Nuove notizie sull’evasione fiscale italiana

 Se c’è una cosa che incrina pesantemente la considerazione dell’Italia all’estero è senz’altro il fenomeno dell’evasione che seppure contrastato a livello governativo, resta una piaga importante per il nostro paese. Le Fiamme Gialle, infatti, nel rendere noto l’ultimo rapporto sull’argomento, spiegano che nei primi cinque mesi del 2013 l’evasione è rimasta a livelli molto alti.

Il Regno Unito se la prende con Google

Questo dipende da quello che sono capaci di fare i piccoli esercizi commerciali e soprattutto molto dipende dallo spostamento di denaro verso i paesi cosiddetti offshore. Secondo la Guardia di Finanza, per spiegare al meglio quel che succede in Italia, si deve completare il quadro facendo cenno agli sprechi della pubblica amministrazione che ammontano a circa 957 milioni di euro.

Lotta all’evasione fiscale ancora in alto mare

Il report effettuato dalle Fiamme Gialle è impietoso, infatti riporta una statistica allarmante: un esercizio commerciale ogni tre continua a non emettere scontrini e ricevute fiscali. Inoltre, ogni mese, circa un miliardo di euro, dal nostro paese, va a finire nelle banche estere. Si tratta di proventi che non sono tassati nello Stivale e sono addirittura nascosti al fisco.

Sono questi i numeri dell’assenza di legalità nel nostro paese. Tra spesa pubblica eccessiva, scontrini fiscali non effettuati ed evasione fiscale tramite lo spostamento dei capitali all’estero, la ripresa si allontana più dell’immaginabile.

Il credit crunch cinese non piace all’Europa

 La Cina ha rallentato la crescita e questo particolare preoccupa soprattutto l’Europa che nel colosso asiatico esporta numerosi materiali. Le preoccupazioni maggiori, in tal senso, attanagliano la Germania che considera la Cina il maggiore recipiente dell’export del settore manifatturiero. Tecnicamente, per la Cina, si potrebbe parlare di default, ma la People’s Bank of China smentisce questa analisi.

La Cina e l’immobiliare tricolore

Si sa che quando un mercato è preso nella morsa della paura, i movimenti e i trend sono di difficile interpretazione e in più si rischia l’immobilità delle contrattazioni. Ecco per quale motivo se la Cina rallenta e la paura assale gli investitori europei c’è da preoccuparsi non poco.

La Cina influisce sui mercati europei

Il problema principale secondo gli operatori del Vecchio Continente, è nel credit crunch che ormai interessa la Repubblica Popolare cinese. L’economia reale potrebbe subirne le conseguenze. La situazione delle banche cinesi, tra l’altro, non sembra prossima alla soluzione.

Alcuni blogger hanno aggirato la censura della rete dicendo che il paese è finito in un default momentaneo visto che per una mezz’ora circa è sprofondato nell’assenza di liquidità. Le banche, in più, si dimostrano poco flessibili concedendo un numero inferiore di prestiti rispetto al passato e a tassi addirittura proibitivi. Risolvere il problema delle banche è dunque il primo passo da compiere.

In Francia aumenta la disoccupazione

 La Francia, per molti analisti, è da considerare la bomba ad orologeria del Vecchio Continente perché pur essendo stata per molti anni l’unica alternativa allo strapotere tedesco, adesso subisce in modo anche pesante gli effetti della crisi, o meglio della recessione del Vecchio Continente.

La Francia vuole un governo dell’Eurozona

François Hollande, da quando è diventato presidente della Francia, ha cercato di risolvere i problemi strutturali del paese occupandosi della fiscalità e del mercato del lavoro, tanto che dopo il lancio del suo programma furono immediate le analogie con l’Italia e la sfida che i politici tricolore avrebbero dovuto affrontare.

Purtroppo a distanza di diversi mesi Hollande deve ripresentarsi davanti alla popolazione per un giudizio niente affatto positivo. Il presidente francese, infatti, aveva detto che presto ci sarebbe stato un calo del numero dei disoccupati e invece il tasso di disoccupazione è cresciuto arrivando a segnare un record storico. Il paese, in questo momento, considera sempre più faticosa e in salita la strada per allontanarsi dalla crisi.

La Francia ci prova con la supertassa per i calciatori

E’ stato così posticipato l’ingresso in un periodo migliore: del calo della disoccupazione, infatti, s’inizierà a parlare soltanto alla fine dell’anno. Più che una previsione, però, questa sembra un’altra illusione e a testimoniare che a pensar male non si fa peccato, come si direbbe nella tradizione popolare, arriva anche l’Istituto nazionale francese di statistica: il record nel tasso di disoccupazione sarà scritto proprio a dicembre.

 

Le strategie giuste per evitare i rischi

 Chi investe in opzioni binarie sa che con tali strumenti di trading è possibile avere un rendimento molto alto ma è anche facile che si corrano dei rischi “eccessivi”. Per tamponare l’emorragia di risparmi è sufficiente adottare delle strategie d’investimento e di copertura.

Il Decreto Sviluppo per gli opzionaristi tricolore

E’ facile immaginare come tutto dipenda dalla distribuzione degli investimenti, delle puntate, su più commodities. Per esempio, per evitare di correre troppi rischi si può sempre inserire uno stop loss legato alla posizione d’investimento in modo tale che se l’andamento del mercato è stato interpretato male, allora si possono contenere le perdite.

Lo stop loss è uno degli strumenti privilegiati nel campo delle opzioni binarie, per la gestione del rischio. Funziona in modo tale che superato il livello dello stop loss, l’ordine viene eseguito, ma per via dello slittamento del prezzo ci può essere comunque una perdita dell’investimento. In più, una volta effettuato l’ordine, è possibile che il mercato cambi direzione e torni nel rango delle previsioni.

La crescita di Svizzera e Giappone

Ecco perché è importante la copertura. Per esempio se si verifica una posizione stop lunga in acquisto, ci si può tutelare tramite l’acquisto di un’opzione put il cui prezzo coinciderà con il prezzo da pagare per eliminare il rischio della perdita.

 

La crescita di Svizzera e Giappone

 Due notizie molto importanti per gli investitori riguardano la Svizzera e il Giappone che di recente, in un clima generale di crisi economica, hanno raggiunto dei traguardi importanti, in termini di rating e successi finanziari. Iniziamo dal Giappone, sotto la lente d’ingrandimento economica per la politica monetaria scelta dalla banca nazionale.

La bilancia commerciale del Giappone ha mostrato dei risultati molto interessanti visto che sono aumentate di notevolmente le esportazioni. Il deficit, parallelamente è cresciuto dai 907,9 miliardi di yen del 2012 ai 993,9 miliardi di yen del 2013 e le esportazioni, soltanto nel mese di maggio 2013, sono aumentate del 10,1 per cento.

Nessun accordo tra Svizzera e USA

Gli analisti finanziari avevano previsto un aumento delle esportazioni praticamente del 5 per cento quindi il risultato ottenuto è stato di molto superiore alle attese. A livello speculativo, si è approfittato di questi buoni risultati per rilanciare la bontà del programma finanziario, della cosiddetta Abenomics che aveva barcollato sotto il peso della volatilità della borsa.

Il franco svizzero presto in calo

L’altra buona notizia riguarda la Svizzera che al momento è considerato tra i paesi più affidabili del mondo per gli investitori. A dirlo sono le agenzie di rating che nel 2012 si sono scatenate nell’eliminazione dei paesi più “ricchi” dall’insieme delle triple A mentre hanno confermato un rating “AAA” alla Svizzera annunciato anche un outlook “stabile”.

Si può risparmiare con la RAI

 Uno stato in crisi come la Grecia, per risparmiare ha deciso di chiudere la televisione pubblica. In realtà non lo fa per risparmio ma per mancanza di liquidità da investire in questo tipo di programma comunicativo. Adesso anche l’Italia ha deciso di andare a mettere le mani sulla TV di Stato per fare cassa.

La RAI non è in vendita

La privatizzazione della RAI, di cui si comincia o meglio si ricomincia a parlare, è una specie di tormentone periodico. Adesso però il dibattito è passato dalle scrivanie degli operatori dei media, alle aule della politica. Addirittura è stato elaborato un dossier che spiega che tipo di risparmio si può avere da un’operazione del genere.

Il documento è stato realizzato da Mediobanca Securities che parte dal presupposto che l’Italia ha bisogno di risparmiare e di trovare le risorse finanziarie da investire nell’occupazione. Per adempiere alla priorità della riforma del mercato del lavoro sono necessari svariati miliardi di euro.

La privatizzazione della RAI vale 2 miliardi

Dalla privatizzazione di potrebbero avere circa 2,1 miliardi. Una cifra importante se si considera che i potenziali acquirenti di mamma Rai si troverebbero davanti un debito netto da sanare che è aumentato anno dopo anno. Ma quanto costa la tv di stato? Una stima credibile parla di 2,47 miliardi di euro. A parte ci sono da considerare i debiti netti calcolati alla fine del 2012, altri 360 milioni. Si arriva quindi proprio ai 2,1 miliardi di cui sopra.

Le soluzioni di Mervyn King alla crisi

 Ormai crisi non è più il termine privilegiato per indicare la situazione economica del Vecchio Continente, nel senso che si parla soprattutto di recessione. Molti sono gli economisti che hanno provato ad indicare delle soluzioni. L’ultimo in ordine cronologico è senz’altro il governatore della Bank of England, Mervyn King che ha dato in pasto al FT le sue quattro soluzioni per l’Europa.

Secondo l’Economist il peggio non è passato

Il Financial Times ha voluto dedicare ancora spazio alla crisi dell’Eurozona e l’ha fatto affidando alla saggezza dell’editorialista Martin Wolf il compito d’intervistare il presidente della Bank of England. Le sue quattro soluzioni per il Vecchio Continente sono semplici e succinte. Le prime due ipotesi, tuttavia, sembrano essere troppo esose per gli attori principali.

La Francia vuole un governo dell’Eurozona

La prima soluzione, infatti, prevede di continuare con i tassi di disoccupazione attuali per il sud del mondo. Così facendo, infatti, si riusciranno nel tempo ad abbassare prezzi e salari fino a ritrovare la competitività. Una soluzione analoga potrebbe essere quella di introdurre una buona dosa di inflazione anche in Germania. Entrambe le soluzioni, è evidente, scoraggiano troppe persone.

Restano quindi due ipotesi: la prima è la rinuncia alla questione di ritrovare equilibrio e competitività a tutti i costi attraverso la profusione di denaro dal nord al sud dell’Europa. L’ultima ipotesi è quella di rivedere il concetto stesso di appartenenza ad uno stato membro.

Come cambia l’emigrazione italiana

 Il nostro paese, da sempre, soprattutto nel Novecento, è stato interessato dai flussi migratori in uscita. Nel senso che moltissimi italiani, ai primi del Novecento e nel secondo Dopoguerra, hanno tentato la fortuna trasferendosi all’estero con le loro famiglie. Le destinazione privilegiate erano l’Argentina e gli Stati Uniti, almeno all’inizio del secolo scorso.

Dove vanno i giovani che lasciano il proprio paese in cerca di fortuna?

Poi i flussi migratori si sono rivolti anche al nord Europa e in particolare al Belgio, alla Francia e alla Germania dell’Ovest. Questa nuova tendenza è stata considerata caratteristica del secondo Dopoguerra. Oggi non solo sono cambiate le mete dei nuovi migranti, ma anche le motivazioni per il trasferimento e la condizione sociale di chi ha la valigia pronta.

I giovani scappano dall’Italia

Riguardo le mete dei nuovi migranti si scopre che la meta più gettonata oggi è la Germania che assorbe il 20 per cento dei flussi italiani in uscita. Al secondo e al terzo posto si piazzano rispettivamente la Francia e la Gran Bretagna che assorbono il 16 e il 13 per cento dei flussi. A seguire l’Ungheria, l’Olanda e l’Austria, tutte con un 5 per cento di italiani migranti all’attivo.

Il trasferimento, spiga la ricerca, è compiuto senza la famiglia al seguito nel tre quarti dei casi e se si devono indicare almeno due motivi per spostarsi dal paese d’origine si parla di “ricerca di un reddito migliore” e “possibilità di fare carriera”.

Il vecchio potere d’acquisto solo nel 2036

 Doveva essere soltanto un altro rapporto da mettere sulle scrivanie di colo che si occupano di Fisco e PMI, invece è stato un vero e proprio atto di denuncia verso una condizione economica, quella dell’Italia, sempre più preoccupante.

Novità fiscali in pentola a giugno

Le due considerazioni da fare è che il fisco occupa la gran parte dell’anno lavorativo e quindi, chi consuma, deve farlo con parsimonia, almeno fino al 2036, anno in cui, forse, si recupererà il potere d’acquisto di una volta. Che il fisco fosse molto “pressante” sulle tasche degli italiani, lo avevamo capito, ma che pesasse per circa 162 giorni, è davvero sorprendente.

In pratica, fino a giugno si lavora per pagare le tasse, soltanto nel secondo semestre dell’anno s’inizia a mettere da parte qualcosa. E’ naturale quindi che i consumi, con l’aumento delle imposte, abbiano subito una contrazione. Adesso che si paventa anche l’aumento dell’IVA non congelato dal governo, si parla di altri 200 euro di “tasse” per le famiglie.

Tagliate le previsioni sul PIL tedesco

La crescita, allo stesso tempo, procede a rilento e in due anni si stima di avanzare soltanto dell’1,9 per cento. Tutta la denuncia di questa situazione è arrivata da Confcommercio che sottolinea la chiusura di ben 40 mila imprese nel nostro paese. Di questo passo la dimensione pre-crisi sarà recuperata soltanto nel 2036.