Wall Street teme la stretta cinese

 A rallentare non è più soltanto la Cina ma anche i paesi emergenti tra cui spicca il Brasile. Questo paese del Sudamerica, oggi teatro della Confederations Cup ha accolto la protesta della popolazione contro la scelte del governo che spenderà moltissimi soldi per finanziare la competizione sportiva in corso e poi anche i mondiali di calcio del prossimo anno.

A Krugman non piace l’atteggiamento della FED

Eppure le economie globali non dipendono tanto dai paesi emergenti quanto piuttosto dalla Cina che con il suo rallentamento annunciato ormai dieci giorni fa, sta tenendo con il fiato sospeso le maggiori borse su scala planetaria.

Wall Street è l’esempio lampante dell’interdipendenza delle borse mondiali dall’andamento di quella cinese. Ieri, infatti, le contrattazioni americane si sono chiuse in terreno negativo. L’indice azionario di riferimento, lo S&P 500 ha chiuso la giornata con una flessione dell’1,2 per cento sfiorando i 1.573,09 punti che sono il punto più basso mai toccato da due mesi a questa parte.

La Cina condiziona gli scambi

In flessione anche il Dow Jones che ha perso ben lo 0,94 per cento ed è arrivato fino a 14.659 punti. Non può mancare certo un riferimento al Nasdaq100 che è arrivato a 2.848,20 punti perdendo l’1,03 per cento. Sicuramente ha influito su questi cali anche la decisione della FED sul Quantitative Easing.

Bibow affronta il rapporto tra euro e Germania

 In un documento molto complesso, elaborato da Jörg Bibow, un professore di economia dello Skidmore College ma anche ricercatore al Levy Economics Institute, si spiega il trilemma dell’euro che attanaglia la Germania. Da tempo, da quando l’Europa è in crisi, il tentativo di sciogliere il nodo del rapporto tra la moneta unica e le economie solide come quella tedesca, è il pallino di tutti gli analisti.

La Cina condiziona gli scambi

Il primo punto da considerare in questo rapporto è l’Europa inserita nel contesto globale dell’economia. La situazione finanziaria a livello mondiale, è precaria, soprattutto adesso che si parla del rallentamento dell’economia cinese e della possibile crescita ridotta anche per i paesi emergenti come il Brasile.

In Brasile si teme il crollo economico

Purtroppo l’Europa è diventata una specie di detonatore della crisi economica, in grado di trasmettere instabilità sotto il profilo economico e politico. In realtà questa è una falsa immagine del Vecchio Continente dove le nazioni che fanno parte dell’UE non si mostrano poi così povere.

Quello che è realmente successo in Europa è stato l’incremento del rapporto tra debito e PIL nel boom del biennio 2006-2007, per poi sprofondare nella crisi. E poi arriva la questione tedesca: l’euro ha finito per rendere sempre più forte e importante la Germania che adesso tiene sotto scacco l’economia europea e mondiale spiegando di essere diventata troppo grande per fallire.

In Brasile si teme il crollo economico

 Quando un paese attraversa un momento di crisi o di instabilità, il primo indicatore a farne le spese è sicuramente la moneta. Basta pensare a quello che è successo in Giappone, dove la vittoria alle elezioni dell’Assemblea del partito conservatore del premier Abe, ha determinato un ribasso importante dello yen.

Vince Abe e cala lo yen

Qualcosa di analogo sta succedendo anche in Brasile dove la situazione economica del paese emergente va approfondita. In questo momento, almeno a livello mediatico, le proteste dei cittadini brasiliani stanno avendo un’eco profondo visto che hanno trovato risonanza nelle telecamere della Confederations Cup.

Il Brasile, a livello economico, è in una fase difficile, in parte dovuta anche all’instabilità politica che si traduce in una serie di difficoltà economiche. Il governo guidato da Dilma Rousseff ha sostenuto delle spese che alla popolazione non sono piaciute affatto, in relazione a due eventi sportivi: la Confederations Cup e i Mondiali di calcio del 2014.

Pronta una banca mondiale per gestire l’ascesa

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’aumento dei prezzi dei biglietti del trasporto pubblico che ha portato in piazza la popolazione. Adesso, riguardo questo incremento dei costi, il governo sembra voler fare un passo indietro. Certo è che la crescita esponenziale che s’immaginava propria di un paese emergente, è messa a dura prova.

Dopo il crollo della Cina, questo è un ulteriore segnale della vastità della crisi. Il real brasiliano, di conseguenza, ha perso il 10 per cento del suo valore nei confronti del dollaro. Il Banco do Brasil sta già pensando ad una strategia per evitare la discesa irreparabile della moneta locale.

Vince Abe e cala lo yen

 Questa in corso è l’ottava settimana di performance negative per la borsa di Tokyo che ha iniziato l’ultimo periodo di contrattazioni con un ribasso probabilmente legato alla vittoria elettorale del partito di Shinzo Abe. L’indice Nikkei-225, per esempio, ha dovuto cedere l’1,3 per cento arrivando fino a 13.062 punti.

Le strategie giuste per evitare i rischi

Il calo della borsa giapponese ha fatto il paio con i ribassi dei maggiori listini asiatici. Si pensi soltanto che l’indice Msci Asia Pacific ha fatto registrare i livelli più bassi degli ultimi nove mesi. Molto di questa situazione si deve al risultato delle elezioni per l’assemblea metropolitana di Tokyo che ancora una volta hanno visto il successo del partito conservatore di Shinzo Abe.

Si tratta del partito del premier che fino a questo momento è diventato celebre per la sua politica economica e monetaria di stimolo al Giappone. Si pensa quindi che anche nelle elezioni della Camera Alta del Parlamento che si terranno il mese prossimo, ci saranno risultati analoghi alle urne.

La crescita di Svizzera e Giappone

Il che vuol dire, almeno a livello monetario, che si continuerà con la strategia di svalutazione che è stata portata avanti negli ultimi mesi. L’Abenomics, come la chiamano ormai tutti gli investitori e gli analisti, ha avuto infatti degli effetti ora visibili: ha rilanciato le esportazioni ed ha determinato un incremento del prodotto interno lordo. Lo yen ha subito invece un’altra svalutazione.

I problemi monetari partono dalla BCE

 Gli investitori, in questi ultimi giorni, hanno riposto particolare attenzione alle parole e ai proclami della Federal Reserve degli Stati Uniti. La FED, infatti, ha spiegato di voler interrompere o meglio abbandonare progressivamente il piano di quantitative easing.

Di che si discute tra BCE e Germania

Secondo alcuni analisti del Financial Times, invece, l’attenzione a livello valutario non deve essere posta nelle parole della FED, quanto piuttosto nelle decisioni della BCE che deve intervenire in un’area molto delicata dove le cose, a livello economico, potrebbero mettersi male.

La BCE punta il dito sull’Italia

In più, mentre per quanto riguarda l’area americana, sia i banchieri che i politici sanno dove vogliono arrivare, è chiaro che non c’è una volontà univoca dei politici europei. In fondo, nel Vecchio Continente, non c’è un’immagine normale cui tendere. La Germania, in particolar modo, non vuole sottostare al funzionamento della moneta unica.

Lo stesso Jens Weidmann ha criticato fin dall’inizio il programma OMT portato avanti dalla Banca centrale europea, lo stesso programma che è stato sottoposto al pronunciamento della Corte Europea. Secondo il Financial Times, la BCE, in questo momento non può pensare né cercare di tornare in una condizione di normalità.

D’altronde è necessario che si risani il sistema bancario e che tutto torni a funzionare. Per farlo è importante che la Germania continui ad inviare dei flussi di capitali agli altri stati membri dell’Unione. Un particolare che proprio ai tedeschi non va a genio.

Perché per la Lettonia l’euro è un bene

 La Lettonia ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea e dal gennaio del 2014 sarà il 18esimo paese ad entrare a far parte della zona euro. Un passo decisivo e radicale, motivato dal fatto che il paese ha voglia di togliersi di dosso l’immagine di paese “povero”.

La Lettonia sempre più vicina all’euro

Secondo il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis l’entrata nell’euro sarà sicuramente di stimolo alla crescita economica del suo paese. L’opinione del management politico è radicalmente differente da quella della popolazione che non è sicura di voler entrare nello spazio economico del Vecchio Continente.

Il 35% degli intervistati rappresenta l’esiguo zoccolo duro del movimento pro-euro. Al contrario coloro che sono pronti ad opporsi a questa scelta del paese, sono in continuo aumento. Alle ultime elezioni locali hanno addirittura dimostrato di crescere vistosamente.

L’austerity blocca il PIL americano

Per capire se si tratta della scelta giusta è stata tirata in ballo la teoria economica dell’area monetaria ottimale, ovvero di quel territorio dove i vantaggi e gli svantaggi di aderire ad un medesimo sistema monetario si bilanciano.

La teoria delle aree valutarie ottimali è del 1961 e parte da una teoria “generale” ovvero che un paese che fa parte di un mercato monetario ha il vantaggio di ridurre i costi del commercio ma ha lo svantaggio di non poter gestire gli shock esterni.

Il franco svizzero presto in calo

 Il franco svizzero si è configurato da tempo come una valuta di rifugio per gli investitori intenzionati a trovare una via di scampo meno costosa dell’oro. Il franco svizzero, anche per effetto dell’andamento degli indici giapponesi, ha finito per ritornare ad apprezzarsi con grande dispiacere della popolazione locale. Il trend rialzista, però, sembra essere momentaneo.

Le direttrici del mercato 2013 individuate da JP Morgan

Il franco svizzero, proprio in questi ultimi giorni, è tornato a crescere nonostante nelle ultime settimana avesse accumulato delle interessanti perdite. Il declino della valuta elvetica era iniziato dai ribassi dei titoli quotati nel mercato giapponese. Il crollo di Tokyo, legato all’aumento dell’instabilità finanziaria, ha indotto molto investitori a liquidare le posizioni di carry trading rispetto alle valute rifugio.

Integrazione e fallimento dell’euro per Saxo Bank

La conseguenza immediata di questi atteggiamenti è stato un rialzo dello yen e del franco svizzero. Questa volontà di allontanarsi dal rischio, però, potrebbe essere momentanea. Almeno questo è il sentiment dei ricercatori dell’Unicredit Research, i quali si aspettano di vedere di nuovo il franco in ascesa dopo la riunione della Swiss National Bank a metà di questa settimana. In quell’occasione i vertici della Confederazione ribadiranno che il valore del franco è troppo alto e spingeranno per aumentare il peg di 1,20 sul tasso di cambio tra l’euro e la valuta elvetica.

Da un centesimo a 6600 euro

 Investire nel forex è una pratica comune per chi desidera far fruttare in modo semplice ed immediato i guadagni che ha messo da parte. Ultimamente si è parlato tantissimo dell’euro visto che a livello comunitario è stato stabilito che non saranno più messe in circolazione la banconote di grosso taglio e quelle di piccolissimo taglio.

A livello monetario saranno eliminati i 500 euro

Il fatto di voler eliminare le banconote da 500 euro si lega all’uso che di queste monete fa la criminalità organizzata. La decisione infatti, riguarda sia l’euro, sia il dollaro e le altre monete più frequenti. L’abolizione delle monete piccolissime, quindi da uno e due centesimi, invece, nasce da una volontà antinflazionistica e dalla considerazione che il prezzo di produzione è superiore al valore di scambio.

Eppure sull’inutilità delle monete piccolissime ci sarebbe da discutere a lungo visto che ci sono alcuni pezzi da un centesimo scambiati anche per 6.600 euro. Com’è possibile? Roba da collezionisti? Esattamente!

Abbandonate le monete di piccolo taglio

Bolaffi ha messo all’asta delle monete da 1 centesimo e la base di partenza era di 2500 euro ma un collezionista italiano è riuscito a rilanciare fino al prezzo record indicato. E’ chiaro adesso che chi ha tra le mani monete da un centesimo, farà fatica a liberarsene.

In realtà la moneta andata all’asta, di particolare, aveva l’incisione della Mole Antonelliana sul retro, l’immagine generalmente presente sulle monete da due centesimi.

Sale lo yen e crolla la borsa di Tokyo

 Lo yen, sottoposto ad una svalutazione forzata al fine di ritrovare la competitività sul mercato internazionale, adesso ha intrapreso un nuovo cammino al rialzo. La crescita della valuta giapponese, però, non fa bene ai mercati, o meglio non è considerato un buon trend della borsa di Tokyo che perde terreno. Il Nikkey, per esempio, accusa un nuovo calo superiore al 6 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il Nikkei ha perso quota e allo stesso tempo ad aggravare la situazione contribuisce l’apprezzamento dello yen che guadagna sia sull’euro, sia sul dollaro. I mercati europei, non tanto per reazione alla valuta giapponese, continuano il loro trend rosso e l’unica piazza a tenere è addirittura quella di Milano.

Tokyo, dunque, non ha di che gioire: a livello internazionale i problemi legati alla crescita economica sono ancora troppi. Di recente, poi, la Banca Mondiale ha spiegato che le stime di crescita globali vanno riviste al ribasso e ha messo paura agli investitori, preoccupati soprattutto della contromossa che ha in cantiere la Fed.

Il PIL giapponese cresce più del previsto

Il bilancio di questo periodo un po’ turbolento per il settore valutario e per quello finanziario è molto grave: sono stati mandati in fumo ben 2500 miliardi di capitalizzazione globale.

Oltre alla chiave di svolta della Fed resta da capire come si muoveranno le istituzioni giapponesi.

La Germania contro l’euro ha effetto sulle borse

 La Germania è considerata croce e delizia del Vecchio Continente. Di fatto, adesso che ha perso anche il suo storico avversario economico, la Francia, resta l’unico pilastro portante dell’economia europea. Questo non vuol dire che tutti siano pronti ad omaggiare le industrie e la politica tedesche. Per esempio, tanti analisti, davanti alla crisi imperante, si chiedono se non sia più opportuno che sia proprio la Germania a lasciare la moneta unica.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

Il rapporto tra la valuta comunitaria e il paese più florido del Vecchio Continente, tra l’altro, non è idilliaco, infatti il management tedesco ha coinvolto la Corte costituzionale tedesca nel giudizio relativo al programma d’acquisti e alla politica monetaria della BCE di Mario Draghi. 

La Germania contro l’euro

I tedeschi hanno da sempre sospettato che il presidente dell’Eurotower, italiano, prendesse delle decisioni che vanno a favore dello Stivale e della Spagna, ma adesso vogliono un pronunciamento ufficiale contro il piano OMT della BCE. Gli acquisti illimitati di titoli di stato dei paesi periferici devono cambiare un po’ perché a rischiare c’è soprattutto l’euro. Questo, almeno, è il parere della Germania.

La paura che l’euro sia arrivato al capolinea, però, non lascia indifferenti i mercati finanziari che perdono qualcosa, soffrono in un clima d’incertezza sovranazionale. Londra e Francoforte, per esempio, cedono l’1 per cento e Parigi stessa arretra dell1,4 per cento. Scende ancora di più Piazza Affari, in calo dell’1,6 per cento.