E se la Gran Bretagna uscisse dall’Europa?

  La Gran Bretagna è un paese che teoricamente fa parte dello spazio europeo ma non è inserita nell’area euro, basta pensare al fatto che adotta la sterlina. Eppure molti economisti, in primis Wolgang Munchau, si chiedono se sia possibile per la Gran Bretagna, uscire dall’euro.

Riprendono le assunzioni alla City di Londra

Nella discussione che adesso è comune in molti stati, si prendono in considerazione i pro e i contro dell’uscita dei paesi dall’Unione Europea. Nel caso del Regno Unito il nodo principale è la negoziabilità dei termini. In pratica si cerca di capire se le conseguenze economiche dell’uscita dall’euro dipendono dai termini stabiliti per l’uscita. Secondo Lord Lawson che in passato è stato Cancellieri della Gran Bretagna, i costi del mercato unico per il Regno Unito sono superiori ai costi dell’uscita dall’UE. Quindi, Lawson si dice favorevole a questa soluzione.

Il Regno Unito in crisi lo spiega Osborne

Affinché l’uscita dall’UE sia profittevole, però, è necessario che si verifichino alcune cose. In primo luogo il Regno Unito non deve fare immediata richiesta per l’adesione all’Area Economia Europea (EEA) di cui fanno parte anche altri paesi, per esempio la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein.

La seconda condizione è che anche non aderendo all’EEA, il Regno Unito abbia comunque libero accesso allo scambio con l’Unione Europea.

Krugman confronta Lettonia e Stati Uniti

 L’austerità è una teoria che in questo momento tutti stanno mettendo in discussione. In primo luogo perché l’algoritmo che aveva giustificato le teorie economiche legate all’austerity si sono rivelate matematicamente erronee. In secondo luogo perché soltanto spostando l’attenzione dai conti pubblici alle riforme è possibile lavorare sulla crescita del paese.

L’austerity criticata dal basso

Ci sono però degli studiosi, come Martin Wolf, che ancora giustificano l’austerità, trovano cioè degli esempi reali del fatto che questa rigida teoria economica funziona. Un esempio lampante, secondo Wolf, è la Lettonia. I temi presi in considerazione sono il PIL che è ancora al di sotto del periodo pre-crisi e la disoccupazione che è ancora ad un livello molto elevato nonostante il flusso migratorio sia molto possente.

La Germania deve ripensare all’austerità

Paul Krugman, però, vuole partire dalla considerazioni di Wolf per allargare la riflessione e spiega che nei paesi Baltici l’aggiustamento economico è più semplice perché siamo di fronte ad economie molto aperte che non possono essere paragonati con le realtà occidentali. Questo vuol dire che in poco tempo è automatico che crescano in modo importante le esportazioni.

Per quanto riguardo il PIL basso e la disoccupazione alta, Krugman spiega che i valori del 2006-2007 erano dettati dalla bolla speculativa e non erano dati reali, per questo è molto complicato fare dei paragoni.

La salvezza dell’Italia dalla BCE

 La BCE ha deciso di dare una mano a tutti i paesi, soprattutto quelli periferici, che hanno delle difficoltà economiche ed ha deciso di tendere la mano attraverso una politica monetaria espansiva. In questo modo la pressione sui conti pubblici si è allentata e allo stesso modo la crisi del debito è diventata meno urgente.

L’Italia combatte contro la crisi

Le politiche di sostegno non convenzionali adottate dalla BCE sono state sicuramente proficue ma il dibattito sulle misure stesse è ancora aperto. Infatti, la Germania contro la BCE e l’Italia ha qualcosa da dire. Cosa stanno facendo adesso i governi della zona euro per recuperare terreno nei mercati finanziari?

L’Italia non sta lavorando sul disavanzo debito-PIL e non sta ancora mettendo in atto le riforme strutturali necessarie per riconquistare la competitività e la credibilità nello scacchiere internazionale. Secondo Fabrizio Saccomanni è già stato fatto molto: le riforme messe in campo negli ultimi anni, hanno consentito al nostro paese di guadagnare un margine di manovra entro l’obiettivo del 3 per cento.

L’Italia deve iniziare con le riforme strutturali

La dichiarazione del nostro ministro dell’economia ai microfoni della CNBC, arriva al margine di una riunione dei ministri delle finanze del G7.

Ad ogni modo anche George Soros, manager di hedge fund, ha detto che quella dell’Italia è una calma apparente e che se anche ci fosse un barlume di ripresa, questo non sarebbe destinato a durare.

La Germania contro la BCE e l’Italia

 Il ministro delle Finanze tedesco, Wolkfgang Schaeuble, ha sferrato un altro colpo alla Banca Centrale Europea e all’Italia in particolare, usando le relazioni di cittadinanza tra Mario Draghi e il nostro paese come giustificazione di un atteggiamento non proprio legate della Banca centrale.

Passera è il contrario di Schaeuble

Il ministro Schaeuble ha rimproverato a Draghi l’opzione d’acquisto della BCE di Asset-backed security dai paesi del Sud dell’Europa. Questi acquisti sono considerati problematici perché giustificano la pratica della BCE di acquistare debiti dell’Italia verso creditori privati. Il valore di questi acquisti è di 70 miliardi di euro. Schaeuble ha definito questa pratica una forma di finanziamento statale nascosto.

La Germania si mette dalla parte dell’Italia

Il caso italiano è usato a titolo esemplificativo per illustrare la pericolosità degli acquisti. Dall’inizio dell’anno e soprattutto dopo le elezioni, è passato troppo tempo prima della definizione di un governo di larghe intese. Questo ha fatto sì che la forbice tra debito e Prodotto Interno Lordo si divaricasse, superando la quota considerata “limite” del 100 per cento.

Prima di comprare asset che riguardano l’Italia, allora, sarebbe necessario fare delle riforme strutturali nel paese in modo da riconquistare la competitività nella zona euro e non solo e poi ritrovare la credibilità a livello internazionale.

Secondo il nostro ministro delle Finanze, le riforme finora attuate hanno garantito il raggiungimento di alcuni obiettivi ma il cammino è ancora molto lungo.

In Bulgaria crisi ed elezioni difficili

 I guai non vengono mai da soli, soprattutto se si considera la situazione di alcuni paesi europei. Basta pensare alla Bulgaria che è stata lontano dai riflettori, eppure nel paese si è scatenata una guerra civile senza precedenti, scioperi che hanno portato anche alla morte di un fotoreporter.

La crisi della Bulgaria fa discutere

La Bulgaria, in questi giorni, è andata alle urne e la situazione che è venuta fuori dalla votazioni, somiglia molto a quella italiana di due mesi fa. Il partito dell’ex primo ministro Boiko Borisov ha vinto ma ha ottenuto una maggioranza molto risicata che non gli consente di costituire un esecutivo se non con larghe intese con la popolazione.

Le elezioni bulgare sono state accompagnate dagli scontri di piazza e da una serie di accuse di brogli elettorali, tanto che anche in questo paese si è parlato di complotto. In più, come se non bastasse, si è scatenato un vero e proprio watergate.

Investimenti a rischio nei paesi della black list

Il partito dalla maggioranza risicata è un partito conservatore ed ha ottenuto il 31,4 per cento dei voti. A seguire ci sono i socialisti con il 27,3 per cento. In coda le urne hanno premiato un partito di etnia turca che ha ottenuto il 9,2 per cento ed un partito nazionalista di Ataka che ha raggiunto il 7,6% di preferenze.

 

L’Italia combatte contro la crisi

 Se un paese s’impegna nella risoluzione della crisi, allora gli investitori tornano ad avere fiducia nel paese stesso e vi portano i loro capitali, invece se un paese si adagia nella recessione, la situazione finisce con il peggiorare di giorno in giorno.

L’industria italiana in cattive acque

Da quando la BCE ha messo in campo le sue misure a supporto delle economie in crisi, usando anche soluzioni non convenzionali, la crisi si è allentata parecchio ma si dibatte molto sul ruolo e sull’operato dei governi.

L’Italia deve iniziare con le riforme strutturali

Il caso italiano, in tal senso, è emblematico, infatti la nuova coalizione di governo deve ancora essere messa a punto ma si sa già che non si può più aspettare sul fronte delle riforme. Infatti il rapporto tra debito e Pil ha superato il 100 per cento. 

Il nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, ha comunque intenzione di risolvere al più presto la situazione e in un’intervista rilasciata alla Cnbc spiega che l’Italia, con le politiche adottate finora ha guadagnato uno spazio di manovra nel target del 3 per cento, il target definito per i membri dell’Eurozona nel contesto della riduzione del debito.

Insomma l’Italia non può più attendere.

L’industria italiana in cattive acque

 Enrico Letta, incontrando Martin Schulz, ha evidenziato il problema emergente per l’Italia e per l’Europa. La priorità, oggi, è risolvere il dramma della disoccupazione giovanile che almeno nel nostro paese ha raggiunto proporzioni considerevoli e preoccupanti: il 38%.

Le risposte di Schulz ai dubbi di Letta

L’Italia deve iniziare con le riforme strutturali, questo è il parere di Olli Rehn che invita il nostro paese e tutte le altre nazioni in difficoltà, a non mettere più al primo posto i conti pubblici, ma le riforme utili a generare la crescita economica.

Il nostro tessuto industriale, intanto, dimostra di essere stato intaccato pesantemente dalla crisi. La produzione, infatti, è diminuita parecchio e a marzo è stato registrato un ribasso dello 0,8 per cento rispetto a febbraio. Su base annua, il calo della produzione industriale si assesta così sul 5,2 per cento.

A fornire questi dati alla politica e alle istituzioni, ci ha pensato l’Istat che a malincuore prende atto del diciannovesimo calo consecutivo e spiega che ad osservare attentamente il dato grezzo ci si rende conto che il calo è ancora più forse e si assesta sul -9,5 per cento.

Insomma, il calo della produzione industriale, registrato alla fine dell’anno scorso, doveva subire un’inversione di tendenza nel primo trimestre dell’anno che invece non è stato altro che il prolungarsi dell’inverno, in tutti i sensi.

L’Italia deve iniziare con le riforme strutturali

 Il nostro paese ha bisogno di fare le riforme giuste per rilanciare la crescita. Ormai questo è un imperativo o meglio un’urgenza davanti alla quale il governo Letta non può più scappare. Nell’ultimo incontro europeo, il nostro neo premier ha sottolineato che è necessario occuparsi della disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 38%. Dovrebbe essere l’Europa a farsi carico del problema.

► Le risposte di Schulz ai dubbi di Letta

Schulz, da presidente del Parlamento europeo, ha proposto di usare i 6 miliardi di euro destinati allo stesso problema per il periodo che va dal 2014 al 2020, già da subito, ma tutto è ancora da decidere. Intanto sulla situazione italiana in particolare, intervengono alcuni autorevoli personaggi. L’ultimo in ordine cronologico è il commissario UE agli Affari Esteri Olli Rehn. 

► Saxo Bank spiega il disastro euro

E’ lui a spiegare che adesso, vista la condizione economica dell’Europa e di molti dei suoi stati periferici, è importante che ogni paese dell’UE rallenti la preoccupazione relativa ai conti pubblici e si dedichi piuttosto alle riforme strutturali.

Il discorso fatto riguarda soprattutto la Francia, l’Italia e la Spagna che attraversano un momento difficile e devono avviarsi verso una crescita sostenibile. A questa operazione occorre poi aggiungere anche il coordinamento delle politiche monetarie, in modo da avere degli slanci uniformi che garantiscano la crescita armoniosa del mercato.

 

Le risposte di Schulz ai dubbi di Letta

 Di recente si sono incontranti nello scenario UE, il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e il nostro Presidente del Consiglio Enrico Letta che hanno parlato in modo più serio della situazione dell’Europa e dell’Italia. Secondo il neopremier italiano, il problema più urgente da risolvere adesso è quello della disoccupazione giovanile, perciò Letta chiede all’Europa di mettere in campo delle misure adeguate ad invertire la tendenza occupazionale dei giovani che nel 38% dei casi non hanno un lavoro.

L’allarme della disoccupazione giovanile

Secondo Letta è necessario che sia l’Europa a farsi carico della situazione ed inserisca questa emergenza nell’agenda del consiglio di giugno. E’ necessario, infatti, fare un programma straordinario per la disoccupazione giovanile. Schulz, in risposta ai problemi posti da Letta, ha dichiarato quanto segue:

“La sfida più grande è quella della disoccupazione giovanile. In alcuni Paesi dell’Unione europea rischiamo di perdere una generazione intera. Per questo è importante lottare su questo tema e prendere subito misure applicabili.”

Integrazione e fallimento dell’euro per Saxo Bank

Schulz, comprendendo a pieno il problema posto dal collega italiano, si è impegnato in prima persona a “risolvere” la situazione, prendendo in considerazione una proposta fatta dal governo irlandese che era quella di anticipare 6 miliardi di fondi dedicati all’occupazione per il periodo 2014-2020, usandoli fin da subito.

 

La classifica delle università

 Un paese che non investe nel settore dell’istruzione è certamente un paese che non vuole essere lungimirante a livello economico. Eppure quando si vanno a stilare le classifiche relative ai paesi che offrono le migliori strutture educative e formative, ci sono sempre gli stessi paesi in cima alla lista.

L’Italia non investe nella cultura

Il Qs che nel campo della rilevazione del ranking universitario è una vera autorità, ha diffuso in questi giorni la classifica delle migliori università del mondo. Alla fine, in cima alla lista ci sono sempre gli atenei americani e quelli inglesi, soprattutto per quanto riguarda le materie economiche e finanziarie.

Eppure, nonostante l’Italia non investa molto nella ricerca e nella cultura, anche il nostro paese ha un ateneo tra i migliori del mondo. Si tratta della Bocconi che in classifica occupa il diciassettesimo posto. L’università milanese e quella di Singapore che occupa il 14esimo posto, hanno in qualche modo incrinato il monopolio anglo americano delle università economiche.

A livello planetario, però, la medaglia d’oro spetta ad Harvard, che precede il Mit e la London School of Economis. Se poi restringiamo tutto al continente europeo, allora si scopre che la Bocconi è il quinto ateneo economico dopo Lse, Cambridge, Oxford e Ucl.