L’austerity non piace agli intellettuali

 L’austerity è la parola d’ordine dell’anno scorso. Nel 2012, infatti, la crisi è stata così imponente che tutti i paesi a rischio default hanno chiesto alla popolazione di tirare la cinghia. E’ rimasta proverbiale l’austerity greca. Adesso però questa parola e questa pratica sono già finite sotto accusa.

Enrico Letta può influenzare l’euro?

Gli economisti sono concordi nel ritenere che stringere la cinghia troppo a lungo non è positivo per l’economia di un paese. Il primo a dirlo è stato Paul Krugman che ha dato il suo placet anche ai partiti europei che hanno espresso la ribellione all’austerity. Per esempio Krugman ha elogiato il Movimento 5 Stelle italiano.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

L’intensità dell’austerity, tra l’altro, è stata modulata con formule matematiche che sul lungo periodo hanno dimostrato di non essere abbastanza calzanti. Per esempio: Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart dell’Harvard University, già nel 2010 spiegavano che quando il debito pubblico supera il 90 per cento della produzione c’è una decrescit economica pari allo 0,1 per cento. L’esperimento, la formula, ripetuta oggi, con gli stessi dati, dà un risultato diverso: si parla di crescita del 2,2 per cento.

Questa teoria, che adesso dovrà essere revisionata, è stata alla base della politica di austerity usata da molti governi. Quindi si dimostra oggi che combattere “contro il debito pubblico” non è un metodo efficace per ottenere la crescita economica.

 

Chi pagherà i debiti delle imprese?

 Salvate le pubbliche amministrazioni, si è deciso di salvare anche le imprese ed è stato dunque varato un decreto ad hoc, si chiama Decreto Salva Imprese ed è il numero 35 del 2013. In pratica si tratta dello stesso decreto usato per sbloccare i 40 miliardi delle PA nei prossimi 12 mesi.

Si tratta di un decreto voluto dall’esecutivo montiamo che firmando il documento in questione ha praticamente fatto l’ultimo atto prima del passaggio di consegne. Non sono mancate delle critiche visto che i 40 miliardi “devoluti” alle pubbliche amministrazioni sono soltanto una piccola parte del debito complessivo che ammonta a 91 miliardi di euro, secondo i dati fornti dalla Banca d’Italia.

Quinquennio difficile per il debito tricolore

La domanda che molti analisti si fanno adesso è se i debiti delle imprese saranno pagati dai contribuenti. Un’ulteriore pressione sulle tasche dei cittadini potrebbe deprimere i consumi e affossare una volta per tutte l’economia tricolore.

Cipro chiede più aiuti ma che pensa l’Europa?

A cosa bisogna fare attenzione? Sicuramente all’IMU e all’IRPEF di cui si parla sempre nello stesso decreto. E’ tramite queste imposte che dovranno essere sostenute le imprese. Mentre l’aumento della TARES scatterà soltanto a dicembre, c’è ancora tempo ma non se ne parla, per gli aumenti dell’imposta municipale e dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

Il modello giapponese di riferimento per la Grecia

 La Grecia, in questo momento, è ancora più lontana dalla ripresa di quanto si possa pensare. Adesso è in una fase che in gergo si chiama di deflazione e sia i politici che gli economisti si arrovellano per capire se c’è una via d’uscita.

La Grecia, in effetti, era stata un po’ messa da parte dopo l’insorgere di nuove criticità in Europa, basta pensare alla situazione stessa di Cipro. Adesso si torna con i riflettori su Atene perché Si sta per inaugurare il Global economico outlook con il patrocinio del Fondo Monetario Internazionale.

Bini Smaghi critica la forza dell’euro

All’ordine del giorno ci sarà la discussione della situazione economico-politica del Vecchio Continente che presto cadrà in una profonda deflazione. Una specie di effetto domino che coinvolgerà primariamente la Grecia dove i prezzi anziché salire continuano a scendere.

La coppia euro/yen nell’ultimo mese

Le statistiche parlano chiaro: a marzo, i prezzi in Grecia sono diminuiti dello 0,2 per cento e una cosa di questo tipo non succedeva dal 1968. Il problema è che la deflazione greca, unita all’inflazione aggregata europea che a marzo è diminuita, fa temere per il contagio.

Il modello giapponese sembra allora una soluzione plausibile alla crisi: l’obiettivo definito in Oriente è quello di far aumentare il costo della vita del 2 per cento, riportando l’inflazione in Giappone.

Tagliato anche l’outlook della Cina

 La Cina non poteva continuare a crescere al ritmo cui ci aveva abituato in passato. Anche la più banale delle teorie economiche sarebbe stata in grado di prevedere, ad un certo punto, la flessione dell’economia mandarina.

Quali nazioni soffrono della svalutazione aurea

Il problema è che quando si dice “ad un certo punto”, si dice “adesso”. La Cina ha smesso di crescere e la prospettiva spaventa soprattutto i suoi partner che attendono fiduciosi le scelte del governo. Una soluzione, un trampolino di lancio per la ripresa, potrebbe essere nell’incremento della spesa pubblica ma adesso la flessione, considerata parallelamente alla crescita più veloce del previsto delle grandi economie come quella americana, appare disastrosa.

L’economia cinese tira le briglie

Per questo gli analisti che fanno parte delle agenzie di rating hanno iniziato ad essere più pessimiste nei confronti della Cina. Il fatto è che la diffusione dei dati macroeconomici sul PIL del primo trimestre e i dati sulla produzione industriale, non lasciano scampo. Moody’s Investor Services, ha quindi bocciato i risultati della Cina ed ha modificato l’outlook sul rating del paese in questione che è stato portato da “stabile” a “negativo”, quindi al livello Aa3.

Moody’s spiega che a far pensare troppo c’è il debito delle amministrazioni locali. Fitch fa eco a Moody’s, infatti ha abbassato il giudizio di merito di credito fino ad A+ con outlook negativo. Sotto la lente d’ingrandimento il settore immobiliare.

Uscire dalla crisi con diverse opzioni

 A livello euristico, per così dire, esiste una battaglia accesa tra Angela Merkel e Nouriel Roubini che ha di recente fatto un giro in Europa per controllare la situazione economico del Vecchio Continente.

L’economista ha anche rilasciato un’intervista a Repubblica che è risuonata nei media come un attacco alla politica economica tedesca, come un affondo contro le proposte di uscita dalla crisi di Angela Merkel.

Madrid rinvia la questione deficit

L’economista in questione è partito dalla considerazione che il Patto di bilancio siglato dai paesi appartenenti all’UE, è stato deleterio ed ha causato danni importanti alle economie del Vecchio Continente, soprattutto le più fragili. Per questo ci sono almeno cinque possibilità per uscire adesso dalla crisi.

I titoli sloveni sono considerati tossici

Secondo Roubini bisogna innanzitutto mettere da parte l’idea del raggiungimento del pareggio di bilancio la cui data era stata fissata nell’arco di due o tre anni, visto che la situazione dei vari paesi sembra aggravarsi di giorno in giorno. Una soluzione che sicuramente non andrà bene alla Germania che ha promosso in modo deciso l’adozione di questa misura “protettiva”.

Il secondo passaggio potrebbe essere nella svalutazione dell’euro, una svalutazione del 20 per cento almeno, in modo da far circolare più moneta e far riattivare il ciclo dei consumi.

Il terzo punto di Roubini è nell’attivazione di programmi di QE come quelli della Fed, senza paura della svalutazione. Infine, attraverso il credit easing è arrivato il momento di sostenere con più forza le banche nazionali emanando al contempo degli eurobond che tamponino la situazione occupazionale dei paesi in crisi.

Cosa non va in Spagna e come uscire dal tunnel

 La crisi spagnola e il punto del FT hanno dimostrato che la Spagna è un paese cruciale per l’Europa eppure è proprio la moneta unica e il far parte di questa realtà sovranazionale a penalizzare il paese a livello economico e finanziario.

Record di disoccupati in Spagna

La situazione del paese è molto critica con il tasso di disoccupazione giovanile prossimo al 50 per cento, le banche in crisi e una serie di decisioni prese dal governo che non convincono affatto gli investitori. infatti il deficit fiscale resta fisso al 6,6 per cento del PIç e il debito nazionale è arrivato al 90% del PIL. La crisi è stata debilitante per il paese che non si trovava davanti ad un’emergenza di pari livello dagli anni Settanta.

La crisi spagnola e il punto del FT

L’ottimismo postfanchista, però, ha lasciato oggi spazio alla riflessione e sembra che gli spagnoli non siano più così sicuri di uscire facilmente dal tunnel. Le banche non riescono a sostenere la ripresa economica e il credit crunch ha messo in ginocchio le famiglie. La protesta della popolazione è stata sintetizzata dalle urla degli indignados che si sono scagliati soprattutto contro la classe politica.

Gli scandali finanziari del premier hanno gettato benzina sul fuoco ma adesso in molti si chiedono se si possa archiviare l’espressione di Ortega “La Spagna è il problema, l’Europa la soluzione” per considerare gli effetti negativi dell’adesione all’euro.

La crisi spagnola e il punto del FT

 Il Financial Times si è espresso di recente sulla situazione della Spagna visto che la crisi che interessa questo paese sta assumendo delle proporzioni impossibili da gestire. L’Europa è preoccupata non solo per il profilo finanziario della Spagna ma anche per la sua politica e per l’aggravarsi delle condizioni sociali.

Secondo l’editorialista del Financial Times Rachman il problema della Spagna è che si tratta di un paese dove la modernizzazione ha fatto passi da gigante e basta osservare i treni ad alta velocità per farsi un’idea s riguardo. Quindi, se la Spagna non appartenesse all’Europa, probabilmente, non sarebbe nemmeno in crisi.

Madrid rinvia la questione deficit

La conclusione del giornalista è che il problema della Spagna è la moneta unica che fino a questo punto ha soltanto danneggiato i paesi periferici con l’economia in bilico come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e Cipro.

Record di disoccupati in Spagna

Peccato che la Spagna, rispetto ai paesi citati, sia molto più grande e rappresenti un punto di snodo cruciale per l’economia europea. I numeri, però, parlano chiaro. La disoccupazione ha raggiunto quota 26 per cento e se si approfondisce la situazione della disoccupazione giovanile la percentuale sale al 50%. E poi, come in tutti i paesi che maggiormente hanno assorbito la crisi, resta il problema della fragilità del settore creditizio.

Le risorse della Fornero per la Cassa Integrazione

 Il ministro Fornero ha già dato qualche numero sulla prossima cassa integrazione: ha intenzione di finanziare questo istituto con un altro miliardo di euro, una cifra indubbiamente insoddisfacente per mettere fine alla crisi del mondo del lavoro ma utile a tamponare le situazioni più urgenti.

Le parole esatte del ministro al Gr1 Rai sono “Se riuscissi a destinare al finanziamento della cassa integrazione un altro miliardo di euro potrei dirmi soddisfatta, anche se c’è il rischio che possa non essere ancora sufficiente”.

Sindacati uniti per chiedere al governo fondi per la cassa integrazione

La Fornero, in questo modo, ha deciso di rispondere all’allarme lanciato dalla leader della CGIL Susanna Camusso che spiega come siano in esaurimento le scorte previste per la cassa integrazione. La Fornero ha però specificato di non conoscere i tempi a disposizione del governo per il finanziamento della CIG quindi di non poter fare una stima sull’esaurimento delle risorse.

Susanna Camusso lancia allarme per mancanza fondi cassa integrazione

Di sicuro c’è meno tempo di quello previsto, anche se il Governo aspetta di conoscere i dati inviati dalle Regioni. Il problema non riguarda infatti soltanto l’esecutivo in carica che adesso sbriga l’ordinaria amministrazione, ma si deve sensibilizzare tutta la classe politica al problema.

Pre trovare le risorse necessarie, qualcuno pensa già ad una manovra finanziaria aggiuntiva ed altri sperano in un decreto dell’ultima ora per gli ammortizzatori sociali. L’atteggiamento delle parti sociali resta molto critico.

 

Monti parla della situazione italiana e non scherza

 Mario Monti è ancora il nostro premier, guida il governo che – come ha spiegato Napolitano nel suo discorso prepasquale di presentazione della soluzione dei saggi – non è mai stato sfiduciato. Monti, allora, ha tutto il diritto di approfondire i temi più caldi per il nostro paese, nonostante a livello elettorale abbia subito una sonora battuta d’arresto.

3 visioni del 2013 e della sua evoluzione

Secondo Monti la prima cosa da fare in Italia è affrontare il problema dell’economia reale. Tutte le affermazioni che stiamo riportando – per inciso – sono state proferite durante un incontro tra Mario Monti e Fabio Fazio nella cornice della trasmissione “Che tempo che fa?”.

Il premier dimissionario ha dunque detto che è necessario affrontare l’economia reale che attraversa una fase problematica, perché in fondo il suo governo ha soltanto tamponato un’emorragia finanziaria senza precedenti.

I rischi italiani dell’uscita dall’euro

In più bisogna poi costruire un po’ di consenso intorno alle scelte operate, un po’ come è stato fatto nei primi mesi del governo Monti.

A livello politico i grandi saggi sono necessari per ricompattare il panorama politico attorno a temi comuni, per smussare le divergente tra i diversi raggruppamenti politici ma poi, anche in questo caso, il secondo passo da fare è quello di colmare le lacune della politica  attraverso l’impegno e il coinvolgimento diretto di imprese e sindacati.

L’economia cinese tira le briglie

 Sull’economia cinese e sul suo progresso inarrestabile si è fondata gran parte dell’economia nostrana e mondiale. In pratica se la Cina cresce c’è da mangiare per tutti. Il problema è che è finito il periodo delle vacche grasse e siamo passati alla carestia.

Suntech Power pronta a chiedere il fallimento

Un linguaggio biblico soltanto per dire che le avvisaglie sul rallentamento dell’economia cinese, registrate nel primo trimestre, saranno confermate anche per il periodo che va da aprile a giugno.

La Cina sarà il maggiore importatore di oro nero

Nel primo trimestre del 2013, infatti, il PIL cinese è crsciuto soltanto del 7,7 per cento su base annua anche se si pensava di arrivare ad un incremento dell’8 per cento. La spesa pubblica è passata dal 15,7 per cento del periodo gennaio febbraio al 7,5 per cento di marzo.

Tutti sintomi di un rallentamento che nemmeno gli analisi si aspettavano fosse così forte. La Cina sta inviando anche un altro messaggio: se nell’ultimo trimestre del 2012 si parlava di ripresa ed oggi si fanno i conti con il rallentamento della crescita, non vorrà mica dire che la ripresa è già in fase calante? In fondo gli Stati Uniti non possono certo parlare di exploit e il Vecchio Continente se la passa ancora peggio.