenti. Eppure, in tutta questa storia c’è un neo: the king of Ikea non ha successori.

Ingvar Kamprad ha tre figli e 86 anni. Non è certo un giovanotto ma finora le redini dell’azienda restano nelle sue mani.

C’è stato soltanto un passaggio di consegne, con la definizione del ruolo di amministratore delegato e presidente a Mikael Ohlson. Kamprad ha conservato per sé il ruolo di consigliere e guida delle varie fondazioni create a corredo dell’attività aziendale.

La questione ereditaria si è fatta più urgente non tanto per le condizioni di salute del fondatore, ma per il fatto che tra le mani del fortunato vincitore dell’eredità Ikea ci finisce davvero un pozzo senza fondo di ricchezze.

Basta considerare quello che Ikea ha saputo fare in un anno considerato di crisi, il 2012: le vendite sono cresciute del 9,5 per cento fino a raggiungere un volume di 27 miliardi di euro e l’obiettivo per il 2020 è di raddoppiarle completamente.

Otto motivi per investire nelle azioni Tod’s

 Parlando dell’andamento generale della borsa italiana, abbiamo menzionato alcuni casi di eccellenza come Tod’s rimarcando il ruolo di primo piano che hanno le aziende tricolore del lusso nel parterre finanziario nazionale.

 Il lusso tira anche con i super yatch

Adesso un report stilato dal settore investimenti di Citigroup ha addirittura enucleato 8 buoni motivi per investire nelle azioni Tod’s, attualmente cresciute al di sopra della quota di 100 euro. Le buone sensazioni di Citigroup si sono immediatamente trasformate in un incremento del target price delle azioni da 105 a 116 euro.

 Ferragamo e Tod’s trascinano in alto le borse

Il primo buon motivo per investire in Tod’s è sicuramente legato alla tenuta del titolo in Asia e negli Stati Uniti, territori in cui è raccolto il 40% dei ricavi dell’azienda. Al secondo posto c’è tutta la crescita del retail, a seguire la razionalizzazione del sistema di distribuzione e vendita italiano. Il quarto buon motivo per dare credito a Della Valle è nella sua visione strategica del mercato. Da aggiungere che l’azienda ha un fortissimo potenziale ed è a posto con il fisco.

Infine resta da considerare che ci sono dei buoni precursori sul mercato. Per esempio Tod’s è considerato un target di acquisizione come tanti anni fa lo era stato Bulgari, benché le dichiarazioni di indipendenza siano maggiori in Tod’s. visto che espressioni del genere alimentano l’idea che ci sia ancora qualcosa da nascondere nei bilanci del Belpaese e questa convinzione, sui mercati internazionali, non fa certo guadagnare terreno al nostro paese.

Il ministro dell’economia Vittorio Grilli, invece, per sedare gli animi di chi ci vuole vedere chiaro fino in fondo, ha detto di essere pronto a riferire in Parlamento.

Anche in crisi il mercato del calcio frutta alle squadre

 Deloitte ha pubblicato la sedicesima edizione del report “Football Money League” per capire in che condizioni versa il mercato calcistico in un periodo di crisi per i maggiori comparti produttivi nazionali e internazionali.

Diminuiscono aziende in perdita

Il primo dato interessante è che i ricavi delle 20 migliori squadre d’Europa, nella stagione 2011/2012, sono cresciuti del 10 per cento ed oggi si parla di un giro d’affari di 4,8 miliardi di euro. Praticamente cifre da capogiro.

Il secondo dato, sempre riferito alla Top20, indica che in questi 20 club si concentrano il 20% dei ricavi dell’industria europea del calcio, ecco perchè c’è tanta attenzione sulle varie selezioni.

 Calciatori meno tassati in Italia

La squadra migliore, in termini di ricavi e quindi di gestione del denaro e dei profitti, resta il Real Madrid che ha superato i 500 milioni di euro di ricavi in un anno.

 L’IRAP milionaria sul calciomercato

Mentre, tra le altre squadre, spicca la performance del Manchester City. La squadra inglese, entra per la prima volta nella Top10 grazie ad un boom del 68%. Se poi si volge lo sguardo al campionato italiano, si apprende con soddisfazione che nella Top10 è rientrata la Juventus ma ancora più soddisfacente è il miglioramento del Napoli salito dalla ventesima alla quindicesima posizione.

Anche il mago dei panini rallenta la sua corsa

 McDonald’s, fin dall’inizio della carriera aziendale, è stato associato ad un’idea di capitalismo imperante, ma adesso anche il mago dei panini, colui che ha saputo rendere celebre l’europeissimo hamburger, è costretto a fare i conti con la crisi.

Nei periodi d’oro del mercato, McDonald’s non contava nemmeno più i pasti distribuiti, mentre oggi si torna a fare qualche calcolo, scoprendo che il tetto dei 300 miliardi di pasti distribuiti fino al 2013, altro non è se non l’emblema del rallentamento dell’industria.

 Arrivano le prime assunzioni Mc Donald’s

McDonald’s, come chiosco ambulante per la distribuzione dei panini, è attivo dal lontano 1937, quando l’inventore del panino che sarà poi famoso in tutto il mondo, faceva fortuna in California vendendo hot dog.

 Sindacati contro McDonald’s

Il periodo d’oro dell’azienda è stato alla metà degli anni Novanta quando del successo della strategie di McDonald’s parlò anche il Wall Street Journal. Le statistiche parlano di 247 miliardi di pasti distribuiti nel 2010 che sarebbero dovuti arrivare a 300 miliardi entro il 2013. Una cifra emblematica che non aveva fatto i conti con la crisi. Oggi anche McDonald’s deve sfidare il calo delle vendite.

Un pensiero in più per chi guida l’azienda, ma la preoccupazione non è condivida dagli investitori che hanno ancora fiducia nel titolo. Così le azioni McDonald’s, restano invariate a quota 1,33 dollari ciascuna.

► Vola McDonald’s all’inizio della settimana

Monte dei Paschi crolla ma non trascina Piazza Affari

 Dopo le dimissioni di Mussari è iniziato il dibattito sulla situazione del sistema creditizio italiano, visto che nel nostro paese ci sono i commissari del Fondo monetario internazionale per sottoporre le banche tricolore ad un vero stress test.

 MPS zavorrata dalla questione derivati

Il buco aperto dal presidente dimissionario dell’ABI nelle casse dell’istituto di credito senese, potrebbe inaugurare una nuova stretta creditizia nostrana ma l’eventualità non sconvolge più di tanto Piazza Affari.

Nel giorno in cui Wall Street è debole con il Dow Jones al +0,4%, il Nasdaq al -0,74% e lo S&P 500 al +0,1%, e nel giorno del tonfo di Apple con una perdita del 12,36% del valore delle azioni, Milano fa registrare un ottimo +1,01%.

 Cosa succede adesso ai mutui e prestiti MPS

La Borsa di Milano brilla anche rispetto alle consorelle europee dove la migliore performance se l’aggiudica Londra con una crescita dell’1,09%, seguita da Parigi, (+0,70%), Madrid (+0,61%) e Francoforte (+0,53%).

 Quanti soldi in fumo per il Monte dei Paschi

Il rally dei titoli bancari non mette a soqquadro la borsa italiana dove perde sicuramente terreno il titolo MPS che, sospeso per eccesso di ribasso, a fine giornata ha letteralmente polverizzato 267 milioni di euro. La borsa italiana – in generale – non soffre più di tanto le novità del panorama finanziario.

La lotta all’evasione colpisce la tecnologia

 Da una parte troviamo i governi e gli organismi internazionali pronti a lottare contro l’evasione fiscale mettendo in campo strumenti molto interessanti per scovare chi è più di ricco di quanto dovesse essere. Dall’altra parte ci sono le imprese che da sempre si occupano di tecnologia e negli ultimi anni, nel pieno della crisi, hanno tenuto a galla il mercato.

Ocse e fisco, prese di mira Google e Apple

Questi due mondi a volte s’incontrano e fanno scintille ed è questo il caso di Apple e Google che rischiano di veder precipitare il loro titolo in borsa. Cos’è successo? Tutto parte dall’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che ha deciso di smascherare tutte le aziende multinazionali che hanno architettato degli stratagemmi per non pagare le tasse nei loro paesi.

La strategia più diffusa è la cosiddetta “ottimizzazione fiscale” che consiste nella creazione e nel trasferimento di denaro in una serie di imprese che hanno la sede nei paesi considerati paradisi fiscali. L’aumento profitti Google 2012 si deve anche all’adozione di questa strategia, almeno in Europa riesce a pagare soltanto il 4% d’imposte. Ma il gigante della ricerca non è solo, visto che si avvalgono delle stesse proprietà “evasorie” anche Apple ed Amazon.

Adesso la volontà è quella di cambiare ed adottare delle regole valide a livello internazionale così da tassare sempre e dovunque i profitti delle aziende.