Quanto vale il royal baby

 E’ nato dopo un lungo travaglio reale (in tutti i sensi) e mediatico, il Royal Baby, il figlio di William e Kate. Tutto il mondo è stato con il fiato sospeso e alla fine si è scoperto che l’erede al trono di San Giacomo è un maschietto.

Ma cosa vuol dire per l’Inghilterra, presa da una sana euforia, l’arrivo di questo bambino? Sicuramente s’intravede un ottimo business all’orizzonte tanto che la notizia  è stata riportata con tanto entusiasmo anche dalle riviste di economia.

Sports Direct in Inghilterra cresce ancora

Sembra infatti che il nuovo erede alt trono riesca a donare al paese ben 370 milioni di dollari extra, legati sicuramente ai gadget ma soprattutto alle scommesse. I bookmaker, infatti, sono riusciti a delineare puntate per qualsiasi particolare, primo tra tutti il sesso del nascituro.

Banche inglesi sotto la pressione della BoE

Sembra un discorso senza capo né coda, invece sull’argomento è intervenuto anche il Centre for Retail Research che ha spiegato che ci sono almeno 5 milioni di inglesi pronti a comprare qualcosa legato al Royal Baby.

Secondo un’altra analisi, curata da Zero Hedge, ci sono anche 6 milioni di dollari al giorno di guadagno per i commercianti, 94,6 milioni di dollari spesi per l’alcool dei festeggiamenti, 38 milioni di dollari per la festa che il paese dedicherà al nascituro e tanto altro ancora.

Il governo portoghese resiste alle pressioni

 Tutti coloro che temevano che il Portogallo diventasse la nuova Grecia, sono stati delusi dall’ultima dichiarazione resa dal primo ministro Coelho: il governo continuerà ad onorare il suo mandato. Insomma, a Lisbona non si prevede di andare ad elezioni anticipate e quindi i mercati possono andare avanti sereni.

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I mercati, come sappiamo, reagiscono malamente al clima d’incertezza politica che può trasformarsi spesso in un’incertezza di natura economica. Un governo instabile può cadere e far collassare la borsa del paese e quelle ad essa collegate. Nel caso del Portogallo a rischiare è la finanza europea.

La guerra portoghese contro l’austerity

Il Portogallo, quindi, ha deciso di andare avanti sulla strada che sta già percorrendo, in modo da reagire con decisione e fermezza agli scossoni della finanza e della politica. Due ministri cruciali nella definizione di una maggioranza stabile, hanno rassegnato le dimissioni al premier. In più i rendimenti dei titoli di stato sono cresciuti in modo sconsiderato, raggiungendo i. 7,64 per cento.

Il messaggio di Coelho è stato provvidenziale in tal senso visto che i rendimenti sono subito scesi fino al 6,29 per cento. Il debito pubblico, però, continua a preoccupare ed è arrivato fino al 123 per cento.  Gli analisti comunque prevedono nuove tensioni all’orizzonte.

Abe vince anche alla Camera Alta

 Le elezioni per la Camera Alta in Giappone sono state molto attese visto che il premier in corsa, Shinzo Abe, ha legato il suo nome ad una politica economica molto importante per l’economia nazionale e globale. Adesso gli elettori giapponesi hanno tenuto con il fiato sospeso il Giappone e la borsa.

I risultati sono arrivati nel week-end ed hanno premiato proprio l’Abenomics, attribuendo ancora maggiori poteri al premier. Si tratta ancora di exit polls ma non è detto che le urne diano un risultato molto diverso. La coalizione di governo, che ha fatto una campagna elettorale molto decisa, è riuscita ad ottenere la maggioranza dei seggi.

A Tokyo il Nikkei riprende fiato

In precedenza Abe aveva già conquistato i due terzi della Camera Bassa. A livello economico, quindi si continuerà con la linea economica e finanziaria già attivata e tanto discussa, almeno per altre tre anni. Il bello è che questa linea non sarà più nemmeno tanto discussa: non ci sono, infatti, delle differenze di maggioranza tra i due rami della Dieta, il Parlamento giapponese.

Le banche centrali continuano a sostenere i mercati

Nel 2006, soltanto per ricordare la linea economica del paese, è finita la linea Koizumi che era durata cinque anni, con i ministri in carica soltanto per un anno. Abe si presenta al mondo intero come un premier più forte e più sostenuto dalla politica e dalla popolazione.

I paesi in cui si lavora di più nel mondo

 Se in un paese si lavorano più ore che in un altro, non è detto che in questo primo paese di lavoratori si guadagni anche di più. Di recente, comunque, è stata elaborata una statistica dei paesi in cui ci sono più ore di lavoro annue. I paesi sono stati classificati anche tenendo conto degli stipendi medi e del numero di ferie accumulabili.

La statistica è stata realizzata dall’OCSE. Proviamo a prendere qualche paese cercando di capire che sorprese avremmo andando a cercare un posto di lavoro all’estero.

Riconoscere l’elusione dai prezzi dell’outsourcing

Chi va nella Repubblica Slovacca, per esempio, deve sapere che non troverà facilmente un lavoro part-time visto che questi contratti “ridotti” rappresentano soltanto il 4 per cento dei contratti complessivi. I lavoratori della nazione in questione, infatti, annualmente sommano ben 1749 ore di lavoro con uno stipendio medio che però arriva soltanto a 14522 euro. La Repubblica Slovacca non è certo da considerare il paese più produttivo d’Europa o del mondo.

Sports Direct in Inghilterra cresce ancora

Al primo posto in questa speciale classifica, quindi proprio dalla parte opposta, troviamo invece il Messico dove in anno si lavorano ben 2317 ore per uno stipendio che in euro è soltanto di 7528 euro. Chiaramente si tratta di un valore medio ma molto importante. Questa situazione potrebbe dipendere dalla bassa scolarizzazione della popolazione. Il Messico è comunque un’economia emergente.

Negli USA vendite al dettaglio sotto tono

 Le vendite al dettaglio negli Stati Uniti sono considerate quasi alla stregua del sentiment del consumatori, utili a capire che aria tira tra chi, alla fine, deve mettere in circolo i famosi dollari. Il risultato delle rilevazioni di giugno, però, non è confortante visto che i report sono al di sotto delle attese.

Previsioni e borse legate alla Cina

Gli analisti finanziari avevano effettuato delle stime troppo ottimistiche mentre nella realtà il risultato è stato peggiore del previsto. Su base mensile, infatti, le vendite al dettaglio di giugno sono cresciute soltanto dello 0,4 per cento mentre a maggio la crescita era stata dello 0,5 per cento dopo una revisione a ribasso dallo 0,6 per cento.

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

Per il mese di giugno si prevedeva quindi il passaggio verso il +0,8% delle vendite. Le stime ottimistiche sono legate anche alla pubblicazione dell’indice Empire Manufacturing che per il mese in corso è cresciuto dai 7,84 ai 9,46 punti base del mese di giugno. Il dato, in questo caso specifico, è anche superiore alle attese.

Intanto, però, sul dollaro americano che era stato al centro di numerosi rialzi, si sono scatenate le vendite. Il tasso di cambio tra euro e dollaro è salito fino a quota 1,3054, mentre in ribasso ci sono il cambio tra sterlina e dollaro e quello tra dollaro e yen.

Bernanke gioca a fare l’alleato di Draghi

 L’Europa è in crisi e non c’è speranza di modificare le basi dell’economia del Vecchio Continente. L’unica cosa da fare è stimolare monetariamente gli stati membri. Il messaggio, inviato da Bernanke alla Banca Centrale, sembra pieno di senso e solidarietà, tanto che il numero uno della FED è stato immediatamente ribattezzato “l’alleato di Draghi”.

Bernanke sulla stessa linea di Draghi

La Federal Reserve è stata di recente protagonista di un’audizione al Congresso dove ha parlato della necessità per l’Europa di una politica monetaria accomodante, adatta al Vecchio Continente e duratura nel tempo. Una dichiarazione d’affetto e solidarietà, se possiamo usare questi termini molto romantici, che ha fatto riprendere vigore ai listini europei.

A Krugman non piace l’atteggiamento della FED

Il discorso di Ben Bernanke ha di poco preceduto, tra l’altro, la pubblicazione dei beige book. Nel frattempo, per quanto riguarda l’Europa, se volessimo effettuare una ricognizione a volo d’uccello, potremmo notare un aumento del rendimento dei titoli di Stato portoghesi e una stabilizzazione dello spread tra bund e BTp intorno ai 290 punti. Dall’altra parte del mondo, in Giappone, il Nikkei ha chiuso le contrattazioni con un leggero incremento dello 0,1 per cento.

Bernanke, pur concentrandosi sull’Europa, non ha dimenticato di rassicurare i mercati del fatto che la Banca centrale americana si defilerà dal programma di sostegno all’economia, riducendo il quantitative easing.

Il PIL crescerà ancor meno del previsto

 Bankitalia, con enorme rammarico, deve precisare che il PIL del nostro paese crescerà ancora meno del previsto. Sembra infatti che ci sarà una flessione del prodotto interno lordo ancora più consistente. La stima è di un calo dell’1,9 per cento per l’anno in corso.

L’allarme per la situazione economica dell’Italia va di pari passo con la considerazione del problema più urgente da risolvere: quello della disoccupazione che potrebbe sfiorare nel 2014, quindi tra sei mesi appena, la soglia del 13 per cento.

Previsioni e borse legate alla Cina

Se si fa una panoramica degli altri indici si scopre anche che l’inflazione è sotto controllo così com’è costantemente monitorato il tesoretto che dovrebbe impedire l’aumento dell’IVA, per ora posticipato ad ottobre. In calo, invece i consumi che scendono ancora dell’1,9 per cento nel 2013. La stagnazione si dovrebbe invece consolidare nel 2014.

Il FT parla di una nuova crisi europea

Le previsioni di Banca d’Italia sulla nostra economia non sono certo incoraggianti e lo sono ancor meno se incorniciate nell’ottica della situazione economica globale. Si deve infatti pensare che la cosiddetta sforbiciata sul prodotto interno lordo era già stata data dal FMI ed ora è stata soltanto confermata da Bankitalia.

La contrazione sarà dell’1,9 per cento nel 2013 per poi essere in leggera ripresa nel 2014 con un incremento dello 0,7 per cento. Le previsioni precedenti parlavano di una contrazione dell’1,8% del PIL nel 2013 e di una ripresa dello 0,7% l’anno prossimo.

 

Zanonato prova a ridurre il caro benzina

 Siamo alla vigilia del grande esodo per le vacanze estive e come al solito si ripropone sui giornali il problema del caro benzina. Da un anno a questa parte sono state fatte le pulci alle accise a dimostrazione del fatto che a parità di prezzo da un anno all’altro, quello che rende i carburanti più costosi oggi che in passato, è il peso delle imposte.

Ancora aumenti record per la benzina

Purtroppo, nel fine settimana appena archiviato, si è assistito ad un nuovo aumento del prezzo della benzina e del diesel. La situazione è stata osservata da vicino anche dal Ministro dello Sviluppo Economico che non ha esitato a richiamare all’ordine i petrolieri. Il ministro ha fatto presente che la situazione economica del nostro paese non consente di accettare e sopportare nuovi rincari.

La polemica, dunque, imperversa su tutto il paese ed è arrivata fino a Palazzo Chigi dove si ascoltano anche le parole del Garante per gli scioperi che, in vista della serrata di martedì sera, mette tutti in guardia e convoca le compagnie petrolifere per risolvere la situazione.

Il golpe egiziano manda nel panico le borse

La situazione è allarmante perché siamo alle porte delle vacanze e con i rincari previsti si va abbondantemente sopra la soglia dei prezzi medi validi in Europa. Nel nostro paese i carburanti costano già tanto, si andrebbe davvero a pagare troppo. Un ulteriore peso sulla crisi?

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

 Che l’economia cinese fosse in una fase di rallentamento era chiaro ma adesso, con i dati relativi al PIL del secondo semestre, tutto è palese. Sembra infatti che il prodotto interno lordo di questo paese sia cresciuto meno del previsto.

Si pensava di andare incontro ad una crescita del PIL del 7,7 per cento mentre tutto l’incremento si è fermato al 7,5 per cento. Non sono stati quindi rispettati nemmeno i parametri del primo trimestre dell’anno. Tutto è nelle corde, ovvero ci si aspettava una cosa simile.

Bibow affronta il rapporto tra euro e Germania

I dati che arrivano dalla Cina, tra l’altro, puntano tutti nella stessa direzione. Per esempio le vendite al dettaglio, soltanto a giugno 2013 sono cresciute del 13,3 per cento su base annua. Una crescita anche superiore alle attese visto che si pensava ad un rialzo del 12,9 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il dato che non convince, o meglio preoccupa, gli investitori, è quello relativo alla produzione industriale che nel mese di giugno è aumentata dell’8,9% su base annua mentre nella rilevazione precedente il rialzo era stato più consistente, del 9,2 per cento.

La Cina, intanto, fa i conti anche con un altro problema finanziario: la cosiddetta fuga di capitali. Dal 2008 ad oggi, infatti, molti investitori hanno abbandonato il paese per andare a fare business altrove. In queste ultime settimane, il moto verso l’esterno è stato notevolmente accelerato.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

 L’Europa è diventata un terreno d’investimento per tutti coloro che sono a caccia di opportunità economiche e finanziarie. L’Europa, d’altro canto, con una serie di fondi tende a stimolare l’economia di tutti gli stati membri del Vecchio Continente. Peccato che non tutti sappiano usufruire di questi fondi.

► Olli Rehn tiene duro sulla questione deficit

L’Italia, all’indomani del meeting di Bruxelles in cui sono stati definiti gli obiettivi di bilancio e in cui si è deciso di destinare parecchi soldi alla lotta contro la disoccupazione giovanile, era molto felice del risultato ottenuto. Lo stesso premier ha precisato di aver ottenuto più del previsto.

Trovato l’accordo sul bilancio UE

Purtroppo le ultime ricerche non sono altrettanto ottimiste visto che dopo la fine del periodo di programmazione 2007-2013, i soldi europei usati dall’Italia sono stati pochissimi. Il resoconto parla chiaro: il nostro paese ha usato soltanto il 38 per cento delle risorse del Fers, il Fondo per lo sviluppo regionale, ed ha usato meno risorse del previsto del Fse, il Fondo sociale europeo.

Peggio del nostro paese è riuscita a fare soltanto la Romania. In fondo, anche l’uso più corposo del Fse è da a attribuirsi all’escamotage trovato dal ministro Barca che ha usato quei soldi messi a disposizione dall’Europa per finanziare gli ammortizzatori sociali.