La crisi taglia le spese pasquali

 In Italia a soffrire sono soprattutto i consumi, lo abbiamo spiegato in modo esaustivo: le spese per gli alimenti e per i carburanti si sono talmente ridotte a causa della crisi che adesso i prezzi della benzina e dei cibi più comuni, hanno rallentato la loro corsa.

Il calo dei consumi colpisce anche la Pasqua

Ci siamo chiesti però che effetto potesse avere questa situazione economica critica sulle spese pasquali. Gli italiani sono disposti anche a rinunciare ai piatti tipici della tradizione culinaria nostrana, all’agnello o all’uovo, in nome della crisi?

Per il 2013 probabilmente la risposta al quesito è affermativa. Lo dicono le ultime ricerche del Codacons e della Coldiretti che stimano una flessione delle spese pari al -10 per cento. I prodotti alimentari classici, invece, sembrano in aumento, ma certo in 17 tavole su 100 mancheranno uova di cioccolato e colombe dolci. E per chi a Pasqua si è sempre concesso una vacanza, adesso la crisi impone la stabilità e infatti un italiano su cinque sembra abbia rinunciato ai viaggi di più giorni.

Insomma, la parola d’ordine per queste festività se non è “crisi” è quanto meno “austerità”.

La situazione negativa sembra essere conseguente alla perdita del potere d’acquisto dei cittadini che oltre a far fronte alle variazioni dei prezzi, devono anche tenere il passo dell’inflazione.

In Italia a soffrire sono soprattutto i consumi

 Il paese che non spende è un paese in crisi. A dirlo, ormai, sono anni e anni di analisi delle crisi economiche da cui si evince che fino a quando la popolazione risparmia, tutto sommato, sta soltanto facendo uno sforzo di reazione al credit crunch e alle prime difficoltà della crisi, ma quando chiude i rubinetti anche sui generi alimentari, la situazione è diventata insostenibile.

Scatta dal 1° aprile la diminuzione delle bollette

Nel caso dell’Italia siamo arrivati a questo secondo scenario. A descrivere l’andamento della crisi ci ha pensato l’Istat raccontando che nel mese di marzo c’è stata un crescita dei prezzi al consumo pari all’1,7 per cento, mentre a febbraio, lo stesso indicatore, aveva subito un rialzo ancora più elevato dell’1,9 per cento. Il rialzo, su base mensile è stato quindi dello 0,3 per cento ma la maggior parte della variazione è da attribuire alla benzina.

La crisi incide sulle vendite al dettaglio

Sono in flessione, invece, i prezzi dei prodotti industriali. Insomma questa continua corsa dei costi dei prodotti ha subito una battuta d’arresto, dovuta proprio all’aggravarsi della crisi. La decelerazione dei carburanti è emblematica ma fa il paio con la diminuzione dei prezzi dei beni alimentari. Siamo, insomma, tra i prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori.

Chissà se anche la tavola di Pasqua subirà qualche flessione importante.

Shopping londinese per gli emiri

 Il mercato internazionale è fermo ma si sa che chi come gli emiri del Qatar, ha un bel gruzzoletto da parte, decide d’investirlo adesso che c’è la crisi in modo da massimizzare i profitti. L’ultimo acquisto del fondo dell’emirato è stato quello di un albergo nella City di Londra, uno degli alberghi più lussuosi della capitale inglese.

Moody’s se la prende con l’economia inglese

Gli emiri del Qatar hanno acquistato in questi anni dei grattacieli molto importanti, sono stati i massimi azionisti delle più importanti squadre di calcio ed hanno anche fatto affari dedicandosi ai centri commerciali.

Il fatto che il Qatar abbia giacimenti molto importanti di gas e petrolio, ha fatto sì che potesse investire in altri business. L’ultimo acquisto, l’albergo londinese, è conosciuto come Intercontinental Park Lane ed è affacciato sullo storico Hyde Park.

Londra contro il tetto ai superstipendi

Il prezzo dell’affare non è sconosciuto. Sembra che l’emirato abbiamo portato nelle casse inglesi ben 400 milioni di sterline che equivalgono a 450 milioni di euro. A pagare è stata la Qatar Investement Holding, la finanziaria con cui l’emirato opera in modo diretto sul mercato.

Tanto per avere un’idea degli affari del Qatar si può ricordare che hanno acquistato importanti pacchetti di azioni della banca Barclays e della catena di supermercati Sainsbury.

La crisi francese e le altre fratture europee

 La Francia sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno nel senso che i problemi finanziari di paese sono aggravati dalla perdita di competitività tale che non esiste più il contraltare all’ascesa della Germania, prima affidato a Italia, Francia e Gran Bretagna.

Per gli USA la prossima crisi è quella francese

Mario Draghi, da presidente della BCE, ha deciso di acquistare in maniera illimitata i bond dei paesi che sono in crisi ma questa mossa non va a sanare i problemi più importanti dell’Eurozona, quali la situazione post elettorale di Grecia, Spagna e Italia e l’accordo mancato delle banche a Cipro.

Uno sguardo più ampio sulla recessione

Un altro autorevole parere sulla situazione economica europea è quello fornito dal ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble (CDU) che ha chiarito le intenzioni della Germania: tenere nell’euro Cipro ed esaminare al tempo stesso tutte le proposte. La paura in tal senso è che come è successo all’isola, succeda poi ad altri paesi periferici. Secondo il ministro tedesco, tutti i paesi della zona euro sono intenzionati a tendere la mano a Cipro ma questo “movimento” deve essere fatto nel rispetto delle regole.

In questo momento, infatti, la tentazione per i paesi dell’Eurozona è forte: usare la soluzione più semplice ma facendo più debiti. Invece è sufficiente realizzare riforme strutturali, intervenire sul mercato del lavoro e mantenere elevata la concorrenzialità.

Per gli USA la prossima crisi è quella francese

 La prossima crisi economica sarà ancora una volta nel Vecchio Continente che sembra procedere a due velocità. Da un lato, infatti, c’è la Germania dove l’economia ha già ripreso vigore e dall’altro ci sono tutti gli altri paesi che non hanno ancora adottato riforme strutturali e fiscali efficaci. Nelle stesse condizioni della Germania ci sono anche i paesi che, come la Polonia, non hanno ancora aderito ufficialmente all’euro, ma questa è un’altra storia di cui abbiamo già parlato.

Uno sguardo più ampio sulla recessione

Secondo gli Stati Uniti, che hanno a cuore la salute del Vecchio Continente, la prossima crisi economica cui si dovrà fare fronte, sarà quella della Francia. A dirlo è l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, in un’intervista al quotidiano “Der Spiegel”. L’allarme è chiaro: la Francia è in crisi e Parigi non solo ha degli importanti problemi finanziari da risolvere ma ha perso anche molta della sua competitività.

Triple A nel mondo in via d’estinzione

La Francia, nello scacchiere europeo è fondamentale, visto che insieme all’Italia e alla Gran Bretagna era l’unico contrappeso all’ascesa della Germania. Così come si sta configurando la crisi francese, invece, sembra si dia il via allo strapotere tedesco. Anche quel che ha pensato Draghi, in fondo, di acquistare illimitatamente i bond dei Paesi in crisi, è solo una misura temporanea.

Krugman contro la trappola della moneta unica

 Il premio Nobel per l’economia Paul Krugman tiene molto alla situazione europea e da diversi mesi continua a fornire analisi accurate del contesto economico e politico del Vecchio Continente. All’indomani delle elezioni italiane, ad esempio, aveva visto nel successo del Movimento 5 Stelle, la conferma che i nostri connazionali hanno bisogno di un cambiamento e magari anche di un’uscita dall’euro.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

Adesso, proprio mentre è la Polonia a fare un passo indietro sull’entrata nell’Europa unita, Paul Krugman torna sull’argomento “moneta unica”. L’economista usa il suo blog per spiegare ai polacchi che sono ancora in tempo per salvarsi dall’euro che si configura sempre di più come una trappola per coloro che l’adottano.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

La classe politica sembra comunque impermeabile a questo genere di discorsi. Ha deciso di proporre un referendum sull’adesione all’euro per chiedere “conferma” alla popolazione della volontà politica di entrare in Europa anche a livello monetario. Secondo i politici la popolazione sarà d’accordo e la Polonia inizierà il percorso di preparazione all’adozione dell’euro che durerà fino al 2015.

Secondo Krugman, però, il caso polacco è molto particolare, visto che si tratta di un paese che finora è riuscito ad evitare la recessione ed ha recuperato terreno rispetto ai paesi che hanno aderito alla moneta unica.

Il governatore giapponese lancia un allarme

 Tutta la storia della guerra di valute, termine coniato dal presidente brasiliano diversi anni fa, è stata rinverdita dalle decisioni molto audaci della banca nazionale giapponese che ha iniziato a svalutare lo yen per renderlo competitivo con euro e dollaro. Una decisione che, dal sembrare assolutamente “battagliera” è stata poi inquadrata in un’altra prospettiva: la banca nazionale giapponese sta facendo quello per cui ha ottenuto il mandato.

Sui bond giapponesi l’effetto-Kuroda

A distanza di un paio di mesi dalla tensione sul mercato valutario, il governatore della banca centrale nipponica ha lanciato un allarme agli investitori: la fiducia che si ripone nelle finanze pubbliche è in calo e questo sentimento, a livello economico, potrebbe avere un impatto negativo sull’economia interna. Realmente, poi, il rapporto tra debito è PIL resta molto elevato, bene il 245% ma sembra che molto del debito sia nelle mani dei creditori giapponesi e questo riduce le possibilità di crisi.

I mercati asiatici accelerano la ripresa

Il neo governatore della Bank of Japon si chiama Haruhito Kuroda ed ha parlato di recente davanti al Parlamento spiegando che il problema del debito giapponese non è da prendere sottogamba perché le sue proporzioni sono insostenibili per un’economia che punta alla ripresa. L’allarme è stato poi reso ancora più ampio dall’eco che il discorso di Kuroda ha avuto sulla stampa internazionale.

Uno sguardo più ampio sulla recessione

 Per l’OCSE sarà recessione fino a giugno perché al momento mancano i presupposti per far ripartire l’economia. Il PIL, infatti, su base annua, nell’ultimo trimestre del 2012, è sceso del 3,7 per cento.

Le riforme strutturali che sono state realizzate in altri paesi dell’UE, invece hanno offerto una base ampia per il recupero della competitività, è cresciuta l’occupazione e si è generata una virtuosa inversione di tendenza. Nell’Eurozona, come richiesto dalle istituzioni sovranazionali, sono state fatte anche delle riforme fiscali che hanno assecondato ulteriormente la ripresa.

Le dichiarazioni dell’Ocse fanno bene alle borse

Di fatto resta una discrepanza importante tra quello che succede in Germania, dove l’economia è già ripartita e l’ascesa sarà forte soprattutto nei primi due trimestri dell’anno, e quello che succede negli altri paesi dove l’economia va avanti a rilento o addirittura ha una crescita negativa.

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

Quindi, se la Germania crescerà del 2,3% nel primo trimestre e del 2,6% nel secondo, ci sono paesi, come anche la Francia, in cui il primo trimestre sarà segnato soltanto dal +0,6% e il secondo trimestre sarà ancora più lento con un’ascesa dello 0,5%.

Molti si chiedono però se Cipro possa generare un effetto domino negli altri paesi periferici. L’OCSE, in tal senso, ha ribadito che l’isola stato è un caso eccezionale che sottolinea ad ogni modo l’importanza di affrontare subito la crisi bancaria.

Per l’OCSE sarà recessione fino a giugno

 Per l’OCSE ci sono già molti paesi che in fase di rilancio dell’economia, ma l’Italia è esclusa da questo insieme. La ripresa, per il resto dell’UE si può quindi dire avviata e non è escluso che in occasione del prossimo G7 la BCE annunci un taglio del costo del denaro.

Le dichiarazioni dell’Ocse fanno bene alle borse

Per il nostro paese, invece, sarà necessario aspettare ancora un po’: tutto rimandato alla fine del 2013 o anche all’inizio del 2014. L’aspetto più preoccupante dell’Italia, però, non è individuato nell’instabilità politica, oppure nella riduzione della ricchezza, oppure ancora nei debiti della pubblica amministrazione. A preoccupare è la disoccupazione.

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

Il prodotto interno lordo tricolore è sceso del 3,7 per cento su scala annua, con riferimento all’ultimo trimestre del 2012, poi lo stesso Draghi aveva fatto immaginare che la strada ormai fosse in discesa. Invece, i risultati provvisori del primo trimestre del 2013, raccontano che l’unico paese del G7 a non essersi ancora ripreso è proprio l’Italia.

Il rapporto “Interim Assessment” dell’OCSE è duro con l’Italia e spiega che anche nel 2013 ci sarà una contrazione della produzione pari all’1,6 per cento su base annua per il primo trimestre dell’anno e poi si proseguirà con una contrazione dell’1 per cento per i mesi successivi. Tendenzialmente, quindi, il quadro è negativo.

Gli italiani non vogliono parlare di investimenti

 Il nostro paese sta affrontando un periodo politico molto turbolento che alla lunga incide anche sulla stabilità dei prezzi e dell’economia. Le associazioni di categoria hanno lanciato l’allarme: l’Italia non riesce più a respirare.

Pronta la risposta del ministro uscente Vittorio Grilli che ha firmato un provvedimento che, iniettando 40 miliardi di euro di liquidità nel mercato, dovrebbe riuscire a saldare i debiti più importanti contratti dall’amministrazione dello stato.

Grilli punta alla ripartenza economica

Si è parlato poi della bilancia commerciale e di come gli italiani, per sopravvivere, siano costretti ad esportare i loro prodotti, in Europa ma soprattutto oltre i confini UE. Questa specie di fuga, descrive una refrattarietà degli italiani a fare affari nel paese. La tendenza è confermata dallo stato delle ricchezze del nostro paese. Secondo gli ultimi report, infatti, mentre nel 2010 la somma investita in titoli di stato, bond bancari e societari e azioni era pari a 1981,8 miliardi di euro, a distanza di due anni, questo “budget” si è assottigliato ed ora si parla soltanto di 1269,9 miliardi di euro.

Qualcuno dice che siamo più ricchi dei tedeschi

In termini percentuali la riduzione è pari al 36 per cento. Da questi dati si deduce che la ricchezza degli italiani è diminuita anche se poi, i risultati della ricerca europea parlano dell’Italia più ricca della Germania.