Esenzioni dal ticket sempre più numerose

 Per usufruire delle prestazioni sanitarie è necessario pagare un ticket che serve a coprire alcune spese legate alle prestazioni erogate. Chi ha un reddito basso può chiedere l’esenzione dal ticket per reddito e a dimostrare che la situazione economica del Belpaese si è aggravata, si può chiamare in causa anche l’aumento delle richieste di esenzione.

Le spese mediche detraibili dal 730

I dati a riguardo sono stati offerti dal Ministero della Salute che lega l’aumento delle richieste di esenzione all’aggravarsi della condizione economica e finanziaria del paese. In un anno, dal 2011 al 2012, le prescrizioni mediche che sono state erogate senza il pagamento del contributo del ticket, sono aumentate passando da circa 64 fino a 67 milioni.

UNICO 2013 PF: plusvalenze, modello RW e contributi SSN

La percentuale di ricette “esentate” dal pagamento del ticket, è molto pesante al Sud dove raggiunge l’86 per cento. Peccato che a questo incremento delle esenzioni non corrisponda l’aumento dei fondi per la sanità pubblica del nostro paese.

Nel 2012, le ricette per gli esami, le visite specialistiche e le analisi di laboratorio, nonché le lastre, le risonanze, le ecografie e le altre prestazioni di diagnostica strumentale, che hanno beneficiato dell’esenzione dal ticket sono state circa 145 milioni su 207. A livello territoriale la punta massima di “esenti per reddito” è in Campania e Sicilia.

Madrid rinvia la questione deficit

 I conti di Madrid sono in rosso e non è certo una novità visto che già da diverso tempo di vocifera che Madrid non sarà in grado di rispettare gli impegni presi con il resto dell’UE.

La Spagna, in questo momento, vista la situazione economica contingente, messa sotto la lente d’ingrandimento anche dalla BCE nel suo report sulle PMI europee, è costretta a rimandare al 2016 il raggiungimento dell’obiettivo sul deficit. La Spagna si era impegnata a fare in modo che il deficit non superasse il 3 per cento del PIL. 

La Spagna non centra gli obiettivi nel 2013

Adesso le stime sull’economia spagnola puntano al ribasso e la maggior parte della situazione è legata all’aumento del tasso di disoccupazione che ha raggiunto livelli record. Il problema occupazionale è condiviso anche dalla Francia, mentre la Germania e il Regno Unito confermano di essere in una fase di ripresa.

Gli opzionaristi analizzano la Spagna prima della crisi

Il fatto di condividere il problema “lavoro” con la Francia, non alleggerisce la situazione spagnola ed evidenzia in modo ancora più netto che c’è una divisione profonda tra il sud e il centro-nord Europa. L’obiettivo del deficit al 3 per cento doveva essere raggiunto nel 2014 e sarà raggiunto invece nel 2016. Per il 2013, invece, il bilancio si chiuderà con un disavanzo del 6,3 per cento.

La BCE chiede attenzione per le PMI

 Il grosso problema del Vecchio Continente è che deve ripartire nel più breve tempo l’economia e per farlo c’è necessità di rianimare il settore industriale dei vari paesi. Insomma le varie PMI devono essere sostenute. Ecco perché in questi giorni sull’argomento è tornata anche la BCE.

A Moody’s non piace l’Italia

La Banca Centrale Europea, infatti, ha detto che non sa ancora che intervento sostenere in tema di tassi ma è pronta a bacchettare i vari governi sul mancato sostegno alle PMI che rischiano di subire eccessivamente la crisi economica. Le Piccole e Medie Imprese sono state messe sotto la lente d’ingrandimento da una ricerca dell’Eurotower che spiega che le realtà maggiormente in crisi sono quella italiana e quella spagnola.

In entrambi i casi si parla di calo dei profitti e per questo è necessario l’intervento delle banche che a loro volta hanno già avuto un valido sostegno dalla BCE. Adesso sembra arrivato per loro il momento di “restituire il favore“. Il fatturato delle PMI tra ottobre 2012 e marzo 2013 è peggiorato in modo consistente e per questo si rende necessario il prestito bancario.

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Sempre secondo l’indagine della BCE, le piccole e medie imprese dei 17 paesi della zona euro, hanno una maggiore necessità di finanziamento.

Lo stipendio dei parlamentari a 5 stelle

 Il 27 aprile è stato versato il primo stipendio ai parlamentari eletti per questa legislatura e tutta l’attenzione si è concentrata sugli onorevoli deputati e senatori del Movimento 5 Stelle che della riduzione dello stipendio hanno fatto la loro bandiera. Ci si chiedeva, quindi, prima della festa della Liberazione, se avessero davvero predisposto la rinuncia ad alcuni privilegi.

Il Movimento 5 Stelle svela gli stipendi

La stampa dedica da diverso tempo uno sguardo molto critico nei confronti del Movimento 5 Stelle che non si sottrae certo alle critiche e che talvolta le alimenta. In effetti, mentre tutti i giornali si chiedevano che ne sarebbe stato del portafoglio degli onorevoli grillini, a palazzo si sceglieva già una direzione da dare al governo del paese.

Grillo al Bild parla della bancarotta

Nel frattempo, molti giornalisti ci hanno ricordato qual è stato lo stipendio di Beppe Grillo, l’ultimo di cui si può essere a conoscenza. Parliamo del 2005, anno in cui il comico genovese ha inserito nel modello 730 per la dichiarazione, redditi pari a 4,2 milioni di euro.

In quell’anno, si ricordano le accalorate invettive di Beppe Grillo contro il viceministro Vincenzo Visco che per una questione di trasparenza aveva voluto pubblicare online la rendicontazione dei redditi degli italiani. In questo modo, secondo il leader dei 5 Stelle, si davano soltanto indicazioni utili al crimine organizzato.

A Moody’s non piace l’Italia

 Un passo avanti per quanto riguarda la stabilità nel nostro paese è stata fatta: dopo la rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica, Enrico Letta, in pochissime ore, ha messo insieme una squadra di governo che non dispiace né al PD e né al PDL.

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Eppure l’agenzia di rating Moody’s non modifica nemmeno un po’ il suo pensiero sull’Italia. Infatti per il nostro paese l’agenzia in questione vede un futuro poco roseo, diciamo anche opaco. Il bilancio sul Belpaese è assolutamente da dimenticare visto che l’Italia non sembra in grado di recuperare le fiducia degli investitori nel breve periodo.

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Moody’s dunque, conferma il rating “Baa2” per il nostro paese e conferma anche l’outlook negativo. Questa decisione permane anche con il governo formato visto che il rischio non è tanto nella scelta dei ministri, quanto piuttosto nella capacità e nella possibilità, per l’esecutivo, di portare a termine le riforme.

Il governo in carica, quindi, potrebbe presto trovarsi a discutere, al cospetto dell’ESM, un piano di salvataggio che coinvolga anche la BCE. In questo secondo caso il paese dovrebbe promettere di riformare il mercato del lavoro e dovrebbe promettere di fare una riforma fiscale efficace.

L’opposizione antieuropea vince in Islanda

 L’opposizione antieuropea, quella che spinge le singole nazioni ad estraniarsi dall’euro e dall’Europa, ha vinto anche in Islanda. Il Vecchio Continente, a questo punto, trema per il crollo in molti stati delle sinistre che finora hanno tenuto in piedi il discorso europeista.

Investimenti a rischio nei paesi della black list

In Islanda a vincere ci ha pensato il centrodestra che dopo cinque anni di assenza, o meglio di opposizione, tornerà a governare. I seggi a disposizione nel Parlamento sono 63 e dopo le elezioni, 37 di questi seggi andranno a finire al partito dell’indipendenza di destra e al partito del Progresso di centro.

Il centrodestra islandese, per storia e natura è contrario all’Unione Europea e in fondo la popolazione ha semplicemente usato le urne per spiegare al resto d’Europa cosa pensa e cosa vuole. Le proiezioni sono state fin troppo rispettate, infatti, i verdi e i socialdemocratici non sono stati riconfermati.

Il caso dell’Islanda è emblematico?

Lo spoglio parziale aveva già decretato il Partito dell’indipendenza al 25 per cento e i centristi agrari con il 22 per cento. I due leader di partito, tra l’altro, sono molto giovani: da un lato c’è Bjarni Benediktsson di 43 anni e dall’altro David Gunnlaugsson che di candeline ne ha spente soltanto 38.

L’unico partito pro euro sono i centristi di Futuro Luminoso che hanno ottenuto soltanto 6 seggi.

Meno tasse e più crescita per Saccomanni

 Enrico Letta, il nuovo premier che piace ai mercati tanto da deprimere lo spread, ha costruito una squadra di governo che dispiace veramente a pochissime persone. In pole position, nei dicasteri chiave, sono stati lasciati o scelti dei tecnici. Uno su tutti Fabrizio Saccomanni, che fino al giuramento dell’esecutivo era il presidente di Bankitalia ed oggi è il nostro ministro dell’Economia.

Soluzioni IMU per il governo Letta

Fabrizio Saccomanni, era a Cetona quando è stato raggiunto dalla telefonata del premier che gli chiedeva di entrare a far parte della squadra di governo. Dopo aver trascorso l’ultima settimana tra Washington e New York, l’economista toscano è tornato in patria e da domani sarà al cospetto della BCE per parlare per discutere dell’unione bancaria.

Il neo ministro, però, non ha mancato di dire la sua sulla condizione del Belpaese visto che a chiamarlo in causa per l’indiscussa competenza in materia economica, è stato il presidente della Repubblica in persona. Saccomanni avrebbe già in tasca la ricetta per l’Italia. Vuole puntare sulla crescita economica e questo è a dir poco scontato.

Grillo al Bild parla della bancarotta

Ma vuole farlo coinvolgendo nel suo progetto le banche, le imprese e anche i consumatori. L’obiettivo ultimo, infatti, è fare in modo che la società e gli investitori ritrovino la fiducia. Tecnicamente si procedere con una ricomposizione della spesa, con il sostegno delle imprese e delle fasce deboli della popolazione per cui è previsto l’alleggerimento fiscale.

Quanto costano i reami europei

 E’ stato di recente portato a termine uno studio relativo al costo delle case reali europee e nonostante i fasti cui ci hanno abituato le teste coronate inglesi, non è la monarchia britannica quella più spendacciona. Il rapporto è stato curato da un docente dell’Università di Ghent.

Il documento spiega che al primo posto nella graduatoria delle case reali c’è quella del re Harald V di Norvegia che ogni anno spende circa 42 milioni e 700 mila euro. Al secondo posto si piazza l’Olanda e soltanto sul terzo gradito del podio c’è l’Inghilterra. La domanda che si è posto questo professore riguarda i costi di una monarchia che abbia i suoi sudditi.

La nuova banconota da 5 sterline

Oggi che di moda c’è l’austerity economica, ci si chiede se in Europa, anche la monarchia, non debba tirare un po’ la cinghia. A livello numerico ricordiamo che nel Vecchio Continente ci sono ancora una decina di paesi che possono vantare una regina o un re come capi dello stato.

Quanto costa il funerale della Thatcher

Per esempio, è stato da pochissimo scelto in Belgio un nuovo sovrano che ha preso il nome di Guglielmo. Il principe in questione ha ereditato lo scettro che era stato della regina Beatrice, sua madre. Da considerare, come si spiega nel rapporto che esistono anche forme di finanziamento pubblico rivolte alle teste coronate.

L’Italia non investe nella cultura

 I dati parlano chiaro: l’Italia non investe nella cultura e nell’istruzione e questo “piccolo” particolare relativo alla distribuzione degli investimenti, fa pensare che il paese non ha assolutamente voglia di cambiare strada. L’Eurostat, di recente, ha pubblicato i risultati relativi ad uno studio in cui si confrontano la spesa pubblica dei singoli stati, nel suo complesso e la quota destinata alla cultura e all’istruzione.

La crisi della Bulgaria fa discutere

Rispetto al nostro paese i dati non sono assolutamente di conforto. Gli investimenti italiani nel settore, infatti, rasentano lo zero e se si stila una classifica soltanto dei paesi che fanno parte del Vecchio Continente, si scopre che l’Italia è all’ultimo posto. Il dato di riferimento è la percentuale di spesa pubblica dedicata alla cultura.

Mediamente, in Europa, s’investe nel settore culturale, il 2,2 per cento della spesa pubblica, mentre per l’Italia questa percentuale scende all’1,1 per cento. Soltanto la Grecia segue l’Italia. Se invece si fa riferimento ai soldi che sono usati per l’istruzione, a fronte di una media europea del 10,9 per cento d’investimenti, l’Italia dedica alle scuole solo l’8,5 per cento.

Debito pubblico italiano cresce ancora e tocca quota record

Questa notizia, purtroppo, non è stata riportata ampiamente dai giornali perché in questi giorni, la composizione del Governo è un argomento troppo più  importante. In ogni caso, come riflettono molti analisti, esiste una corrispondenza diretta tra l’investimento in cultura  e istruzione e la crescita del paese.